Numero 13/14 - 2017

  • Numero 13/14 - 2017
  • Saggi

L’educazione al suono e alla musica come ‘nutrimento acustico’: l’importanza delle attività educativo-didattiche al nido e delle esperienze prenatali negli interventi tempestivi dei Disturbi Evolutivi Specifici (DSE)

di Giuseppe Sellari

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi [Marcel Proust]
… e nuove orecchie!

La musica nella prospettiva inclusiva al nido

Abitualmente si considera l’educazione al suono e alla musica come un processo educativo in grado di coinvolgere in maniera esclusiva l’ambito dell’intelligenza musicale senza tenere in considerazione che sia riconducibile ad aspetti molto più ampi ed eterogenei. Il suono è un elemento presente in natura come l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo, è indice primordiale di vita[1]
e componente insito nel nostro DNA[2]: non a caso quando nasciamo è il primo segnale che emettiamo per rivelare la nostra esistenza. Nelle sue diverse caratteristiche e organizzazioni in strutture e sistemi musicali, si configura come un efficace mediatore tra l’individuo e l’ambiente esterno, ed è in grado di sostenere gli apprendimenti disciplinari e favorire l’appartenenza e la partecipazione fin dall’ambito prescolare[3]. La musica infatti, proprio per sua natura, svolge una straordinaria funzione paideutica[4] e promuove didatticamente, soprattutto in contesti laboratoriali interdisciplinari, atteggiamenti aperti al rispetto e all’accettazione delle differenze[5].

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha più volte riconosciuto il potere che la musica può esercitare sul ‘funzionamento umano’[6] e in particolar modo sotto il profilo affettivo, emotivo, sociale, cognitivo e psicomotorio. Per questo , già in età prescolare, può essere uno ‘strumento compensativo’ di straordinaria efficacia in grado di offrire sostegno nella gestione inclusiva del gruppo e facilitare la costruzione di un ambiente accogliente e funzionale all’apprendimento di tutti[7].

Secondo le recenti indicazioni nazionali per il sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino ai sei anni[8], l’asilo nido è un ambiente di apprendimento aperto alla diversità e al pluralismo al fine di promuovere in tutti i soggetti un atteggiamento progressivamente consapevole e attivo[9]. Seguendo quest’ottica e il modello culturale e antropologico espresso dall’International Classification of Functioning, Dysability and Health (ICF) dell’Organizzazione mondiale della Sanità, la musica è un ‘fattore ambientale’ in grado di promuovere la socializzazione e di incrementare il livello di intelligenza intra e interpersonale favorendo al contempo il miglioramento delle prestazioni dei soggetti con bisogni educativi speciali[10]. Pertanto l’arte dei suoni, che si sviluppa all’interno di relazioni con il mondo esterno con la sua capacità di soddisfare determinati obiettivi e con la sua facoltà di assumere funzioni simboliche e strumentali, non solo plasma la nostra mente[11], ma in maniera congiunta favorisce la crescita educativa del bambino potenziandone la sua ‘immaginazione acustica’[12], requisito quest’ultimo imprescindibile per ogni forma di conoscenza, artistica e scientifica.

A fronte di quanto esposto finora è auspicale che, nell’organizzazione laboratoriale dei percorsi educativo-didattici al nido, l’educazione al suono e alla musica non solo sia parte integrante dell’offerta formativa, ma che venga proposta con un’apertura inclusiva e trasversale alle altre attività per favorire al meglio un’esperienza diversificata e calata sulle differenti dimensioni di ciascun bambino[13].

Le esperienze sonore e musicali nelle forme di prevenzione primaria

Quando si parla di educazione e apprendimento al nido durante la prima infanzia, il riferimento alla vita prenatale è quanto mai d’obbligo. Sappiamo, grazie soprattutto ai recenti studi di ricerca, che il bambino fetale è intelligente e sensibile e che il periodo gestazionale influenza l’apprendimento e la percezione nella vita postnatale[14]. Tuttavia siamo soliti etichettare come ‘innate’ alcune particolari competenze osservabili nei bambini durante la prima infanzia, ma che in realtà hanno inizio nella vita intrauterina e si sviluppano nel corso della gestazione attraverso tappe evolutive ben precise. Così come ampiamente dimostrato dalla letteratura scientifica[15], le esperienze precoci intessute ancor prima di venire al mondo possono infatti ripercuotersi significativamente sul funzionamento cognitivo successivo, indipendentemente dal fatto che la maggior parte delle esperienze di apprendimento avvengano comunque solo dopo la nascita. Durante la gravidanza il feto matura una serie di funzioni (organiche, fisiologiche, cognitive, motorie, sensoriali ecc.), la cui osservazione da parte degli specialisti, dove praticabile, permette il monitoraggio dello sviluppo e del suo benessere. Attraverso specifici esami ecografici è possibile infatti esaminare il comportamento fetale nel suo habitat naturale e indagare i fenomeni evolutivi che scandiscono le fasi della vita prenatale[16]. Tra le due e le tre settimane ‘postconcezionali’ il primo sistema a organizzarsi è il sistema nervoso, dapprima attraverso la proliferazione neuronale e successivamente con la migrazione delle specifiche aree e le relative connessioni sinaptiche. Quest’ultime continuano a implementarsi e a plasmarsi anche dopo la nascita e in particolare durante i primi diciotto mesi: per questo il monitoraggio della vita prenatale, le prime esperienze di apprendimento e le attività di osservazione al nido rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle future competenze del bambino e per gli interventi tempestivi nei disturbi evolutivi specifici (DSE).

Sappiamo, grazie agli studi sulle neuroscienze e alla moderna scienza della neuromusicologia, che l’esposizione al suono e la pratica della musica hanno un effetto modellante e di trasformazione sul nostro cervello e sono in grado di sollecitare in noi risposte emotive che producono piacere grazie all’attivazione del ‘circuito della gratificazione’: dopamina-ossitocina-endorfine. Siamo inoltre a conoscenza che «la musica non è soltanto un placebo, ma che di fatto esercita un impatto concreto e trasformativo su di noi, a partire da ogni singola cellula»[17]. Pertanto il laboratorio di educazione al suono e alla musica concepito in una prospettiva inclusiva può favorire l’osservazione dei comportamenti e il livello delle risposte percettive, motorie e cognitive. Inoltre il coinvolgimento globale e spontaneo a questo tipo di attività permette al bambino di esprimere liberamente se stesso e di partecipare nel rispetto delle sue esigenze e dei suoi tempi di apprendimento. Al di là quindi della possibilità concreta di incidere sul rendimento futuro alla musica, attraverso un intervento educativo mirato è parimenti possibile con le attività di ascolto, di canto, di danza e di musica d’insieme al nido svolgere alcune forme di prevenzione primaria per combattere e ostacolare le cause e i fattori predisponenti di determinati disturbi che possono incidere durante l’età evolutiva in modo rilevante sul benessere psico-fisico. Non dimentichiamo infine che l’esperienza più significativa del ‘fare musica’ è di tipo emotivo e che la musica produce un ‘effetto energizzante’ tale da indurre al movimento e all’azione chi l’ascolta o la produce.

Musica e movimento: dall’esercizio motorio fetale alle attività ‘euritmiche’ al nido

Durante la vita intrauterina la ricognizione delle funzioni fetali come quelle motorie attraverso strumentazioni di ultima generazione, permette di identificare e di classificare le tappe evolutive e di valutare lo sviluppo e l’integrità del sistema nervoso. L’attività motoria infatti appare precocemente quando l’embrione ha un’estensione di circa un centimetro, dapprima attraverso movimenti rudimentali e sporadici e gradualmente in pattern motori sempre più complessi. Contemporaneamente allo sviluppo delle vie nervose motorie, si evolvono le vie sensitive e degli organi di senso che permettono al feto, ancor prima della formazione dell’organo dell’udito, di percepire i suoni attraverso il tatto. Intorno alla sesta e settima settimana si manifestano i movimenti ‘vermicolari’ occasionali e di breve durata che interessano tutto il corpo. Successivamente compaiono i movimenti generalizzati che dalle gambe si trasmettono al collo e alla testa. Nell’ambiente uterino, il feto sviluppa la sua motricità e le sue capacità neurosensoriali seguendo delle fasi ben scandite che da un punto di vista funzionale possono essere distinte in tre categorie: 1) movimenti precoci che si estinguono al termine della gravidanza; 2) movimenti legati alla sopravvivenza del feto e del suo normale sviluppo; 3) movimenti preparatori alle funzioni postnatali. Tra la ventottesima e trentaduesima settimana l’attività motoria raggiunge il suo massimo sviluppo quando già si sono manifestati il singhiozzo, lo sbadiglio, il sorriso e i movimenti oculari. Una volta nato, il bambino continuerà il suo sviluppo motorio secondo tappe ben scandite che lo porteranno inizialmente a prendere consapevolezza dello spazio intorno a sé e delle sue abilità di articolazione (la fase di esplorazione attraverso il ‘movimento fluente’), per poi raggiungere lo stato di equilibrio (rimanere seduti o in piedi senza il bisogno di un sostegno) e, intorno al primo anno di vita, il senso ritmico che gli consentirà di muovere i primi passi[18].

Sfruttando l’‘effetto energizzante’ del suono e della musica a cui si è accennato in precedenza, è possibile favorire, attraverso adeguate stimolazioni, l’esercizio motorio del feto e lo sviluppo sensomotorio della prima infanzia[19] secondo un percorso evolutivo scandito nel tempo. Per questo si ritiene che nelle attività ludico-didattiche al nido con il suono e la musica sia importante mettere in evidenza l’espressione corporea sia inizialmente attraverso la percezione motoria, sia in un secondo momento estendendola alla sfera cognitiva, creativa e socializzante. A tale proposito si ritiene possano essere di valido aiuto gli insegnamenti di Jean-Jaques Dalcroze[20] che con il suo metodo pedagogico basato sull’‘euritmica’ e lo sviluppo dell’‘orecchio interiore’ favorirebbe non solo un adeguato apprendimento musicale, ma un più armonico sviluppo corporeo con le sue funzioni respiratorie, di equilibrio, di controllo della tensione muscolare e degli esercizi motori vari. Queste indicazioni rivestono inoltre una grande importanza se considerate anche in una prospettiva di prevenzione primaria dei disturbi neonatali: programmi di ricerca legati alla stimolazione sonoro-musicale e alla reattività motoria infatti potrebbero permettere un’indagine più accurata dei fenomeni evolutivi e del benessere fetale[21] e forse riuscire a prevenire quei disturbi dello sviluppo e quelle patologie[22] che a oggi è possibile diagnosticare solo dopo la nascita, come ad esempio l’autismo.

La funzione uditiva nello sviluppo musicale e linguistico: un processo evolutivo trasversale dalla vita prenatale al nido

L’udito e la vista, a differenza del tatto, dell’olfatto e del gusto, si evolvono più tardivamente. Le sensazioni visive, che influenzano l’attività motoria fetale, aumentano solo con l’approssimarsi della fine della gravidanza quando la cavità uterina tende a essere gradualmente meno buia. Tutto ciò è sintomatico della ciclicità dello sviluppo fetale legata alle funzioni vitali e al reale fabbisogno del suo benessere. Alcuni organi in particolare, come ad esempio l’udito, favoriscono già nella vita prenatale le prime interazioni e i legami con l’ambiente fisico e umano e l’apprendimento di specifiche abilità come quella linguistica e musicale che si manifestano solo dopo la nascita. L’organo dell’udito completa il suo sviluppo al raggiungimento della trentaduesima settimana quando il feto è ormai in grado di percepire i suoni, anche se attutiti dal liquido amniotico e dalle pareti interne, che provengono dalla madre (il battito cardiaco, la voce, il respiro ecc.) e dal mondo esterno, reagendo con attività motorie. Durante questa fase, all’interno del sacco amniotico, l’udito per completare la sua corretta formazione secondo il normale sviluppo genetico ha la necessità di ricevere stimolazioni sonore adeguate. L’interazione con l’ambiente circostante intra ed extra uterino diventa pertanto di primaria importanza, soprattutto se si considera che la funzione uditiva svolge un ruolo fondamentale per la sfera psichica dell’individuo perché è la più direttamente connessa con lo sviluppo equilibrato del sistema nervoso. Mediante la funzione uditiva, il feto raggiunge la maturazione nelle capacità reattive, modella le vie nervose in sviluppo e, attraverso l’esperienza e la partecipazione attiva con l’ambiente, inizia ad apprendere e a ricordare. Krumhansl e Jusczyk[23] hanno dimostrato che i bambini tra i quattro e i sei mesi sono particolarmente sensibili alla struttura, all’unità e alle articolazioni della frase musicale che riescono a segmentare grazie al riconoscimento di determinati indici con valore sintattico (come l’abbassamento dell’altezza del suono finale e la sua durata, l’intervallo di ottava ecc.). Ulteriori studi hanno confermato il fenomeno della segmentazione basato su indici anche in campo linguistico dove la suddivisione verrebbe realizzata dal bambino attraverso l’intonazione prosodica dell’adulto[24]. Tutto ciò confermerebbe l’importanza dell’ambiente intrauterino e l’esperienza postnatale nel fornire le basi per l’apprendimento di questi indici sia per il linguaggio, sia per la musica[25].

Le attività di apprendimento esperienziale e ludico-didattiche al nido con il suono e la musica dovrebbero pertanto sempre tenere presente questi aspetti evolutivi e fornire quegli strumenti indispensabili a stimolare i processi cognitivi e i comportamenti verbali e sociali dei piccoli. Molta cura e attenzione andrebbero quindi rivolte nella scelta delle esperienze sonoro-musicali da proporre ai bambini, soprattutto per quanto riguarda il canto. Cantare in coro è una delle attività ludiche ed educative più significative dell’esperienza al nido perché la voce rappresenta non solo una forma di comportamento, ma il nostro vissuto più intimo e recondito. Inoltre il canto, se ben gestito, favorisce lo sviluppo della voce eufonica e di conseguenza la prevenzione dei disturbi fonatori, che tanto influiscono sulla sfera emotiva e su quella comunicativa, nonché l’accrescimento delle abilità emotive, sociali e linguistiche già in età prenatale.

Musica, Voce ed Emozioni: tre dimensioni imprescindibili nelle attività educative al nido

Negli anni Ottanta del secolo scorso alcune ricerche sulla percezione linguistica nei neonati avevano rivelato come alcune sequenze verbali pronunciate a più riprese dalle madri durante la gravidanza, fossero preferite dai loro bambini dopo il parto[26]. Il riconoscimento in utero della voce materna avviene grazie alla percezione dell’intonazione e del ritmo, parametri quest’ultimi che permetterebbero successivamente al neonato di distinguerla e di preferirla rispetto alla voce degli altri. Una volta nato, infatti, sarà soprattutto la voce della madre ad attirare la sua attenzione e a regolare le sue emozioni, anche più del riconoscimento del volto umano. Alcune recenti ricerche svolte in Francia e in Germania sul pianto neonatale hanno rivelato che nei loro primi vagiti i bambini parlano già la lingua dei loro genitori. Secondo i risultati emersi dalle analisi effettuate infatti il tono risulta essere crescente nei bebè francesi e calante in quelli tedeschi, in accordo con il profilo melodico delle due lingue. Poiché il pianto è stato analizzato a tre giorni di vita, l’ipotesi è che i bambini abbiano assorbito l’accento durante la gestazione[27]. La funzione uditiva, pertanto, svolgerebbe un ruolo di primaria importanza nello sviluppo fetale e neonatale ancor prima della funzione visiva. Affinché il neonato possa però privilegiare la voce materna e stabilire ciò che Imberty definisce ‘relazione simbiotica di scambio’[28], è necessario che la madre si rivolga intenzionalmente al bambino con un’intonazione melodica particolare e attraverso sequenze linguistiche o sonore reali. Studi come ad esempio quelli di Lecanuet[29] sul funzionamento dell’apparato uditivo intorno alla ventiquattresima/trentesima settimana di gestazione, rivelano quanto sia intensa l’attività percettiva e reattiva agli stimoli sonori e alla musica già durante la gravidanza. A questi stimoli, anche se filtrati dal liquido amniotico, il feto reagisce con variazioni del battito cardiaco e con movimenti delle palpebre, del capo, degli arti e del tronco[30]. Sarà proprio questa esperienza che condizionerà il suo sviluppo psichico e che stabilirà la prima forma di scambio e di legame con l’ambiente circostante, sia fisico e sia umano. La voce parlata e il canto attivano in modo precoce l’incontro emotivo tra la mamma e il bambino prenatale favorendo in lui lo sviluppo della struttura cerebrale e della sua personalità, nonché la sua capacità di crescere nella relazione affettiva. La madre è una porta verso il mondo esterno che il figlio sfrutta e dalla quale è influenzato molto più di quanto non si ritenesse in passato. È durante la fase gestazionale infatti che il feto riceve un imprinting fortissimo e matura tutte quelle competenze che fanno parte del suo prezioso bagaglio genetico e che vanno sostenute e incoraggiate già durante le esperienze educative al nido, a partire dal rispetto delle norme igenico-comportamentali: lo stress, l’ansia e le paure raggiungono l’utero immediatamente influenzando il suo sviluppo fisico e psichico. Durante la vita intrauterina si instaura così una relazione e una comunicazione sempre più intima tra la madre e il nascituro: l’attenzione a una sana alimentazione e a ritmi di vita umanamente sostenibili, il canto materno, le parole e le carezze dei genitori stimolano la sensibilità del feto favorendo in lui le capacità emotive ed empatiche, così come la sua sensibilità e l’amore per la vita.

Per crescere il bambino ha quindi bisogno di esprimere se stesso e le sue emozioni in un ambiente ricco di ‘facilitatori’ in cui vivere apertamente le proprie esperienze e la propria condizione personale cercando di scoraggiare fin da subito la comparsa di atteggiamenti demotivanti e di scarsa autostima. L’asilo nido diventa allora l’ambiente privilegiato, il laboratorio di sperimentazione ideale dove affrontare fin da subito le ‘nuove sfide’ educative della scuola di oggi[31] e dove poter (ri-)pensare all’organizzazione di tutte le risorse materiali e umane di cui dispone in una prospettiva di apertura e di valorizzazione delle differenti dimensioni umane all’interno di un contesto ricco dei mediatori di apprendimento necessari allo sviluppo di tutti e di ciascuno. La musica può (o meglio ‘deve’) essere quindi proposta al nido con modalità ludico-didattiche flessibili e possibilmente in una organizzazione laboratoriale in grado di adattarsi in maniera più efficace alle caratteristiche peculiari di tutti i bambini, con sviluppo tipico e non. Educare al suono e alla musica, non dimentichiamolo, vuol dire anche educare al silenzio e alla concentrazione perché ciascun individuo per temperamento può avvertire il bisogno di spazi per sé e di contatti selezionati. Un buon educatore deve pertanto saper distinguere la differenza che esiste tra l’‘isolamento difensivo’ e quello creativo per la salvaguardia e il rispetto delle esigenze personali di ognuno.

Nuove Aperture: la prevenzione primaria continua dalla vita prenatale all’asilo nido

In questo breve scritto si è cercato di mettere in evidenza quanto l’educazione al suono e alla musica, al di là delle ricadute certe sullo sviluppo dell’intelligenza musicale, debbano favorire durante la vita prenatale e postnatale momenti di scambio, di stimolo e di crescita diversificati e significativi. Il suono e la musica sono infatti un ‘nutrimento acustico’ di straordinaria importanza per lo sviluppo delle nostre funzioni vitali e possono altresì rappresentare un canale comunicativo alternativo a quelli tradizionali, soprattutto se compromessi in modo parziale o totale. Per questo dovrebbero diventare parte integrante nell’intervento di patologie neurologiche importanti e nella prevenzione primaria dei disturbi evolutivi specifici già durante la delicata fase dell’accudimento al nido. Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, attraverso un’adeguata stimolazione sonoro-musicale è infatti possibile favorire lo sviluppo di numerose funzioni e abilità come quelle motorie, uditive, emotive, linguistiche, vocali, sociali fin dalla loro comparsa, competenze che verranno successivamente affinate nel corso delle prime esperienze di vita. Il diritto allora a crescere con qualità si traduce al nido in un’attenzione e una risposta concreta ai bisogni educativi speciali di ciascun bambino e alla sua prerogativa di diventare protagonista del proprio sviluppo[32]. Il nido d’infanzia può e deve essere quindi un ambiente di apprendimento aperto all’accoglienza di tutte le differenze[33], soprattutto in un’epoca come quella attuale influenzata dalla globalizzazione e da una dimensione della realtà multiforme e variegata[34]. L’eterogeneità nella composizione delle singole sezioni del nido, infatti, induce a considerare imprescindibile oggi più che mai l’aspetto inclusivo al fine di permettere a ciascuno di crescere in armonia condividendo insieme ai propri simili il piacere e lo stupore della scoperta e della conoscenza. Non va dimenticato in questo contesto e nel cammino di crescita e di apprendimento dei piccoli la centralità del ruolo della famiglia che deve essere a pieno titolo coinvolta nel percorso educativo al nido. Se, come abbiamo visto nel corso dei precedenti paragrafi, la stimolazione e l’educazione sonoro-musicale quale «esperienza universale»[35] sono in grado di svolgere un’azione e un effetto reale e concreto sul processo di sviluppo delle persone anche con disabilità, allora può essere utile poter pensare ad attività esperenziali trasversali che possano coinvolgere nell’arco dell’intero ciclo di vita iniziale, dal periodo prenatale alla prima infanzia, tutti i soggetti in causa, adulti (genitori, educatori) e piccoli, per consentire una maggiore partecipazione e una migliore condivisione delle esperienze di crescita. Prevedere ad esempio al nido dei percorsi di ascolto e di pratica musicale durante il periodo gestazionale integrati al laboratorio di educazione al suono e alla musica con i bambini, a mio avviso orienterebbe in maniera più efficace l’intervento educativo inclusivo, favorirebbe nelle mamme (e nei papà) una gestione più agevole delle delicate fasi gestazionali sia sotto il profilo emotivo e sia fisico, e faciliterebbe il monitoraggio, da parte di tutti gli attori coinvolti nel servizio (genitori, ecografisti, ginecologi, psicologi ed educatori), dello sviluppo delle abilità congenite. Si potrebbe allora promuovere, all’interno di un ambiente protetto come l’asilo nido e attraverso le sinergie delle differenti professionalità, una prevenzione primaria continua in grado di accompagnare il nostro ciclo di vita iniziale (-9 / 3 anni) e di promuovere tempestivamente gli interventi sui disturbi evolutivi specifici per la salvaguardia della salute e del benessere dei piccoli.

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  4. G. Moretti, Aristide Quintiliano, sulla musica…, Bari, Levante, 2010; D. De Leo, S. Colazzo, Prospettive musicali. Dialogo filosofico-pedagogico sulla natura della musica e il suo insegnamento, Castigliano dei Greci, Amaltea, 2005.
  5. L. Chiappetta Cajola, Fondamenti teorici e operativi per una didattica dell’inclusione, in Musiche inclusive. Modelli musicali d’insieme per il sostegno alla parteciapazione e all’apprendimento nella secondaria di primo grado (a c. di F. Ferrari e G. Santini), Roma, UniversItalia, 2014, pp. 11-36; AA.VV., Disability Studies. Emancipazione, inclusione scolastica e sociale, cittadinanza, Trento, Erickson, 2013.
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  9. S. Nocera, N. Tagliani, AIPD, La normativa inclusiva nella «Buona scuola». I decreti della discordia, Trento, Erickson, 2017; L. Rondanini, La valutazione degli alunni con BES. Il nuovo quadro normativo e strumenti operativi, Trento, Erickson, 2017.
  10. L. Chiappetta Cajola La musica nell’organizzazione didattica inclusiva: gli alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento, in Musica e DSA. La didattica inclusiva dalla scuola dell’infanzia al Conservatorio (a c. di A. L. Rizzo e M. Lietti), Milano, Rugginenti, 2013, pp. 23-41; D. Ianes, V. Macchia, Didattica per i bisogni educativi speciali. Strategie e buone prassi di sostegno inclusivo, Trento, Erickson, 2008.
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  31. Cfr. Legge 107/2015 e successivi decreti attuativi.
  32. F. Dovigo, Pedagogia e didattica per realizzare l’inclusione. Guida all’Index, Roma, Carocci Faber, 2017.
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