Numero 13/14 - 2017

  • Numero 2 - 2010
  • Saggi

L’istruzione a distanza nell’Unione europea, tra obiettivi da raggiungere e strumenti di tutela del diritto d’autore

di Sonia Campailla

Sommario

  1. Brevi cenni sul tema dell’istruzione nel TFUE: disposizioni pertinenti e portata giuridica.
  2. L’istruzione a distanza nell’azione dell’Unione europea.
  3. Il problema della tutela del copyright nel diritto comunitario: l’eccezione per finalità didattiche.

Abstract

L’art. 165 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che l’Unione contribuisca allo sviluppo di un’istruzione di qualità, favorendo la cooperazione tra Stati membri e, se il caso, supportandone e integrandone l’azione, pur nel rispetto della loro responsabilità riguardo alla determinazione dei contenuti didattici  e alla definizione dei rispettivi sistemi educativi. Inoltre, ai sensi di tale norma, l’azione dell’Unione deve essere, tra l’altro,  rivolta  alla promozione dello sviluppo dell’istruzione a distanza.

In questo contesto un’importanza particolare assume l’e-learning che potrebbe giocare un ruolo rilevante nel  perseguimento degli obiettivi fissati  dall’Unione nonché ai fini della realizzazione della «dimensione europea dell’istruzione» delineata dal Trattato.

D’altro canto, la crescente diffusione dell’e-learning pone in evidenza una serie di problemi in merito ai diritti degli autori del materiale didattico reperibile online. Stante l’inadeguatezza della Direttiva 2001/29/CE  sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, almeno rispetto al  caso particolare della didattica online, è auspicabile un nuovo intervento del legislatore europeo che affronti in modo più diretto e specifico la questione con riguardo a questa particolare ipotesi.

1. Brevi cenni sul tema dell’istruzione nel TFUE: disposizioni pertinenti e portata giuridica.

L’art. 165 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (d’ora innanzi TFUE) [1] – collocato nel Titolo XII intitolato «Istruzione, formazione professionale, gioventù e sport» – stabilisce che: «L’Unione contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche».

Si evidenzia fin d’ora, anche se il tema verrà poi trattato nel successivo paragrafo di questo lavoro, che tra gli obiettivi cui – secondo quanto disposto da tale norma – l’azione dell’Unione deve mirare figura, tra gli altri, la promozione dello sviluppo dell’istruzione a distanza [2].

La formulazione della citata disposizione del TFUE rimane in buona parte corrispondente  a quella contenuta nel vecchio art. 149 del Trattato CE [3] il quale, pur essendo ugualmente dedicato a «Istruzione, formazione professionale  e gioventù »non conteneva però – diversamente dalla nuova norma – alcun riferimento allo sport e alla «dimensione europea dello sport» [4].

L’azione dell’Ue, diretta alla creazione di una «dimensione europea dell’istruzione», deve promuovere una serie di attività che favoriscano la realizzazione di una sorta di “spazio conoscitivo” fondato su un dialogo e un interscambio costante tra tutti gli attori della vita didattica, accademica e sportiva. La diffusione delle diverse lingue degli Stati membri, la mobilità di docenti e studenti, il riconoscimento accademico di diplomi e periodi di studio, la cooperazione fra istituti, il dialogo e gli scambi tra giovani, la loro partecipazione alla vita democratica e, adesso, anche la promozione dello sport  vengono indicati come altrettanti obiettivi che l’Unione, in quest’ottica, deve perseguire.

La disposizione de qua, pur avendo carattere soltanto programmatico, può, peraltro, costituire un significativo punto di riferimento o, almeno, di partenza  per un’analisi della questione qui in esame.

Tuttavia, prima di analizzare il tema specifico oggetto del presente lavoro, si impone, per ragioni di completezza, qualche precisazione di ordine generale in merito al tema dell’istruzione e della cultura nell’ambito complessivo del Trattato ed anche con particolare riferimento alla summenzionata norma [5].

Le disposizioni del TFUE  riguardanti l’istruzione sono gli artt. 53, 165, 166 e 167  che in pratica  ricalcano rispettivamente gli artt. 47, 149 [6] 150 [7] e 151 [8] del TCE [9].

L’art. 53 TFUE, così come il suo “predecessore comunitario” [10], è collocato nella parte del Trattato  intitolata «Diritto di stabilimento» e,  tra l’altro, prevede interventi dell’Unione finalizzati al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli.

Come già detto relativamente all’art. 165,  anche le altre due norme pattizie sopra citate – artt. 166 e 167 – sono inserite nel Titolo XII intitolato «Istruzione, formazione professionale, gioventù e sport». In particolare l’art. 166 prevede che l’Unione attui una politica di formazione professionale mentre l’art. 167 stabilisce che essa si attivi per favorire lo sviluppo delle culture degli Stati membri rispettando le rispettive peculiarità e valorizzando, nel contempo, le radici e il patrimonio culturale comuni [11].

Continuando ora con l’analisi dell’art. 165 TFUE – che è quello maggiormente rilevante ai fini di questa parte del presente lavoro –  si deve rilevare che esso ha fondamentalmente lo scopo di incoraggiare lo sviluppo di determinate situazioni legate al mondo dell’istruzione ma non si spinge oltre questo punto.

A riguardo va precisato che, in effetti, l’Unione può intervenire nel campo dell’istruzione solo laddove ciò risulti indispensabile. La competenza in materia di insegnamento e di istruzione rimane, senza dubbio, in capo agli Stati membri che devono poter organizzare e disciplinare autonomamente  il settore in questione. Rispetto al campo di cui si tratta, all’Unione, compete un ruolo  “residuale” di supporto  e di conseguenza essa dovrebbe astenersi dalla “tentazione” di intervenire in modi non rispondenti a quelli contemplati dai Trattati [12], estendendo la propria azione laddove essa non è intenzionalmente prevista e sconfinando nelle competenze chiaramente riservate agli Stati membri [13].

Al fine del raggiungimento degli obiettivi ivi previsti, infatti, l’art. 165 stabilisce che il Parlamento europeo e il Consiglio, seguendo la procedura legislativa ordinaria e dopo aver sentito il Comitato economico e sociale e il Comitato delle regioni,  possano adottare «azioni di incentivazione» ma, allo stesso tempo, viene espressamente escluso che, in questo settore, si possa procedere all’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri [14].

Tuttavia, pur ritenendo qui necessario compiere tali precisazioni sulla portata giuridica della disposizione de qua, si ritiene altresì opportuno rilevare che, attraverso le norme dedicate all’istruzione e alla cultura,  il Trattato  sembra esprimere la volontà  di favorire determinate attività in questi settori  che,  sia pure nel pieno rispetto dell’autonomia nazionale, siano accomunate  da un approccio comune riconducibile a una “visione” europea [15].

2. L’istruzione a distanza nell’azione dell’Unione europea.

Come già detto in precedenza, tra gli obiettivi elencati dall’art. 165 TFUE, compare anche la promozione dell’istruzione a distanza, offrendo, così,  spunti di riflessione particolarmente interessanti data l’attualità del tema.

Innanzitutto l’esplicita menzione dell’istruzione a distanza, che già era presente nella corrispondente norma del TCE, rivela la consapevolezza della crescente importanza che il fenomeno è destinato ad assumere in una società sempre più informatizzata e virtuale dove la presenza fisica e soprattutto la necessità della compresenza fisica  in un medesimo luogo di docente e studente può essere bypassata tramite l’utilizzo di piattaforme appositamente dedicate.

A questo punto però appare opportuno domandarsi quale significato debba attribuirsi all’espressione «istruzione a distanza», di cui all’art. 165 TFUE, e quali modalità didattiche debbano ricomprendersi in essa.

A tal fine non è di particolare aiuto il raffronto con la medesima norma del Trattato nelle versioni pubblicate in alcune delle altre lingue degli Stati membri [16]. Dalla comparazione tra le versioni nelle lingue più “conosciute” emerge che le locuzioni utilizzate sono pienamente corrispondenti e, quindi, il confronto non  fornisce elementi interpretativi utili.

Pur non volendo qui svolgere un’analisi del concetto di «istruzione a distanza» – che esula dai propositi giuridici del presente lavoro e sul quale esiste una letteratura specializzata [17]– non si può non accennare sommariamente ad alcuni aspetti della questione.

In particolare si deve sottolineare come –  in quella che   proprio in ambito comunitario è stata definita  «Società dell’informazione» [18]– una rilevanza speciale, tra le possibili metodologie utilizzate nell’ambito dell’istruzione a distanza, assume proprio l’e-learning che, per ovvi motivi,  ha soppiantato altri strumenti ormai obsoleti e dunque destinati a scomparire.

L’impatto delle moderne tecnologie nonché la crescente rilevanza della comunicazione e dell’informazione  hanno avuto profonde conseguenze praticamente in tutti i settori, delineando nuovi modelli socio-economici e ponendo all’attenzione della Comunità europea  pressanti questioni di carattere giuridico [19].

A partire dal 1993,  sulla scia della visione tracciata  nel Libro bianco su crescita, competitività e occupazione, si  sono succeduti una serie di interventi volti ad affrontare alcuni dei problemi più nevralgici – quali occupazione, competitività, istruzione, gestione informatizzata di settori strategici – puntando sulle nuove tecnologie informatiche e di comunicazione.

Il  cosiddetto «Rapporto Bangemann» del 1994 [20], per esempio, è stato il frutto della volontà espressa  dal Consiglio europeo che ha istituito  un gruppo di esperti incaricati di elaborare  un rapporto sulla «Società dell’Informazione» e di proporre provvedimenti volti alla sua attuazione. Da questo documento sono emerse varie  proposte che hanno, tra l’altro, riguardato l’istruzione a distanza (distance learning) ed anche il telelavoro.

Ed è sempre nel 1994 che viene elaborato  il Piano di Azione  A Europe’s way to the Information Society [21] ed istituito un Ufficio Europeo per la Società dell’Informazione.

Alle tematiche riconducili alla Società dell’Informazione, in una prospettiva di sviluppo e di crescita, la Commissione ha dedicato   una serie di documenti, nello specifico Libri verdi [22], che qui, se non altro, è opportuno di menzionare [23].

Si pensi al Libro verde sull’innovazione [24], del 1995, nonché nel Libro verde vivere e lavorare nella società dell’informazione [25]cui è seguita la pubblicazione del Libro verde sulla convergenza delle telecomunicazioni dei media e della tecnologia dell’informazione del 1997 [26] e del Libro verde sull’informazione nel settore pubblico del 1999 [27].

Inoltre si devono qui ricordare i Piani di azione e-Europe [28], e-Europe 2002 [29] ed e-Europe 2005 [30] che hanno rispecchiato l’urgenza di definire delle politiche e delle linee di intervento in relazione a diversi aspetti della Società dell’Informazione. In particolare nel piano e-Europe 2005 viene prestata attenzione alla necessità di diffondere l’accesso ad internet a banda larga e di promuovere una rete di servizi pubblici online, dando vita a  programmi specifici quali  e-Government, e-Learning ed e-Health.

Ancora, con l’iniziativa i2010Una Società dell’Informazione europea per la crescita e l’occupazione [31], del giugno 2005, sono stati individuati dalla  Commissione quattro obiettivi da perseguire  entro il 2010: la creazione di uno spazio unico europeo dell’informazione; innovazione e investimento nella ricerca di frontiera; inclusione, miglioramento dei servizi pubblici e della qualità di vita;  governance dello sviluppo.

Nella stessa ottica si sono succeduti diversi Programmi Quadro che hanno individuato azioni e programmi da implementare ai fini dello sviluppo della Società dell’Informazione tra cui, più di recente, il  Settimo Programma Quadro  (2007-2013) [32], che ancora una volta sottolinea il ruolo decisivo giocato dalle tecnologie di informazione e comunicazione.

Da una lettura complessiva di questi strumenti affiora un quadro dominato da tecnologia e informazione che vengono considerati come elementi indispensabili ai fini della crescita economica ma anche dell’ottimizzazione dei servizi, dell’inclusione sociale e, dunque,   del miglioramento della qualità della vita in generale [33].

In questo panorama è evidente come un ruolo centrale sia  attribuibile proprio all’istruzione a distanza – e quindi all’e-learning – che potrebbe giocare un ruolo viepiù importante nel  raggiungimento delle predette finalità perseguite dall’Unione e per la realizzazione della «dimensione europea dell’istruzione» auspicata dal Trattato.

3. Il problema della tutela del copyright nel diritto comunitario: l’eccezione per finalità didattiche.

Se è ovvio che, da una parte, la possibilità di avvalersi dell’e-learning comporta vantaggi per i destinatari che scelgono questa via per provvedere alla propria istruzione, è altrettanto evidente che, dall’altra parte,  si pongono una serie di problemi in relazione ai diritti degli autori del materiale didattico a tal fine reperibile online [34].

L’art. 17, par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [35], che a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona è divenuta vincolante assumendo il rango di legislazione primaria, dichiara perentoriamente che «La proprietà intellettuale è protetta» [36]. Certamente una siffatta affermazione potrà costituire la base giuridica per una serie di interventi diretti alla salvaguardia del diritto in questione  e, di fatto, questo documento è stato, seppure impropriamente, considerato come punto di riferimento per interventi in questo campo già quando non era ancora dotato di forza vincolante. Ora che la Carta di Nizza è stata integrata nei Trattati,  la consacrazione della difesa della proprietà intellettuale di cui all’art. 17, par. 2, potrà aprire la strada per nuovi provvedimenti  dell’Unione in questa materia così importante, complessa e in continua evoluzione.

Ad oggi, tuttavia, la questione è stata affrontata, in ambito comunitario,  con  la Direttiva 2001/29/CE  sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione [37] (d’ora in poi la Direttiva) [38].

Passando ora all’analisi della questione con riferimento al quadro comunitario, si deve subito premettere che la summenzionata Direttiva ha ad oggetto  «la tutela giuridica del diritto d’autore e dei diritti connessi nell’ambito del mercato interno, con particolare riferimento alla società dell’informazione» [39] [40].

Rimangono esclusi dalla sua sfera applicativa i diritti morali dei titolari la cui tutela, ai sensi  all’art. 19,  è regolata dal diritto degli Stati membri, nel rispetto di alcuni accordi internazionali ivi citati [41] e cioè della Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie e artistiche, del Trattato WIPO sul diritto d’autore e del Trattato WIPO sulle interpretazioni, le esecuzioni e i fonogrammi [42].

L’ultimo tratto della norma, espressamente, lascia fuori i diritti morali dal campo di applicazione della Direttiva investendo, invece, i profili economici della proprietà intellettuale che, nel nono Considerando del medesimo atto, viene riconosciuta come «parte integrante del diritto di proprietà» [43].

L’art. 2 della Direttiva stabilisce, poi, che gli Stati membri  debbano riconoscere a una serie di soggetti da esso espressamente menzionati «il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, in qualunque modo o forma, in tutto o in parte» del materiale indicato relativamente a ognuna delle categorie di beneficiari ivi contemplate.

Tuttavia  i predetti  diritti non sono assoluti poiché l’atto in questione prevede, nel suo art. 5, una serie di esenzioni e limitazioni che vanno a  ridurne la portata. Si tratta di una elencazione piuttosto lunga ed eterogenea, anche per la natura delle conseguenze che sorgono in capo agli Stati membri: il primo paragrafo di tale norma, infatti,  prevede eccezioni obbligatorie per gli Stati membri mentre il secondo e il terzo indicano ipotesi derogatorie aventi natura facoltativa in quanto rimettono la relativa scelta  alla valutazione statale.

Proprio tra le possibili limitazioni ed esenzioni contemplate dall’art. 5, par. 3, della Direttiva figura la c.d. “eccezione per finalità didattiche” laddove –  alla lettera a)  – si prevede che lo Stato membro ha la facoltà di intervenire in senso limitativo «allorché l’utilizzo ha esclusivamente finalità illustrativa per uso didattico o di ricerca scientifica, sempreché, salvo in caso di impossibilità, si indichi la fonte, compreso il nome dell’autore, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo non commerciale perseguito».

La formulazione in termini piuttosto vaghi della disposizione ha sollevato parecchi dubbi interpretativi, lasciando agli Stati membri ampia discrezionalità nella sua applicazione che si è inevitabilmente  tradotta in una certa disomogeneità nelle scelte operate, a livello nazionale,  dai medesimi.

L’interpretazione della norma de qua risulta ancora più ardua in considerazione del fatto che la Corte di giustizia, che pure si è pronunciata in più occasioni sulla Direttiva, non si è, però, mai specificamente occupata dell’eccezione contemplata dal suo art. 5 par. 3, lett. a) [44].

In particolare interrogativi sorgono relativamente all’identificazione dei destinatari dell’eccezione in questione che non sono espressamente indicati dalla norma la quale, d’altro canto, non fornisce neppure elementi che aiutino a individuarli.

L’indeterminatezza dei soggetti che possono avvalersi dell’eccezione è tanto più evidente se si considera la previsione di cui alla lett. n)  del predetto par. 3 che, invece,  prevede la facoltà di stabilire esenzioni nell’eventualità in cui  «l’utilizzo abbia come scopo la comunicazione o la messa a disposizione, a singoli individui, a scopo di ricerca o di attività privata di studio, su terminali dedicati situati nei locali delle istituzioni di cui al paragrafo 2, lettera c), di opere o altri materiali contenuti nella loro collezione e non soggetti a vincoli di vendita o di licenza ».

In questo caso i destinatari sono individuati  mediante un richiamo al par. 2, lettera c) che menziona biblioteche accessibili al pubblico, istituti di istruzione, musei o archivi che non perseguano vantaggi economici o commerciali né diretti né indiretti.

Se il legislatore comunitario avesse voluto restringere il campo di applicazione dell’eccezione di cui al par.3, lett. a) a  istituti di istruzione, biblioteche,  musei, probabilmente,  avrebbe operato il medesimo rimando effettuato in relazione all’ipotesi di cui sopra.  Seguendo questo ragionamento, viceversa, si arriverebbe a dedurre che possa  beneficiare dell’eccezione di cui si discorre qualsiasi soggetto che utilizzi il materiale  a scopo illustrativo, per finalità  didattiche o di ricerca scientifica. Si tratterebbe, dunque, di una disposizione rivolta a una cerchia alquanto imprecisata di soggetti che potrebbero utilizzare del materiale, normalmente protetto, semplicemente invocando finalità esplicative, didattiche, e/o scientifiche.

In attesa che si presenti l’opportunità per la Corte di fornire  chiarimenti in merito, si deve constatare che l’Italia ha dato  attuazione [45] alla Direttiva  con il d.lgs. 9 aprile 2003, n. 68 [46] che ha modificato la legge 22 aprile 1941, n.633, «recante protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio» [47], rielaborando, altresì, l’ipotesi della suddetta “eccezione didattica” di cui all’art. 70 [48].

A questo riguardo, il comma 1 dell’attuale versione di tale norma  – come risultante in virtù di quanto previsto dal summenzionato d.lgs. – dispone che: « Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali» [49].

La citata disposizione, dunque, pone dei paletti di tipo “quantitativo” specificando che l’eccezione riguarda solo «brani o parti di opera» ed escludendo implicitamente la possibilità di usare integralmente il materiale considerato. Ad ogni modo un siffatto utilizzo deve avvenire a scopo didattico e di ricerca scientifica e  per fini rigorosamente non commerciali, non dovendo costituire un atto di concorrenza. Il comma 2 della stessa norma, poi,  si riferisce alle riproduzioni contenute nelle antologie per uso scolastico, operando un rinvio tutt’altro che chiaro per la determinazione dei relativi limiti e delle modalità del compenso. Viene inoltre affermato l’obbligo di menzionare il titolo dell’opera oggetto di riassunto, citazione o riproduzione nonché i nomi di autore ed editore e, eventualmente del traduttore [50].

La formulazione della citata norma – che pare riferirsi principalmente a opere scritte – rappresenta una soluzione di compromesso che rivela l’intento di trovare un equilibrio tra tutela dei diritti economici degli  autori e il più generale interesse a un’ampia divulgazione della cultura, non riuscendo forse a soddisfare pienamente nessuno dei due. Infatti, essa sembra  riflettere una concezione non del tutto attuale del problema e, in tal senso,  non appare idonea a fronteggiare la varietà di situazioni che proliferano in ragione della vorticosa accelerazione tecnologica  e della crescente diffusione di materiale su internet.

Questo dato risulta ancora più evidente se si considera che, successivamente, il legislatore italiano ha ritenuto di dover nuovamente intervenire sulla questione, integrando e aggiornando la disciplina relativa all’eccezione didattica, almeno in relazione al caso di  «immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate» che vengano pubblicate a titolo gratuito su internet per  uso didattico o scientifico e senza fini di lucro [51]. Questo nuovo provvedimento legislativo ha fornito altresì l’occasione di  affermare la necessità di circoscrivere in modo certo e preciso i limiti degli scopi didattici e scientifici in virtù dei quali è permessa la pubblicazione su internet dei materiali ivi indicati. Tuttavia, al momento, la divulgazione delle opere di altro tipo continua a essere riconducibile alla previsione di cui al summenzionato art. 70 e dunque a una impostazione “classica” del problema .

In questo panorama, stante l’inadeguatezza della disciplina comunitaria – e  per molti versi della normativa italiana di recepimento – è auspicabile un nuovo intervento del legislatore europeo che affronti in modo più diretto la questione del diritto d’autore relativamente all’insegnamento online, superando le attuali lacune e ponendo le basi per una maggiore omogeneità delle soluzioni adottate dai singoli Stati. In effetti proprio il caso della didattica online – specialmente con riguardo alle università telematiche – richiederebbe particolare attenzione, anche in considerazione dell’importanza sempre maggiore che essa è destinata ad assumere.

La tutela della proprietà intellettuale, infatti, può trascendere l’ambito del singolo Stato e, nel caso di specie, ciò appare ancora più evidente se si considera che, potenzialmente, questo  tipo di insegnamento non è ancorato a un contesto territoriale limitato ma potrebbe, invece, interessare una sfera virtuale non necessariamente coincidente con quella nazionale.

In linea generale, se dovessimo chiosare l’art. 17, par. 2, della Carta di Strasburgo si potrebbe dire che «La proprietà intellettuale è protetta» e che la proprietà intellettuale, relativa ad opere utilizzate con finalità didattica, è protetta sì, ma un po’ meno. Un tale depotenziamento, poi, è ancora più marcato rispetto a determinate situazioni in relazioni alle quali “l’eccezione didattica” – se non ben regolata –  può condurre a uno svuotamento quasi totale dei diritti connessi alla proprietà intellettuale di una certa opera.

Infatti fattispecie diverse richiederebbero soluzioni diverse mentre “la finalità didattica” riconduce situazioni alquanto differenti a un medesimo alveo normativo, non tenendo conto delle sensibili variazioni che, in concreto,  si possono delineare.

In realtà il quadro delineato dalla norma comunitaria  sembra adattarsi meglio all’ipotesi di opere che, almeno all’origine, siano concepite  in forme tradizionali (per es. libri, quadri ecc.) e che siano dunque tutelate nelle abituali forme prescritte dalla legge. In siffatte circostanze la finalità didattica, nei limiti e nei modi stabiliti, può costituire un’eccezione ai diritti che sorgono in virtù della proprietà intellettuale riconosciuta ai rispettivi autori delle opere considerate che, però a monte, vengono protette e commercializzate secondo standards classici.

Questa previsione, comunque, appare inadeguata rispetto allo specifico settore della didattica online relativamente alla quale si profila una situazione dai contorni ben diversi.

Ci si riferisce, in particolare, all’ipotesi dell’opera che, ab origine, è pubblicata in forma virtuale e che è concepita per scopi didattici.

In una tale circostanza si tratta di docenti – e quindi di soggetti con finalità didattiche per definizione – che pubblicano il frutto della propria opera intellettuale su piattaforme dedicate di cui beneficiano soggetti determinati in virtù di un rapporto giuridicamente inquadrato.

E’ allora chiaro che, nella vaghezza delle previsioni normative e in mancanza di paletti ben definiti, si corre il rischio che si possa verificare una sorta di “saccheggio” a danno degli autori da parte di soggetti che, in prima battuta, fruiscano delle opere in maniera legittima ma che, successivamente, ne facciano un utilizzo improprio invocando a loro volta una finalità didattica o illustrativa.

In uno scenario di questo tipo si configura, così, una sorta di “doppia eccezione didattica” che, in concreto, svuota il diritto degli autori andando a giustificare l’impiego scorretto delle loro opere intellettuali in nome di una finalità che, per quanto nobile, non dovrebbe tradursi in una divulgazione indiscriminata.

Si coglie allora l’urgenza di una normativa più precisa ed adeguata considerato che non si può pensare di rimettere la disciplina di tali  aspetti a una regolamentazione di tipo privatistico.

Ma, più in particolare, sarebbe quanto mai appropriato proprio un intervento del legislatore europeo. Come già accennato in precedenza, una disciplina uniforme dei suddetti profili all’interno degli Stati membri risulta ancor più opportuna in considerazione del fatto che  la didattica online è, per sua natura, svincolata da limiti geografici e, dunque, particolarmente idonea a realizzare gli obiettivi che l’Unione si prefigge nel settore dell’istruzione.

Se i Trattati hanno ripetutamente manifestato la volontà di creare una «dimensione europea dell’istruzione» – pur nella consapevolezza dell’autonomia che gli Stati membri devono poter mantenere in questa materia – è d’altro canto vero che l’Unione, nel contempo,  dovrebbe evitare che vengano pregiudicati gli interessi di coloro che favoriscono la realizzazione di tali obiettivi attraverso una didattica che abbatte molte barriere e che si avvale di opere che, seppure concepite e utilizzate principalmente in questo contesto, dovrebbero essere oggetto di una tutela piena.

Paradossalmente, infatti, nell’attuale lacunosità normativa, la nobilitazione della finalità didattica determina, per contro, una sorta di diminutio, in termini di valore e di tutela economica, delle opere a tal fine utilizzate.

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  1. Come di certo è noto,  a seguito delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona – entrato in vigore il 1° dicembre 2009 – sul Trattato dell’Unione europea e sul Trattato della Comunità Europea, quest’ultimo ha assunto ora  la denominazione di Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Più precisamente, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Comunità europea è stata assorbita dall’Unione europea ed ha smesso di esistere. Tuttavia gli atti normativi già adottati dalla Comunità continueranno a regolare le materie da essi già disciplinate finché l’Unione  non adotterà nuovi atti che abroghino o  emendino quelli  posti in essere dalla Comunità. Pertanto, laddove si tratti di atti adottati da quest’ultima, si può correttamente continuare a utilizzare il sostantivo “Comunità” e l’aggettivo “comunitario”
  2. Così il par. 2 dell’art. 165 TFUE : «L’azione dell’Unione è intesa:
    - a sviluppare la dimensione europea dell’istruzione, segnatamente con l’apprendimento e la diffusione delle lingue degli Stati membri,
    - a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio,
    - a promuovere la cooperazione tra gli istituti di insegnamento,
    - a sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei sistemi di istruzione degli Stati membri,
    - a favorire lo sviluppo degli scambi di giovani e di animatori di attività socio-educative e a incoraggiare la partecipazione dei giovani alla vita democratica dell’Europa,
    - a incoraggiare lo sviluppo dell’istruzione a distanza.
    - a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l’equità e l’apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l’integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani tra di essi».
  3. La nuova versione della norma stabilisce che,  al fine di perseguire gli obiettivi prefissati dalla stessa e pur escludendo l’armonizzazione delle legislazioni nazionali degli Stati membri in materia,  vengano adottate azioni di incentivazione, da parte del Parlamento europeo e del Consiglio conformemente alla procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni. E’ evidente che la novità principale rispetto alla vecchia formulazione consiste nel riferimento alla “procedura legislativa ordinaria” mentre, nell’ex art. 149, è contemplato a tal fine il potere del Consiglio di deliberare ai sensi dell’art. 251 TCE.
  4. Il riferimento all’attività sportiva è stato aggiunto in virtù delle modifiche apportate al testo del TCE – che, come si è già detto, è divenuto TFUE – ad opera dal Trattato di Lisbona.
  5. Per un’analisi completa della questione v. F. Caruso, Le competenze dell’Unione Europea e degli Stati Membri in materia di “istruzione”, in Studi in onore di Filippo Chiomenti, in corso di stampa.
  6. Sull’art. 149 v. il commento di P. Torriello – E. Cortese Pinto, in Trattati dell’Unione Europea e della Comunità Europea (a c. di A. Tizzano),  Milano, 2004,  p. 800.
  7. Sull’art. 150 v. il commento di M. Orlandi, Ivi p. 803.
  8. Sull’art. 151 v. il commento di  M. Marletta, Ivi, p. 808.
  9. Sulle tre disposizioni, inoltre, cfr. il commento di I. Pingel, in Commentaire article par article des Traités UE et CE (a c. di  I. Pingel), Paris, Bruxelles, 2010, p.1085.
  10. Sull’art. 47 v. il commento di G. Contaldi, Trattati dell’Unione Europea e della Comunità Europe, cit.,  p. 394.  Inoltre,  cfr. il commento di L. Truchot, in Commentaire article par article des Traités UE et CE, cit., p.519.
  11. Sugli interventi dell’Ue nel settore della cultura v. tra l’altro: R. Craufurd Smith (cur.), Culture and European Union law, Oxford, New York, 2004; A. Littoz-Monnet, The European Union and culture: between economic regulation and European cultural policy, Manchester, 2007; D. PhillipsH. Ertl (cur.), Implementing European Union education and training policy: a comparative study of issues in four member states, Dordrecht, 2003; E. Psychogiopoulou, The Integration of Cultural Considerations in EU Law and Policies, Leiden, Boston 2008.
  12. Sul punto v. F. Caruso, op.cit., in cui l’autore precisa a questo proposito che «…per i profili menzionati in precedenza, l’azione comunitaria e, in futuro dell’Unione, è solo eventuale e deve consistere in un sostegno a favore degli Stati membri – senz’altro unici competenti a decidere per quanto concerne contenuti dell’insegnamento ed organizzazione del sistema di istruzione – e non può dar luogo ad alcuna armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari dei predetti Stati membri».
  13. Sul riparto delle competenze tra Stati membri e Ue nel Trattato di Lisbona, dal punto di vista generale, v. F. Caruso, La disciplina dell’esercizio delle competenze di Stati membri ed Unione nel Trattato di Lisbona, in Studi in onore di Umberto Leanza, Napoli, 2008, p. 935.
  14. Così il par. 4 dell’art. 165:  «Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo:
    - il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando in conformità della procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, adottano azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri,
    - il Consiglio, su proposta della Commissione, adotta raccomandazioni».
  15. Come già rilevato, tale “visione” implica la realizzazione di una «dimensione europea dell’istruzione».
  16. Così, rispettivamente le versioni in lingua inglese, francese, spagnola e tedesca: «encouraging the development of distance education»; «à encourager le développement de l’éducation à distance»; «fomentar el desarrollo de la educación a distancia»; «Förderung der Entwicklung der Fernlehre».
  17. Sulla definizione della nozione di istruzione a distanza v., tra gli altri,: L. Ayers SchlosserM. R. Simonson, Distance education: definitions and glossary of terms,  Greenwich, 2010.
  18. Il termine «Società dell’Informazione» fu, infatti, usato nel Libro bianco su crescita, competitività e occupazione, del 1993,  noto come “Rapporto Delors”. In questo documento  veniva utilizzato questo termine che appariva idoneo a indicare un contesto espressione dei profondi cambiamenti dovuti al rapido diffondersi dell’Information and communication technology (ITC). Si prefigurava quindi un sistema incentrato sulla diffusione universale dei servizi di comunicazione e sulla raccolta, elaborazione e trasferimento delle informazioni. V.: Crescita, competitività, occupazione – le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo – Libro bianco /* COM/93/700DEF */. Sul valore giuridico in generale dello strumento del Libro bianco v. G. Fiengo, Gli atti “atipici” della Comunità europea, Napoli, 2008, p. 129
  19. Per un inquadramento della materia dal punto di vista giuridico in ambito europeo v., tra gli altri,: A. Harcourt, The European Union and the Regulation of Media Markets, Manchester, 2007; N. Parisi, Casi e materiali di diritto europeo dell’informazione e della comunicazione, Napoli, 2007; N. Parisi – D. Rinoldi (cur.), Profili di diritto europeo dell’informazione e della comunicazione, Napoli, 2007; D. Ward (cur.), The European Union and the Culture Industries, Regulation and the Public Interest, Hampshire, 2008.
  20. Cfr.: http://ec.europa.eu/archives/ISPO/infosoc/backg/bangeman.html
  21. V.: http://ec.europa.eu/archives/ISPO/docs/htmlgenerated/i_COM(94)347final.html
  22. Sul valore giuridico dei Libri verdi v. G. Fiengo, op.cit., p. 129.
  23. V.:  http://europa.eu/documentation/official-docs/green-papers/index_it.htm
  24. COM (95) 688, dicembre 1995.
  25. COM (96) 389, luglio 1996.
  26. COM (97) 623, dicembre 1997.
  27. COM (98) 585, gennaio 1999.
  28. In merito v:  http://europa.eu/legislation_summaries/information_society/l24221_it.htm
  29. V.: http://europa.eu/legislation_summaries/information_society/l24226a_it.htm
  30. V.: http://europa.eu/legislation_summaries/information_society/l24226_it.htm
  31. V.: http://europa.eu/legislation_summaries/information_society/c11328_it.htm
  32. V.: http://europa.eu/legislation_summaries/energy/european_energy_policy/i23022_it.htm
  33. Per un’analisi dell’argomento v: M. Baslé – T. Pénard (cur.), e Europe: La société européenne de l’information en 2010, Paris, 2002.
  34. Sulla tutela della proprietà intellettuale nel diritto dell’Ue, v., tra gli altri,: T. Cook, EU intellectual property law, Oxford, New York,  2010; AA.VV., Intellectual Property Law in the European Community: A Country-by-country Review, Concord, 2007; P. Bernt Hugenholtz (cur.), Copyright and Electronic Commerce: Legal Aspects of Electronic Copyright Management, The Hague, 2000;  D. T. Keeling, Intellectual Property Rights in EU Law,  Vol. I, Free Movement and Competition Law, Oxford, New York, 2004; G. Mazziotti,  EU digital copyright law and the end-user, Berlin, 2008; C. Seville, EU intellectual property law and policy, Cheltenham, 2009; J. D.C. Turner, Intellectual Property and EU Competition Law, Oxford, New York, 2010; M. Walter - S. von Lewinski (cur.), European Copyright Law A Commentary, Oxford, New York, 2010.
  35. Sulla Carta v., ex multis,: R. Adam, Da Colonia a Nizza: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2000, 4 , p. 882; L. Daniele, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e Trattato di Lisbona, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2008, 4, pp. 655; M. Napoli (cur.) La Carta di Nizza: i diritti fondamentali dell’Europa, Milano, 2004; E. Pagano, Dalla Carta di Nizza alla Carta di Strasburgo dei diritti fondamentali, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2008, I, p. 94.
  36. Per quanto riguarda invece il Trattato CE, l’art. 30 – ora art. 36 TFUE-  stabilisce una deroga al divieto di restrizioni alle importazioni o alle esportazioni, tra l’altro, per ragioni riguardanti la tutela della proprietà industriale e commerciale. In proposito cfr. G. Tesauro, Diritto Comunitario, Padova, 2005, p. 444, e la giurisprudenza pertinente ivi citata. In particolare l’autore, precisando che «In realtà la formula utilizzata nell’art. 30, potrebbe a stretto rigore non comprendere i diritti di proprietà letteraria ed artistica, che viceversa la giurisprudenza ha sempre compreso», accoglie quindi l’interpretazione secondo cui: «La proprietà intellettuale designa l’insieme dei diritti riconosciuti da un ordinamento per la tutela del brevetto, del marchio, del diritto d’autore, dei modelli e disegni ornamentali, del diritto di costituzione di specie vegetali, nonché dei diritti connessi».
  37. Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001,   sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione del Parlamento europeo e del Consiglio. GU L 167 del 22.6.2001, p. 10.
  38. Per completezza si rileva che, successivamente, la materia della tutela dei diritti di proprietà intellettuale è stata altresì disciplinata dalla Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio  del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. GU L 157 del 30.4.2004, p. 45. Tuttavia l’art. 2 della medesima precisa che essa «si applica fatto salvo il disposto delle norme specifiche sull’attuazione dei diritti e sulle eccezioni contenute nella legislazione comunitaria in materia di diritto d’autore e diritti connessi al diritto d’autore, segnatamente nella direttiva 91/250/CEE, in particolare l’articolo 7 della medesima, o nella direttiva 2001/29/CE, e in particolare gli articoli da 2 a 6 e l’articolo 8 di quest’ultima ».
  39. Così l’art. 1 della Direttiva.
  40. Sul tema della tutela giuridica del diritto d’autore è intervenuta la Commissione con il Libro verde Il diritto d’autore nell’economia della conoscenza. COM(2008) 466 def. Questo documento ha inteso stimolare  un dibattito sui metodi migliori  per garantire la divulgazione online delle conoscenze per la ricerca, la scienza e l’istruzione. Inoltre esso affronta alcuni problemi relativi al ruolo del  diritto d’autore in quella che viene definita come  “economia della conoscenza” al fine di avviare  una consultazione su tale tema.
  41. Sul diritto d’autore nell’ordinamento internazionale v., tra gli altri,: R. Mastroianni, Diritto internazionale e diritto d’autore, Milano, 1997.
  42. Si tratta di Trattati adottati nell’ambito del World Intellectual Property Organization (Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale) che è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite la cui attività è rivolta alla realizzazione di un sistema equilibrato di tutela della proprietà intellettuale a livello internazionale. Il testo della Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie e artistiche è reperibile su: http://www.wipo.int/treaties/en/ip/berne/trtdocs_wo001.html; il testo del Trattato sul diritto d’autore è reperibile su http://www.wipo.int/treaties/en/ip/plt/trtdocs_wo038.html; il testo del Trattato sulle interpretazioni, le esecuzioni e i fonogrammi è reperibile su:  http://www.wipo.int/treaties/en/ip/phonograms/trtdocs_wo023.html .
  43. Così il nono Considerando della Direttiva: «Ogni armonizzazione del diritto d’autore e dei diritti connessi dovrebbe prendere le mosse da un alto livello di protezione, dal momento che tali diritti sono essenziali per la creazione intellettuale. La loro protezione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo della creatività nell’interesse di autori, interpreti o esecutori, produttori e consumatori, nonché della cultura, dell’industria e del pubblico in generale. Si è pertanto riconosciuto che la proprietà intellettuale costituisce parte integrante del diritto di proprietà».
  44. La Corte di giustizia, ad oggi, infatti si è pronunciata su diverse diposizioni della Direttiva ed anche in merito all’art. 5 ma con particolare riferimento ai parr. 1 e 5 e, dunque, mai relativamente all’eccezione didattica prevista dal par. 3, lett. a) della medesima norma. Per esempio, sulla nozione di “riproduzione” relativamente a opere letterarie, v.: Corte giust., sentenza 16.7.2009, causa C-5/08, Infopaq International A/S/Danske Dagblades Forening, non ancora pubblicata in Raccolta. A riguardo cfr.: http://eur-lex.europa.eu/.
  45. Sulla normativa italiana di recepimento della  Direttiva v., tra gli altri,: S. Ercolani, Il diritto d’autore e i diritti connessi. La legge n. 633/1941 dopo l’attuazione della Direttiva n. 2001/29/CE,  Torino, 2004; M. Fabiani,  Le eccezioni e limitazioni ai diritti degli autori nella Direttiva 2001/29/CE e nella sua attuazione nei paesi della Comunità, in Il Diritto d’autore, 2005, 2, p. 137; AA.VV., Diritto d’autore e diritti connessi nella società dell’informazione: Decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68 in attuazione della Direttiva 2001/29/ CE, Milano, 2003.
  46. G.U. n. 87 del 14.4. 2003 – Supplemento Ordinario n. 61.
  47. G.U. n.166 del 16 .7. 1941.
  48. L’art. 9 del d.lgs. 9 aprile 2003, n. 68,  ha provveduto alla sostituzione del capo V del titolo I della legge 22 aprile 1941, n. 633  ove  è collocato anche  l’art.70 che riguarda l’eccezione per scopi didattici.
  49. Così il comma 1 dell’art. 70, in base a quanto disposto dal d.lgs. n.68 del 2003.
  50. Così il comma 3 dell’art. 70.
  51. Infatti disciplina italiana riguardante la c.d. “eccezione didattica” è stata poi  integrata e “aggiornata” con particolare riguardo a «immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate» pubblicate a titolo gratuito su internet per uso didattico o scientifico,  in virtù di  dell’art. 2 della legge 9 gennaio 2008 n. 2 che  dispone l’inserimento di un comma 1 bis dopo il comma 1 dell’articolo 70 della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni. Cfr. Legge 9 gennaio 2008 n. 2,  «Disposizioni concernenti la Società’ italiana degli autori ed editori», in G.U. n. 21 del  25 gennaio 2008. Il nuovo comma statuisce: « È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma».