Numero 13/14 - 2017

  • Numero 1 - 2008/2009
  • Politiche

Per l’e-Learning nelle università italiane

di Giovanni Ragone

Il nostro paese è in ritardo, ma possiamo e dobbiamo recuperare, e stiamo costruendo le condizioni istituzionali perché questo possa avvenire più rapidamente. Le scelte compiute dal governo negli anni 2003-2006 hanno deviato il sistema in una direzione sbagliata, occorreva invertire la rotta, e su un terreno appositamente minato. La scelta di abbandonare l’e-learning delle università alle iniziative spontanee, “aprendo il mercato” a nuove università telematiche – per lo più private, apriva uno scenario potenzialmente devastante, del quale si sono visti solo i primi movimenti: canali di formazione a livello di primo e secondo ciclo universitario “facili” e fuori da ogni dinamica di controllo della qualità, accaparramento della formazione universitaria degli adulti lavoratori da parte di questi nuovi attori, spinta oggettiva alla delegittimazione dell’e-learning nelle università “normali”. La tutela del nuovo business si è spinta a tal punto da sottrarre l’istituzione delle “telematiche” e l’istituzione e attivazione dei loro corsi a ogni controllo da parte della pure assai timida filiera della valutazione prevista dalle leggi per ilo nostro sistema di istruzione superiore.

Bloccare la proliferazione di un business politicamente protetto che ha spinto avventurosi imprenditori a travestirsi da “ateneo” con scarsissima competenza (le iscrizioni – l’università più facile si paga – avrebbero più che compensato le spese per i docenti – senza dover comunque assumere nessuno) era il primo imperativo. Nel complesso, questo è avvenuto. Ma la posta in gioco è quella di una vera, organica ed efficiente regolazione della materia, che stimoli l’altro movimento: la vera diffusione pervasiva dell’e-learning delle università, l’interconnessione e ibridazione con la didattica e con le forme dell’apprendimento che stanno mutando sensibilmente, e infine l’estensione dell’e-learning universitario come strumento fondamentale per la “terza missione” delle università, vale a dire (oltre alla ricerca e alla formazione dei giovani) il life-long-learning, e in particolare la formazione superiore degli adulti/ dei lavoratori.

Il decreto interministeriale in corso di emanazione, e altri provvedimenti connessi, si muovono in quella direzione: procedure e requisiti di accreditamento dei corsi a distanza, tali da richiedere e al tempo stesso da favorire un investimento in questa direzione da parte delle università, e tali da scoraggiare le iniziative avventurose e da smontare la stessa idea che un soggetto dotato di numeri ridicoli di docenti possa essere riconosciuto e promosso come una università. Si definisce come “corso di studio a distanza” delle Università un corso di laurea che preveda l’apprendimento mediante sistemi telematici per almeno due terzi del numero complessivo di CFU. I requisiti generali e i criteri organizzativi e di qualità per l’istituzione e l’attivazione dei corsi di studio a distanza e in ogni caso per le attività formative delle Università che prevedono apprendimento mediante sistemi telematici sono definiti dal Ministro, su parere dell’ANVUR. E comunque, i requisiti strutturali, organizzativi e di qualificazione dei docenti dei corsi di laurea sono ricondotti alla disciplina “normale” degli ordinamenti didattici (la regola dei dodici docenti di ruolo per una laurea triennale, per esempio, di cui è prevedibile una consistente riduzione a sei in caso venga attivato un corso di laurea on line omologo). I requisiti organizzativi e tecnici sul piano del coordinamento, della formazione di insegnanti e tutor, della gestione amministrativa, delle integrazioni di sistema, della trasparenza dell’offerta formativa, della qualità dell’interazione didattica, dei ruoli e forme dell’attività di tutoraggio, delle forme della verifica in itinere e finale, e delle soluzioni tecnologiche intesi come criteri “di qualità” sulla base dei quali è possibile l’accreditamento e la valutazione periodica – sono stati ridisegnati con il contributo del gruppo di lavoro nominato dal ministro Mussi, del quale fanno parti autorevoli esperti universitari, alcuni dei quali sono ai vertici della SIe-L.

L’emanazione del decreto di riforma è una tappa decisiva, indispensabile per dare forza al movimento. Ma i compiti a cui l’azione di governo deve rispondere, di lì in avanti, sono più complessi. Occorre infatti che la questione esca dall’emergenza e occupi il giusto rilievo all’interno dell’agenda politica ed operativa dell’università. Le permanenti resistenze di settori del corpo docente, che non sono altra cosa dalla resistenza più generale a riflettere e innovare in materia di didattica, vanno attenuate affrontando temi finora inevasi (per es. il pieno riconoscimento delle attività di insegnamento on line, una chiara disciplina della trasferibilità dei crediti, una regolamentazione circa i temi del copyright per i learning objects, ecc). Vanno favorite le reti tra università, e anche i consorzi tra università e soggetti in grado di fornire infrastrutture e collaborazione a vario titolo. E occorre costruite reti in grado di portare a sistema l’offerta che è già a disposizione, e può essere estesa orizzontalmente, migliorata qualitativamente e promossa a livello nazionale (e internazionale). In particolare, l’offerta – da coordinare anche a livello di reti regionali supportate dalle Regioni – di moduli utili per la formazione permanente. Nell’insieme, si tratta di azioni che richiedono anche investimento di risorse (in una certa misura reperibili, soprattutto con fondi CIPE), oltre a un nuovo set di indicatori e incentivi specifici nel sistema di finanziamento attraverso FFO sulla base della attività di valutazione dell’ANVUR, e a un forte coordinamento istituzionale delle università con MiUR e Regioni per dare vita a reti organizzate rivolte agli adulti.

Ultima, ma non ultima in ordine di importanza, la scelta culturale di fondo, in favore della qualità: l’e-learning non è la didattica di chi “non può frequentare normalmente”, quindi di settori potenzialmente esclusi e comunque “diversi”. E’ invece una delle forme metamorfiche dell’università che cambia perché cambia la comunicazione, e con essa tutti i processi culturali. Gli studenti non possono apprendere se non in un ibrido tra il libro e le tecnologie digitali. Un fatto semplice ma decisivo, che ci sfida a ribaltare i modelli, costruendo comunità di apprendimento, e praticando l’immissione diretta degli studenti nella ricerca e nel lavoro professionale concreto. Al centro dell’università del XXI secolo, e dunque non solo come modello della “classe” in e-learning, è il gruppo di ricerca, il laboratorio, la comunità che ricerca e apprende.

Una trasformazione che va considerata nella sua problematicità, ma anche nella sua necessità e per le nuove opportunità che si aprono. La mission che viene affidata alle università è complessa e trasversale: formare giovani e adulti, ricercare e trasferire, contribuire alla vita del paese e alla crescita globale come motori dell’innovazione. Potrà rispondervi solo una università aperta, ma non digeribile dal mercato. Una istituzione che si senta autonoma, protagonista, fuori dalla cristallizzazione inerziale e particolaristica delle vecchie forme. In grado di sostenere la sfida della massa critica, della qualità, della competizione a livello almeno europeo e della valutazione come criterio generale per ogni scelta di investimento.

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