Nel 2005 prende avvio un progetto nazionale denominato “Apprendere digitale”, seguito nel 2006 dal progetto “DiGiScuola”, le due iniziative danno avvio, in breve tempo, all’introduzione della LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) nelle scuole italiane.
Nel 2008, con la proposta “Innovascuola-primaria” 200 progetti vincitori ottengono 3 LIM ciascuno per un totale di 600 e, nel 2009, grazie al “Progetto Scuola Digitale – Lavagna” 8000 LIM entrano nelle scuole statali secondarie di primo grado e negli istituti comprensivi.
La diffusione sul territorio nazionale non è omogenea e la LIM vede una prevalenza al Sud, piuttosto che al Nord. Diversa la situazione in altri paesi: primo fra tutti il Regno Unito con una diffusione delle lavagne interattive multimediali pari al 98% nelle scuole secondarie e al 100% nelle scuole primarie.
Fin qui, alcuni dei dati quantitativi reperibili all’interno del volume e che offrono un’interessante ricostruzione storica (ovviamente su breve periodo) e bibliografica sull’utilizzo e la diffusione delle LIM.
Ma il volume si compone anche, e soprattutto, di altri aspetti e riflessioni che – sintetizzando – possono essere accorpati in due macro-aree: una tecnologica e l’altra metodologica.
Nell’are tecnologica gli insegnati possono trovare descrizioni dettagliate, ma non pedanti, del funzionamento hardware e software della LIM, nonché delle utilissime “istruzioni d’uso” non legate alla specificità di un programma o, peggio, di una versione di esso, ma legate alle funzionalità stesse della Lavagna. Il volume è inoltre corredato di un CD in cui sono proposti alcuni filmati sull’impiego della LIM e dei materiali didattici utilizzabili nella scuola primaria e secondaria.
Nell’area metodologica, invece, il lettore – sia esso un insegnate o un ricercatore – incontra metodi e strategie calibrati sugli obiettivi formativi.
A fare da raccordo fra le due macro-aree la certezza che «il punto di forza non vada cercato nella tecnologia ma nell’equilibrio che si instaura tra metodologia e tecnologia» (p. 10) come sottolineato nell’equilibrata Presentazione al volume curata da Antonio Calvani.
Nel 1999 Arpino scriveva, a proposito della “vecchia” lavagna d’ardesia, che «il senso giusto della sua utilizzazione sta in quello di strumento che “media” la disciplina e la didattica, che funge da ponte fra due menti, che si qualifica come un’area prossima al discente, laddove la prossimità deve essere linguistica, percettiva, inferenziale, implicativa e mnestica».[1] Affermazione ancora valida per la LIM. Gli strumenti tecnologici, infatti, in quanto mediatori culturali non sono intrinsecamente portatori di un metodo didattico. Ecco allora che l’Autore del volume si sofferma con attenzione sul “come” utilizzare la lavagna, sul metodo utile alla presentazione dei materiali (Cap. 3 Tecniche di presentazione dei materiali) e sul lavoro che aspetta agli insegnati che intendono utilizzare la LIM (Cap. 4 Insegnare in modo nuovo).
Le strategie e le tecniche presentate sono esplicitamente collegate alle più diffuse teorie sull’apprendimento-insegnamento e ricalcano i tradizionali modelli di lezione, da quella trasmissiva di stampo comportamentista e quella collaborativa di impronta costruttivista. Così, nel volume, non si smarrisce mai l’orizzonte pedagogico, cioè lo scopo educativo ultimo che può e deve guidare l’utilizzo della LIM in aula. Nonostante i consigli, i precetti e le avvertenze siano presenti in gran quantità nel volume, si rivelano molto utili per chi deve avviare sia l’utilizzo sia la riflessione sullo strumento. Una nota meritano, in tal senso, gli ammonimenti su cosa non fare con la LIM (p. 149): dimostrano infatti l’equilibrio teorico-pratico del volume che non eccede mai nell’essere apocalittico o integrato, ma propone un’armonia “strumentale” allo scopo didattico da perseguire in funzione dell’obiettivo e delle caratteristiche spazio-temporali dell’aula. Vale la pena di riportarne uno su tutti: Usarla non è indispensabile (p. 150).
È indispensabile, invece, avere ben chiaro che la multimedialità e l’interattività, che sono i punti di forza della LIM, devono essere modulate sulla base delle recenti teorie sul carico cognitivo, nonché sul modello della zona di sviluppo prossimale per essere davvero portatori di innovazione didattica nel rispetto degli stili di apprendimento e della crescita cognitiva, emotiva e relazionale degli studenti.
Metaforicamente, se lo scopo è quello di non avere le scarpe slacciate per poter correre e giocare in sicurezza, la soluzione non risiede nella promozione di scarpe che invece dei lacci hanno le bande in velcro, quanto piuttosto nell’insegnare bene e a tutti a fare nodi resistenti. Così, sebbene la LIM sia un catalizzatore di attenzione, data la sua natura mediale, ciò che non va perso durante il suo utilizzo è la sollecitazione di azioni riflessive e di interiorizzazione degli apprendimenti.
Le ricerche condotte a livello internazionale dimostrano che la LIM apporta notevoli vantaggi sia dal punto di vista dello studente sia dal punto di vista del docente. Per esempio nei primi stimola l’interesse e l’attenzione, sostiene la motivazione e il piacere nell’apprendimento, rafforza l’autostima e la percezione efficace di sé, stimola un sapere multimediale; ai secondi, invece, offre nuove opportunità organizzative e di programmazione e condivisione dell’intervento didattico.[2] Meno chiari, invece, sono gli apporti sul versante pedagogico e didattico «nella pratica, infatti, sembra che la lavagna, pur offrendo molteplici potenzialità, favorisca soprattutto la reiterazione dell’abituale metodo di insegnamento frontale». (p. 155) Insomma, se l’interattività e la mutlimedialità sono dato certo e positivo, meno lo sono le interazioni in gruppo che dipendono da tecnologie diverse da quelle comunicazionali e da cercare, comunque, nelle tecnologie didattiche in senso “classico”.
Insomma, ancora una volta la sfida è aperta, come ricorda in chiusura l’Autore: «i maggiori fattori di innovazione dipenderanno dal contestuale sviluppo e diffusione di modalità creative di insegnamento e di apprendimento caratterizzate da nuove forme di lavoro e di coinvolgimento della classe, dall’introduzione di pratiche di lavoro collaborativo, dall’uso di attività didattiche in grado di valorizzare le potenzialità di ogni singolo individuo e dall’accorta proposta di sequenza di stimoli diversificati». (p. 158)
La sfida, però, andrà condotta direttamente nelle aule da quegli insegnanti che vorranno e sapranno cimentarsi con le innovazioni delle tecnologie della comunicazione per intercettare anche nuovi modelli di organizzazione del sapere e modalità di apprendimento. Allo scopo, il volume appare un ottimo punto da cui muovere per attrezzarsi a vincere la partita.