Numero 13/14 - 2017

  • Numero 13/14 - 2017
  • Primo Piano

Il processo di supervisione all’interno dei tirocini curricolari come fattore di costruzione della professionalità

di Elvira Lozupone

Introduzione: i dati di AlmaLaurea sulle esperienze di tirocinio

Il Profilo dei Laureati dell’indagine Alma laurea 2017 sui dati del 2016, prende in considerazione oltre 272 mila laureati nell’anno solare 2016[1].

Nel 2016 attività di tirocinio  hanno riguardato il 56% dei laureati (erano il 44% nel 2006), per cui risulta positiva anche la qualità di queste esperienze, riconosciuta dal 70% dei laureati che hanno svolto attività di tirocinio organizzate dal corso di studi.

Oltre i due terzi dei tirocini sono stati svolti al di fuori dell’università; le esperienze di tirocinio o stage riconosciute dal corso di studi hanno riguardato il 59% dei laureati di primo livello.

I tirocini entrano nel bagaglio formativo di oltre l’83% dei neodottori dei gruppi insegnamento, agraria e veterinaria e professioni sanitarie, mentre interessano solo una minoranza dei laureati dei gruppi ingegneria, letterario, scientifico e giuridico.

Tra i laureati di primo livello, i tirocini risultano purtroppo più diffusi tra coloro che non intendono proseguire gli studi. Si riscontrano frequenti esperienze di tirocinio anche tra i laureati magistrali biennali (58%).

Aggregando il dato dei tirocini triennali con quello dei magistrali biennali la quota dei laureati che hanno svolto un tirocinio sale al  71%. Anche in questo caso i gruppi delle professioni sanitarie, dell’insegnamento, geo-biologico e di educazione fisica si confermano più impegnati in queste attività. Per quanto riguarda i corsi magistrali a ciclo unico la presenza di tirocini riguarda solo il 41% dei laureati, seppure in presenza di situazioni molto diversificate per ambito disciplinare: ben 89 laureati in farmacia su cento ha svolto queste attività, contro il 13% di quelli del gruppo giuridico.

Il tirocinio come valore aggiunto ai fini dell’occupabilità

Tirocini curriculari che siano  formativi e di orientamento, o stage, svolti e riconosciuti dal corso di studi, rappresentano uno degli obiettivi strategici per le università italiane come indice di un progresso sul terreno dell’intesa e della collaborazione tra università e sistema economico.

Per gli studenti rappresentano una carta vincente da giocare sul mercato del lavoro e questa affermazione risulta confermata nel tempo dagli specifici approfondimenti annuali del consorzio Almalaurea: a parità di condizioni, infatti, il tirocinio si associa a una probabilità maggiore dell’8% di trovare un’occupazione, a un anno dalla conclusione del corso di studi[2].

Si tratta di esperienze per le quali si registra un costante aumento anche se ancora non coinvolge la totalità degli studenti universitari.

Tirocinio e terza Missione dell’Università

In questo contributo voglio tenere presenti quelle situazioni in cui i tirocini sono un po’ più lasciati all’iniziativa dello studente e per i quali non risulta un coinvolgimento attivo dei tutor universitari, come accade  per alcune facoltà all’interno del nostro Ateneo: cercherò di uscire da un’impostazione prettamente pedagogica che nel contesto ‘allargato’ di questa giornata, potrebbe apparire un po’ autoreferenziale e anche di scarso interesse per colleghi di altre Macroaree e professionalità; cercherò pertanto di trovare in alcuni riferimenti legati alla vita della nostra Università,  e alla vita organizzativa e professionale  lato sensu, spunti utili per rinforzare la motivazione a svolgere attività di tutorship secondo elevati standard qualitativi.

Difficile, in ogni caso, come si vedrà, eludere il ‘pedagogico’ in un’attività prettamente formativa come quella di tirocinio[3].

Tirocini e laboratori costituiscono da tempo l’aggancio tra studio universitario e mondo del lavoro e dell’economia, secondo quanto auspicato già dal 2003 dalla riforma Moratti che istituiva i corsi di laurea triennali.

La Commissione Europea, nell’ambito degli obiettivi di Europa 2020[4] pone la qualità del tirocinio tra le sue priorità, in considerazione del suo valore come  strumento di orientamento per i giovani e in funzione del suo ruolo di aggancio tra mondo dell’università e mondo dell’economia.

Al di là di una sua impostazione in termini meramente ‘burocratici’, le modalità con cui esso viene svolto e il ruolo del tutor universitario hanno una parte importante nel far sì che il dispositivo del tirocinio acquisti una valenza formativa legata alla nascente acquisizione di una identità professionale specifica[5].

Il tirocinio costituisce una delle principali attività attraverso cui si esplica la cosiddetta terza missione dell’Università, proprio per il suo carattere di reciprocità e scambio tra università e territorio[6]. E’ anche un tentativo di superare un approccio separazionista[7] (tempo di studio/tempo di lavoro) ancora presente, anche nella mentalità accademica.

Nel documento redatto nel 2014 dal rettore Giuseppe Novelli con il prorettore Maurizio Talamo sulla  terza missione universitaria a Tor Vergata[8], si riconosce la necessità per l’università di uscire dalle sue stanze del sapere[9]. I dati apparsi sulla prestigiosa rivista Science[10], mostrano come cultura e formazione nel complesso, appaiono costituire il 50% del PIL mondiale; ciò basterebbe a stabilire il valore inestimabile di queste due dimensioni per la collettività che vanno integrate e trasferite in ambito territoriale, per realizzare la loro piena efficacia .

Il ruolo del tutor interno del tirocinio si configura, nella mia visione, come quello di chi è in grado di dare uno spessore culturale all’esperienza di formazione pratica svolta nelle sedi del tirocinio[11].

Rappresenta altresì Il modo in cui il docente ‘esce dalle sue stanze del sapere‘ nel trasferimento e condivisione di parte delle sue competenze professionali[12].

Tirocinio e costruzione della professionalità

Quest’ultimo aspetto della condivisione della expertise professionale come costruzione ed espressione culturale, trova una sua conferma in quanto affermato da E. Greenwood[13] secondo cui una professione si costituisce attorno a 5 dimensioni:

- corpus sistematico di teoria
- autorità professionale
- sanzione della comunità
- codice deontologico
- cultura professionale

La prima si riferisce a quanto tradizionalmente offerto dallo studio universitario; la seconda e la terza si costruiscono attraverso le esperienze teoriche e pratiche  e attraverso il contatto con gli utenti e si riferiscono entrambe, per versanti opposti e integrati, alla costruzione di una figura professionale accreditata all’interno della comunità, attraverso un riconoscimento che si avvale di uno specifico apparato normativo; la quarta delimita gli ambiti di intervento rispetto ad altre professioni e la tutela dell’utente.

L’ultima, la cultura professionale, ruota attorno ai linguaggi, ai simboli, alle occasioni di crescita all’interno dei luoghi professionali di sviluppo (come convegni, congressi, meeting): comprende, ciò che costituisce una produzione culturale, cioè gli artefatti specifici di quel mondo professionale, la  prestazione d’opera professionale, di cui – nel caso del tirocinio – il docente universitario diviene co-costruttore, insieme con lo studente che la attua nel contesto della situazione aziendale.

Rilevanza pedagogica della tutorship

Il docente universitario nella sua qualità di professionista esperto del settore disciplinare, riveste un compito educativo di grande importanza: intanto spetta a lui indirizzare il tirocinante alla ricerca della struttura più adatta ai suoi interessi che auspicabilmente dovrebbero incrociare interessi di ricerca e professionali del docente: questa coincidenza rappresenta la base di una tutorship efficace; egli infatti non solo e-duce da aspirazioni e interessi spesso inizialmente confusi del tirocinante gli elementi per effettuare una scelta oculata e di reciproco gradimento (analisi della domanda); il suo compito si estende poi all’accompagnamento in un percorso di acquisizione professionale e alla somministrazione (in-struere) di ulteriori elementi di conoscenza, rispetto a quelli già in possesso del tirocinante, di sviluppo teoretico e critica, che rappresentano la parte nutritiva e riflessiva (come apprendimento situato)[14] di quello che si configura come un percorso di natura spiccatamente pedagogica attraverso quel processo di sviluppo promozionale e professionale che va sotto il nome di supervisione.

Prima della supervisione: aspetti relazionali nella didattica efficace.

Non bisogna pensare che seguire lo studente tirocinante in attività definibili di supervisione, spetti solo al tutor aziendale; lo studente gioca una parte centrale nel triangolo che porta alla costruzione del progetto formativo prima di iniziarlo è altamente consigliabile una preparazione adeguata[15].

Come suggeriscono Sweitzer e King il tirocinio è un’opportunità straordinaria e una sfida per lo studente, ma l’utilizzo costruttivo e lo sfruttamento di tutte le opportunità offerte da questa esperienza, può avvenire solo per il tramite di una supervisione con supervisori esperti e qualificati[16]. Rimandiamo a ‘The successful internship‘ che può essere una buona base di partenza per instaurare una soddisfacente relazione di tirocinio con gli studenti.

Chi ha parlato prima di me, anche attraverso testimonianze per così dire ‘empiriche’, ha già introdotto il tema di una didattica efficace fatta non solo di strumenti tecnologici o di competenze  specifiche del docente: l’abilità docente coinvolge anche  una spiccata componente  personale e relazionale.

La trasmissione di una professionalità infatti, oggi più che mai non può tener conto di competenze trasversali, le cosiddette soft skills, che sembrano attualmente avere un peso addirittura maggiore rispetto alle competenze tecniche: saper comunicare, saper lavorare insieme, saper risolvere i conflitti, saper gestire una leadership, sono importanti tanto quanto, se non di più, delle semplici  - anche se evolute – hard skills, soprattutto in un mondo organizzativo sempre più aperto a commistioni culturali[17].

Il progetto PRODID attuato all’università di Padova nel 2014 é un progetto complesso di rilevazione dati e formazione delle giovani leve di docenti in cui è stata portata a termine anche un’attività di autovalutazione dei docenti in cui si trova conferma di quanto appena esposto. Secondo le affermazioni dei docenti intervistati, alcune caratteristiche che concernono i rapporti interpersonali entrano in gioco in una didattica efficace; tra queste figurano:

- capacità di promuovere pensiero critico e argomentativo

- capacità di promuovere competenze professionali

- capacità di trasmettere passione per il proprio lavoro e per la materia

- capacità di promuovere motivazione

- capacità di trasmettere contenuti relativi alla propria esperienza professionale[18].

Quest’ultimo aspetto si collega direttamente  con l’ambito specifico delle attività di tirocinio,che entra in gioco in quell’attività che ho identificato come tema centrale del mio intervento cioè l’attività di  supervisione.

La supervisione nelle attività di tirocinio

Cercherò di tratteggiare alcuni elementi chiave dell’attività di supervisione a partire da una sua definizione per giungere ad alcune funzioni esercitate dal docente, chiarendo come da tale attività possa maturare un arricchimento per entrambi gli attori della situazione e anche una prospettiva di sviluppo nella ricerca accademica.

Nel 2015 l’ANSE (Association of National Organization for Supervision in Europe), pubblica un glossario dal titolo “ECVision. A European System of Comparability and Validation of Supervisory Competences” nell’ambito del progetto Leonardo[19]. Alcune parti di questo documento possono essere d’aiuto a comprendere il significato e il valore di un controllo e supervisione della attività svolte dal tirocinante.

Riporto intanto una definizione:

“Supervision/ Coaching (is) seen as a scientifically based, practically orientated and ethically linked concept of individual and organisational consulting activities within the working world.” [20]

Si configura un’attività fondata scientificamente, orientata ad attività pratiche, collegata eticamente ad attività di consulenza individuale e organizzativa.

Non si tratta nel nostro caso di diventare supervisori accreditati, ma di esercitare una funzione di supervisione appropriata per la crescita professionale delle nuove generazioni, invito rivolto a coloro per i quali l’attività accademica consiste soprattutto nel trasferimento di competenze e funzioni professionali.

La supervisione si colloca all’incrocio di ruoli sociali e specifiche funzioni individuali svolte all’interno del mondo del lavoro e degli ambienti di lavoro. La supervisione è orientata sia ai cambiamenti individuali e organizzativi, sia ad alleviare tensioni o conflitti nelle attività lavorative quotidiane[21].

Si tratta di un rapporto personale che avviene in uno spazio protetto (a differenza di altre occasioni formative) dove problemi e preoccupazioni possono essere discussi in un rapporto a due, senza la presenza di terze parti[22].

Supervisione: che cosa e chi

A partire dalla definizione è possibile pervenire alla descrizione  di alcuni caratteri fondativi di questo processo.

La supervisione prevede una diagnosi cioè una comparazione tra quelli che sono gli standard auspicati e i livelli effettivamente raggiunti nella prestazione lavorativa.

La supervisione è un processo che punta allo sviluppo della qualità sia negli atteggiamenti professionali che nella performance relativa; configura uno spazio riflessivo che serve ad assicurare la qualità ai processi di lavoro e agli atteggiamenti verso di esso; il focus è sugli utenti della persona in supervisione (supervisee), prima che su lui stesso, e su come il supervisionato lavora con loro.

Quest’ultimo aspetto della centratura sulle prestazioni permette di affermare che ANSE il supervisore può a buon diritto essere un professionista esperto nel campo di lavoro che sta supervisionando[23].

La supervisione manifesta un elemento educativo intrinseco, che ANSE identifica nei processi di apprendimento e di realizzazione degli standard professionali, soprattutto quando questi vengono acquisiti all’interno di un curriculum educativo professionalizzante; in questo caso il processo risulta finalizzato al raggiungimento degli standard professionali specificamente richiesti dalla professione[24].

Funzioni principali del supervisore

Il thesaurus compilato da ANSE entra nel merito delle caratteristiche principali del professionista supervisore che, in quanto tali, esulano dal tema di questo lavoro; tuttavia ci si può riferire validamente ad alcuni elementi che nel nostro discorso corrispondono più a funzioni esercitate dal docente in qualità di supervisore che a sue caratteristiche vere e proprie; appare evidente che nella misura in cui tali caratteristiche fanno parte del bagaglio temperamentale del docente, sarà più facile esercitarle spontaneamente; tuttavia ritengo che  si tratti di capacità che valga la pena coltivare e sviluppare magari in un percorso laboratoriale che potrà essere studiato in funzione di una seconda edizione di questa giornata.

La prima funzione  in cui deve esercitarsi un docente – supervisore, è la tolleranza dell’ambiguità[25] che si presenta in modi diversi nel corso dell’attività di tirocinio; vi abbiamo già fatto riferimento parlando della confusione del tirocinante che viene a chiedere un’indicazione per il tirocinio (dove posso andare?) Questa domanda richiede una appropriata analisi (analisi della domanda) che deve precedere la risposta immediata.

Il  tirocinio è un’ attività di orientamento che si colloca tra la modalità in  itinere e la modalità cosiddetta in uscita al termine del percorso di formazione. Cercheremo dunque di applicare le metodologie orientative utilizzabili in questo caso specifico.

Oggetto dell’analisi della domanda è

La comprensione più profonda e l’interpretazione del bisogno, non necessariamente esplicito, portato dal cliente e l’individuazione di una possibile linea d’azione per rispondervi[26].

In estrema sintesi  si tratta di un processo che prevede tre fasi: nella prima fase il compito del professionista è quello di capire l’esigenza del cliente; nella seconda fase il compito del professionista è quello di stimolare per portare il cliente a ri-definire il problema; nella terza fase il compito del professionista è quello di mobilitare le risorse per portare il cliente a gestire il problema. La tolleranza dell’ambiguità entra in gioco già in questa fase iniziale; quanta insicurezza da parte dello studente nell’intraprendere il nuovo percorso lavorativo – per tanti una primissima esperienza –  magari in una sede prestigiosa; quanti desideri e paure nel primo avvicinamento al tirocinio! Per non parlare della fase conclusiva del percorso formativo che apre a vari interrogativi sul post-lauream, il più delle volte non proprio confortevoli, situazioni in cui il futuro dello studente le sue aspirazioni,  il suo progetto di vita viene messo realmente in gioco.

Una volta superata la fase orientativa, l’ambivalenza, l’ansia, i dubbi, possono ripresentarsi in ogni momento del percorso, di fronte ad una situazione nuova o più difficile delle altre, o addirittura critica; è a questo punto che entra in gioco il ruolo del docente supervisore come accompagnatore e punto di riferimento (quasi un Io ausiliario) per il tirocinante. Dunque la pazienza non va persa e non bisogna biasimare lo studente che viene a porre una questione che riguarda la gestione dell’attività lavorativa nel tirocinio. In questa fase  fare supervisione vuol dire discutere e riflettere su situazioni e aspirazioni conflittuali; consentire l’emergere di approcci e sentimenti contraddittori.

Si tratta di cambiare prospettiva nei confronti di obiettivi e aspettative normalmente giocate nel rapporto docente-studente, per centrarsi sulle difficoltà vissute dallo studente in un’ottica a-valutativa, per ‘uscire dalle stanze del sapere’: ma ciò comporta tollerare le tensioni ed esplorare sentimenti diversi così come emergono nei colloqui periodici di tirocinio. La tolleranza di situazioni ambigue e di sentimenti contrastanti fa parte del resto,  del normale bagaglio umano di emozioni quando si affrontano persone o situazioni ; ed è la stessa ambiguità a creare preoccupazione ansia o confusione[27].

Dunque il docente nella sua qualità di supervisore è chiamato ad una comprensione in profondità di questa importante funzione contenitiva. Si tratta  – nonostante le apparenze – di essere più educatori che psicologi.

Relativamente al caso da supervisionare è possibile apprezzare e identificare alcuni punti qualificanti l’attività di supervisione: sottoporsi a supervisione vuol dire da parte del supervisee, portare materiale che concerne la relazione con il cliente in ordine a preparare la condivisione che sarà oggetto di supervisione; esistono dunque due modalità differenti per condurre il processo di supervisione: quando il supervisore è esperto nel campo di lavoro egli si focalizza su come applicare le competenze professionali : qui il lavoro di supervisione assomiglia molto ad una consulenza. La seconda possibilità è quando il supervisore è esperto nella conduzione dei processi e in questo senso assume la funzione di aprire al supervisionato nuove prospettive sul caso. Quest’ultimo aspetto si collega direttamente a ciò che il Thesaurus identifica come Expanding Theoretical Knowledge[28] accrescimento della conoscenza teoretica: affrontare situazioni nuove prevede la messa in atto di processi cognitivi creativi; creazione di nuove connessioni tra il vecchio e il nuovo , lo standard e l’imprevedibile. Ciò spesso rimane a livello inconsapevole: l’elaborazione metacognitiva molto raramente affiora alla consapevolezza. Ciò che intendono gli estensi redattori  del Thesaurus è qualcosa che supera la circolarità teoria-prassi che pure costituisce il fondamento dell’operare professionalmente: qui si intende un momento ulteriore; la riflessione sull’elemento nuovo necessita e genera come conseguenza un adeguamento creativo dei processi routinari e creazioni procedurali nuove e inconsuete: praticando il nuovo si costruisce dunque teoria e progresso scientifico[29].

La riflessività si costituisce dunque nel processo di supervisione come focus metodologico finalizzato allo sviluppo[30].

Conclusione

Impegnarsi in questo processo produce risultati rilevanti:

- Attuazione di processi riflessivi
- Miglioramento della performance professionale
- Adeguamento agli standard professionali con possibilità di sviluppo
- Ampliamento della conoscenza teoretica
- Rafforzamento e miglioramento del rapporto studente docente
- Miglioramento dello stato di benessere da parte di entrambi gli attori del processo di supervisione
- Acquisizione di metodologie talvolta trasferibili in termini di soft skills dalla situazione lavorativa anche alla vita personale di entrambi[31].

Per finire, la creazione di un elemento nuovo e creativo che contribuisce alla soluzione dei problemi aziendali, ma anche alla crescita individuale e organizzativa unitamente a possibili linee di sviluppo accademico e scientifico.

Bibliografia

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  1. Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, Sintesi della XIX Indagine AlmaLaurea sul Profilo dei Laureati 2016, con il sostegno del MIUR Ministero dell’Istruzione, dell’Università, della Ricerca, pp.1-8.
  2. AlmaLaurea – Condizione occupazionale dei Laureati. Rapporto 2017, p.221.
  3. Ottimo, ad esempio, il lavoro svolto dalla Conferenza permanente dei corsi di laurea delle professioni sanitarie  (Presidente Prof. Luigi Frati Vicepresidente Prof. Valerio Dimonte Segretario generale Prof.ssa Luisa Saiani) su Principi e standard del tirocinio professionale nei corsi di laurea delle professioni sanitarie, Settembre 2010, che, grazie alla presenza degli educatori professionali, si concentra fortemente su finalità e principi pedagogici di questo tirocinio professionale. http://cplps.altervista.org/blog/wp-content/uploads/2009/11/Cons-Conf-Tirocinio-10-settembre.pdf
  4. Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, Raccomandazione del Consiglio, del 10 marzo 2014, su un quadro di qualità per i tirocini, 27/03/2014 C88/1, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014H0327(01)&from=IT
  5. ‘Il tirocinio professionale è una strategia formativa che prevede l’affiancamento dello studente ad un professionista esperto e in contesti sanitari specifici al fine di apprendere le competenze previste dal ruolo professionale. L’apprendimento in tirocinio avviene attraverso la sperimentazione pratica, l’integrazione dei saperi teorico-disciplinari con la prassi operativa professionale ed organizzativa, il contatto con membri di uno specifico gruppo professionale’ in Conferenza permanente dei corsi di laurea delle professioni sanitarie, cit.,  art. 1, p.5.
  6. ‘l’Università esercita un ruolo ‘ cogente’ nell’incentivazione e diffusione di conoscenza nell’ambito di sistemi locali: accumulazione della conoscenza teorica e applicata, costruzione del capitale umano, diffusione della innovazione tecnologica e apprendimento collettivo sono coniugati secondo specificità territoriali implementati dalla presenza di una università su ‘quel’ determinato territorio’. C. Pignalberi, ‘Investire sulle competenze, Investire sui giovani. Il Mentoring come strumento di orientamento in uscita’, Rivista Formazione Lavoro Persona anno III n. 9 Novembre 2013, p. 45.
  7. C. Casaschi, M. Giraldo, A. Scolari, Il tirocinio come esperienza formativa della persona: la dimensione pedagogica , in G. Bertagna, U. Buratti, F. Fazio e M. Tiraboschi (a cura di) La regolazione dei tirocini formativi in Italia dopo la legge Fornero L’attuazione a livello regionale delle Linee-guida 24 gennaio 2013: mappatura e primo bilancio, ADAPT LABOUR STUDIES e-Book series n. 16, ADAPT University press, 2013, pp 315-335.
  8. G. Novelli, M. Talamo, La Terza Missione per l’Università Italiana. Una nuova occasione per crescere?, in «Medicina e chirurgia. Quaderni delle Conferenze Permanenti delle Facoltà di Medicina e Chirurgia» 61 (2014), pp. 2739-2746.
  9. G Novelli, M. Talamo, op. cit. p. 2745.
  10. D. Malakoff, “The Many Ways of Making Academic Research Pay Off”, Science, vol. 339, pp. 750-753, 15 Febbraio 2013.
  11. cfr. G. Sandrone, Il docente coordinatore tutor e la riforma: le ragioni di una scelta, in L. Cerioli, Tutorship nel nuovo sistema formativo, Roma, FrancoAngeli, 2013.
  12. ‘E ancora, “terza Missione” significa realizzare un collegamento tra il mondo della formazione universitaria con quella scolastica e con il mondo del lavoro, in modo da assicurare alle aziende ed alla società civile di reperire sul territorio le competenze di cui necessitano, garantendo ai giovani un corretto orientamento per il proprio inserimento (placement) nel mondo del lavoro’ G. Novelli, M. Talamo , op. cit. p. 2740.
  13. E. Greenwood, ‘Attributes of a Profession’, Social Work, Volume 2, Issue 3, 1 July 1957, Pages 45–55.
  14. Il tema richiederebbe approfondimenti specifici che esulano dalla natura di questo contributo. Voglio soltanto ricordare le riflessioni di Lave & Wenger (1991). Situated Learning: Legitimate Peripheral Participation. Cambridge: Cambridge University Press ; di J. Mezirov, Apprendimento e trasformazione. Il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti Roma, Carocci, 2003, di L. Mortari,Apprendere dall’esperienza. Il pensare riflessivo della formazione Roma, Carocci, 2004.
  15. Cfr. ISFOL Manuale dello stage in Europa, Pierrestampa, Roma 2015; H. F . Sweitzer, M.A. King, The succeful internship, Personal professional and civic development, Brooks/Cole, Cengage Learning  Belmont CA, 2004.
  16. H. F. Sweitzer, M.A. King op. cit. p.5.
  17. A. Stella, Il docente e l’organizzazione dei corsi di studio per una didattica efficace
  18. AA.VV. Il questionario per i docenti: costruzione, implementazione, analisi. Progetto PRODID (Preparazione alla Professionalità Docente e Innovazione Didattica) – Rapporto dell’Unità di Ricerca n.3 – prima annualità,  Università degli studi di Padova Dipartimento di Scienze Statistiche, Technical Report Series, N.1, September 2014, p. 31.
  19. Judy, M./Knopf, W.: ECVision. Supervision and Coaching in Europe: Concepts and Competences. Vienna 2015.
  20. Möller,H./Kotte,S.(2015): Supervision:Past-Present-Future. In PiD Psychotherapie im Dialog 1/2015, 16-25.
  21. ‘Supervision and coaching intervene at the point of intersection, where human beings interact in their specific functional and social roles and their working environments. Supervision and coaching aim at facilitating individual and organizational changes or at releasing tension or conflicts in daily work. ‘. Heidi Möller, Research on Supervision and Coaching Skills, Past – Present – Future in Judy, M./Knopf, W.: ECVision. Supervision and Coaching in Europe: Concepts and Competences. Vienna 2015, pp. 37-49.
  22. “clients appreciate the coaching format’s intimate and protected space in which they can discuss their concerns and problems ‘face to face’, without being witnessed by a third party” Looss, W. (2006). Unter vier Augen: Coaching für Manager. Bergisch Gladbach: EHP.
  23. AA. VV. ECVision. A European Glossary of Supervision and Coaching, in M. Judy,  W. Knopf, op. cit. p. 52.
  24. Ivi, p.53.
  25. Ivi. p. 57.
  26. A. Grimaldi, Accoglienza, analisi della domanda e consulenza nel servizio di orientamento, http://www.edaforum.it/sites/default/files/1-Accoglienza-Analisi-domanda-A-Grimaldi-17-marzo-2016-Lucca.pdf
  27. M. Judy, W. Knopf, ECVision. Supervision and Coaching in Europe: Concepts and Competences. Vienna 2015, p.57.
  28. M. Judy, W. Knopf, cit, p.74.
  29. Cfr. Asociatión Estatal De Educación Social, Consejo General de Colegios de Educadoras y Educadores Sociales: Documentos profesionalizadores. Definición De Educación Social, Código Deontológico Del Educador y La Educadora Social, Catálogo De Funciones Y Competencias De La Educadora y El Educador Social, ASEDES 2007
  30. M. Judy, W. Knopf, cit, p.76.
  31. Ivi,p. 78.