Numero 13/14 - 2017

  • Numero 0 - 2007
  • Ricerca & Tecnologia

L’e-Learning 2.0: una nuova frontiera della didattica?

di Francesca Petrelli

Abstract

Dall’anno 2005 si parla di “web 2.0”, ovvero di evoluzione dei sistemi di comunicazione, informazione e scambio tra gli utenti della Rete, attraverso strumenti quali blog, wiki, socialbookmarking e social network. Attraverso questa ulteriore “rivoluzione” tecnologica, lo spazio della Rete si è trasformato in uno “spazio antropologico”, ove convivono in modo integrato, attraverso i gesti dei suoi fruitori, attività di selezione e consultazione informativa, catalogazione e condivisione di risorse, partecipazione spontanea a reti sociali e professionali, apertura comunicativa a nuove relazioni interpersonali, narrazione delle identità e co-costruzione di artefatti e prodotti. A fronte di queste sollecitazioni, anche la formazione on line si è interrogata sull’utilizzo del web 2.0, provando a definire un nuovo modello didattico: il cosiddetto “e-learning 2.0”.

L’articolo intende quindi porre degli interrogativi circa la significatività e la presunta innovazione proposta dal modello “e-learning 2.0”, criticando alcune sue posizioni e riformulando talune impostazioni logico-concettuali, sottese alla stessa proposta metodologica.


Dall’anno 2005, in virtù di una seduta di brainstorming avvenuta l’anno precedente tra Tim O’Reilly e MediaLive International [1], si parla di “web 2.0”, ovvero di evoluzione dei sistemi di comunicazione, informazione e scambio tra gli utenti della Rete, attraverso strumenti quali blog, wiki, socialbookmarking e social network. Al di là delle caratteristiche tecnologiche di questi tools, mediante essi, la Rete si è trasformata in uno “spazio antropologico” [2], ove convivono in modo integrato, attraverso i gesti dei suoi fruitori, attività di selezione e consultazione informativa, catalogazione e condivisione di risorse, partecipazione spontanea a reti sociali e professionali, apertura comunicativa a nuove relazioni interpersonali, narrazione delle identità e co-costruzione di artefatti e prodotti.

Il web 2.0 costituisce l’insieme della Rete, è la Rete stessa, intesa come architettura partecipativa non solo condivisa tra gli utenti, ma da loro stessa alimentata e rimodulata. Come suggerisce Maria Ranieri:

L’individuo che entra spontaneamente nella rete è un «sé» che opera per lavoro/formazione/intrattenimento, proiettandosi in diversi contesti più o meno formali attraverso i quali crea una propria rete, una rete sociale che è una rete di reti di individui [3].

L’interpretazione della Rete come spazio antropologico inter e intrapersonale, ove convergono attività di consultazione, lettura, produzione e scambio, implica per chi si occupa di formazione in rete la necessità di ripensare i modelli della didattica e le rispettive proposte di formazione?

La letteratura del settore risponde affermativamente a tale sollecitazione, coniando un nuovo termine – la cui semantica va evidentemente scoperta –, identificato in “E-learning 2.0”.

Anzitutto, l’e-learning 2.0 dovrebbe – nelle intenzioni dei suoi fautori – restituire direttamente alla Rete il setting formativo, riducendo l’utilizzo delle piattaforme chiuse che caratterizzano molte delle esperienze di formazione on line.

Per piattaforme chiuse – di tipo open source o proprietarie – si intendono quelle infrastrutture tecnologiche che “viaggiano” sul medium Internet e che tuttavia si costituiscono come ambienti altamente strutturati, caratterizzati da un set definito di strumenti di comunicazione e apprendimento non interagenti con quanto disponibile in Rete, ad accesso riservato, preclusi agli utenti del web non abilitati mediante specifiche credenziali.

I sostenitori dell’e-learning 2.0 individuano dunque nei più diffusi allestimenti didattici on line, contraddistinti dal ricorso alle piattaforme, una sorta di paradosso: se la formazione in Rete richiede di valorizzare il medium di cui essa si avvale – medium propriamente caratterizzato dalle dimensioni di apertura informativa, reticolarità delle conoscenze, interconnessione sistemica tra i “nodi” –appare contraddittorio relegare le esperienze di e-learning all’interno di strutture chiuse e preimpostate che utilizzano la Rete solo come dispositivo tecnologico e non come possibile matrice culturale capace di “ri-mediare” [4] le forme della comunicazione e dell’apprendimento.

In effetti, se ragioniamo di Internet attraverso una chiave interpretativa di tipo sociologico, possiamo sostenere che l’immagine stessa di rete evoca la molteplicità delle connessioni possibili, l’apertura a percorsi differenti all’interno della medesima tessitura (la dimensione ipertestuale), l’opportunità di arricchire e modificare la trama informativa senza mai distruggere l’esistente – in una logica in cui la reticolarità del testo si oppone alla gerarchia e il dinamismo della pagina alla sua staticità. La dimensione di apertura, che la Rete suggerisce, richiede maggiore responsabilità e intenzionalità di scelta da parte del lettore-autore/navigatore: il percorso prescelto può essere abbandonato a ogni nodo, per aprirne un altro volto ad approfondire, o anche solo a esplorare l’insieme delle connessioni concettuali possibili, secondo uno sguardo orizzontale piuttosto che verticale. Il lettore “di” e “in” Rete non è più unicamente fruitore di un testo “altro da sé”, ma può intervenire direttamente e pubblicamente sulla struttura dei significati. Il fruitore della Rete può dunque ri-costruire/co-costruire le forme e il senso delle trame ipertestuali, attraverso la definizione in itinere del percorso di lettura dell’ambiente testuale: il fruitore sceglie durante l’esplorazione quali nodi “aprire”, cercando contestualmente di mantenere una direttrice logica all’interno della molteplice reticolarità informativa.

Seguendo questo modello interpretativo della Rete, sembrerebbe allora coerente la riflessione circa l’inadeguatezza delle piattaforme di e-learning per la formazione on line, in quanto ambienti di apprendimento precostituiti e al loro interno chiusi.

Tuttavia, è opportuno esaminare ulteriormente la critica rivolta al tipo di supporto che, solo apparentemente, è di ordine tecnologico; la contestazione verso l’utilizzo delle piattaforme on line nasconde in realtà una perplessità ben più sostanziale: l’idea che la maggior parte degli interventi formativi on line siano caratterizzati dalla mera trasposizione su piattaforme tecnologiche delle tradizionali forme di insegnamento/apprendimento proposte in aula, spesso dominate dalla modalità trasmissiva dei contenuti proposti. In queste formule di didattica on line è infatti preponderante il ricorso ai cosiddetti software didattici multimediali organizzati in learning object – unità minime di sapere, sostenute dallo standard e-learning S.C.O.R.M. –, ancora, in assenza di “WBT”, si ricorre a videolezioni tenute da esperti corredate da slide sincronizzate; infine, nelle forme più semplificate di formazione a distanza, è previsto il download di dispense di approfondimento scaricabili e fruibili dai discenti in modalità off line. Questi allestimenti didattici, tipici di molta formazione in Rete, sottendono un’interpretazione del discente come “mente-contenitore” nel quale trasferire nozioni e contenuti strutturati, isolandolo dal più ampio contesto di apprendimento, rappresentato da forme condivise di risignificazione dei temi proposti, dallo scambio di conoscenze e dalla sperimentazione condivisa di prassi e metodi.

La critica posta alla scelta del supporto tecnologico da parte dei sostenitori dell’e-learning 2.0 è dunque mal posta: appare infatti improprio imputare la responsabilità del fallimento di molte prassi di didattica on line all’utilizzo della piattaforma; la riflessione critica è semmai da rivolgere a un modello didattico diffuso, legato alla standardizzazione dell’e-learning e a una specifica interpretazione dell’apprendimento a orientamento prevalentemente comportamentista.

Sostenere quindi che la sostituzione delle piattaforme e dei relativi courseware con l’apertura alle reti di relazione, fruizione e creazione della Rete, supportata dai nuovi strumenti 2.0, individui la nuova strada della formazione on line, tanto da caratterizzarla con il neologismo “e-learning 2.0,” introduce surrettiziamente un principio di determinismo tecnologico, per il quale la tecnologia determina il successo o il fallimento dell’azione didattica. Ora, non solo la prospettiva del determinismo tecnologico non rende conto della complessità interdisciplinare del settore dell’e-learning, ma, soprattutto, il ricorso a esso non rende giustizia a quanti, pur volendo contestare i più asfittici e inefficaci modelli di formazione on line – a prevalente orientamento CBT (Computer Based Training) – si trovano paradossalmente “incastrati” in un argomento che non riguarda la didattica, i modelli di riferimento pedagogici e andragogici, ma appunto solo la tecnologia.

Per quanto quindi la critica all’e-learning “1.0” sia in parte mistificata dal ricorso ad argomenti eccessivamente focalizzati sugli aspetti tecnologici, tuttavia questa sollecita l’idea che dietro l’etichetta nominalistica di “e-learning 2.0” si celi un diverso e innovativo modello didattico per la formazione on line.

Seguendo in tale prospettiva quanto scrive Bonaiuti, certamente:

il limite dell’insegnamento formale e quindi, per estensione, dell’e-learning di «prima generazione», deve essere ricondotto all’incapacità di riconoscere e accettare che buona parte delle conoscenze che le persone acquisiscono nel corso della vita passa attraverso l’imitazione, la pratica, l’intuizione, la scoperta [cosiddetto apprendimento informale e non formale, ndr] […]. La prospettiva dell’e-learning informal si inserisce dunque in un modello proteso a recuperare e valorizzare le potenzialità insite nei contesti spontanei, in questo caso della rete [5].

In questa accezione, l’e-learning 2.0, dovrebbe quindi favorire l’integrazione delle attività di apprendimento formali, non formali e informali, intese rispettivamente come spazi di studio strutturati ed eterodiretti (i corsi), momenti di apprendimento intenzionale all’interno di contesti non specificamente di studio, quali le organizzazioni del lavoro e i circoli di interesse, processi di apprendimento non intenzionale e casuale propri del vivere quotidiano degli individui. L’integrazione tra queste diverse modalità di apprendimento diverrebbe concreta nello scenario dell’e-learning 2.0, mediante la creazione, da parte dei soggetti stessi, di spazi autonomi e autogestiti di formazione in rete, capaci di far interagire gli spazi strutturati di apprendimento (piattaforme) e i contenuti ad alta saturazione semantica (learning object) con gli strumenti di interazione e condivisione (social network), le risorse ipermediali auto-selezionate, organizzate e classificate (social bookmarking) e le comunità di interesse e pratica che l’utente frequenta nel web. Questa modalità di autonoma integrazione degli spazi e delle risorse di apprendimento, capace di valorizzare le dimensioni dell’apprendimento formale, non formale e informale, sarebbe possibile nell’ottica dei cosiddetti PLE (Personal Learning Environment), ambienti disponibili nel web 2.0, in cui l’utente “compone” i diversi strumenti del web, alimentando un’architettura personale, rispondente alla specificità dei propri fabbisogni formativi, capace di dare conto delle dimensioni ludiche, sociali, produttive e apprenditive della vita digitale agita in Rete.

Questa prospettiva, ancorché affascinante ed evocativa, richiede tuttavia alcune riflessioni di approfondimento.

In primis, un soggetto capace di realizzare autonomamente un PLE è probabilmente un individuo altamente alfabetizzato sul piano digitale, che ha estrema confidenza con gli strumenti e le potenzialità della Rete e che, soprattutto, possiede elevate expertise tecnico-professionali, tali da renderlo autonomo e consapevole nella scelta, classificazione e produzione di risorse e artefatti. Queste caratteristiche tuttavia non sono comuni né trasversalmente richieste nella formazione degli adulti; per converso, molta parte del target destinato alla formazione continua e professionale manifesta spesso frustrazione nella scarsa o, addirittura, assente familiarità con gli ambienti digitali, causa anche del cosiddetto drop out formativo on line (si parla, infatti, non casualmente di digital divide).

Il rischio di adottare un modello di formazione on line aperto alla Rete e alle sue molteplici funzioni, mediante la costruzione di PLE, potrebbe essere quello, paradossale, di circoscrivere l’accesso e la fruibilità dell’e-learning ai “pochi” privilegiati conoscitori del web e dei suoi strumenti.

Certamente, la sollecitazione circa l’opportunità di integrare nei percorsi di formazione in Rete anche le dimensioni di apprendimento non formale e informale che i soggetti realizzano nelle individuali e sociali pratiche di vita digitale appare estremamente interessante; tuttavia, rimane aperto il tema di come valorizzare tali dimensioni sul piano didattico. In che modo e, soprattutto, con quale significato si possono utilizzare ad esempio i blog e i social network frequentati dagli utenti all’interno di un corso di formazione che necessariamente richiede e prevede obiettivi, contenuti, tempi e fasi di lavoro definiti e strutturati? Come utilizzare le informazioni della vita digitale formale e informale dell’utente di rete ai fini della progettazione e/o della conduzione di un percorso on line?

Infine, l’utilizzo molteplice e parallelo di differenti strumenti di comunicazione e apprendimento, quali quelli offerti dal web 2.0, non rischia di alimentare dispersione degli obiettivi e dei focus di apprendimento, di sviluppare un’attitudine superficiale all’informazione e alla conoscenza, connessa da un lato a forme di fruizione sincopate dall’altro alla consultazione di una mole amplissima di materiali e risorse?

Queste domande aperte non pretendono di mettere in crisi un modello non ancora pienamente sperimentato; ci suggeriscono tuttavia di pensare all’e-learning 2.0 in termini di ricerca di nuove strategie didattiche e non di ricorso ad alternativi supporti tecnologici: che senso avrebbe sostituire una tecnologia con altre tecnologie, l’e-learning 1.0 con l’e-learning 2.0, senza una riflessione sui modelli della formazione on line?

In questa riformulazione del problema, siamo allora certi che sia necessario coniare un nuovo termine per identificare pratiche orientate alla condivisione, scambio, personalizzazione dei percorsi, co-costruzione di significati e apprendimenti? Non possediamo già, all’interno del repertorio dei modelli andragogico, concetti e prassi per tali obiettivi formativi?

L’attenzione alla dimensione socio-relazionale dei soggetti in formazione, alle loro molteplici forme di apprendimento (formale, non formale, informale), allo sviluppo di attitudini al cambiamento cognitivo – intese come insieme di sollecitazioni promosse dalle forme di e-learning 2.0 – non costituisce di fatto un implicito rimando ai modelli del cooperative learning, intesi come pratiche e dispositivi didattici nati precedentemente al dibattito sull’e-learning e sui suoi molteplici supporti tecnologici?

Proviamo allora a istituire un parallelismo tra le rivendicazioni didattiche dell’e-learning 2.0 e il cooperative learning, ragionando anzitutto sulla declinazione del concetto stesso di cooperative learning

Un’ampia definizione di apprendimento collaborativo potrebbe essere l’acquisizione da parte degli individui di conoscenze, abilità o atteggiamenti che sono il risultato di un’interazione di gruppo, o, detto più chiaramente, un apprendimento individuale come risultato di un processo di gruppo [6].

Ancora:

Perché ci sia una efficace collaborazione o cooperazione, ci deve essere una reale interdipendenza tra i membri di un gruppo nella realizzazione di un compito, un impegno nel mutuo aiuto, un senso di responsabilità per il gruppo e i suoi obiettivi e deve essere posta attenzione alle abilità sociali e interpersonali nello sviluppo dei processi di gruppo [7].

La definizione e la considerazione, sopra richiamate, ci suggeriscono di interpretare il cooperative learning innanzitutto come forme di relazioni paritetiche tra soggetti in apprendimento.

Per cooperative learning intendiamo l’opportunità di allestire ambienti e di progettare attività che favoriscano lo scambio di conoscenze tra soggetti adulti, l’arricchimento potenziale delle reciproche competenze – identificando queste ultime come complesso sistema di interazione tra conoscenze, abilità, modi di essere –, la crescita delle capacità sociali di confronto, negoziazione e interpretazione condivisa.

Tuttavia, rimane ancora da comprendere in cosa consistano queste pratiche di apprendimento tra pari nell’educazione degli adulti e come si declinino. Ricorriamo nuovamente a Kaye, che tematizza bene la criticità nel definire cosa sia concretamente il cooperative learning:

È più facile dire che cosa non può essere classificato come apprendimento collaborativo che non dare una definizione universalmente accettabile. L’apprendimento basato su un modello di educazione intesa come trasmissione del sapere […], dove la principale attività di apprendimento è lo studio individuale e l’organizzazione […], non è collaborativo. D’altro canto, coloro che apprendono organizzati in gruppi non stanno apprendendo in modo collaborativo quando sono impegnati in una discussione o in una comunicazione. È importante distinguere la collaborazione dalla comunicazione […] Collaborare (co-labore) vuol dire lavorare insieme, il che implica una condivisione di compiti, e una esplicita intenzione di “aggiungere valore”, per creare qualcosa di nuovo o differente attraverso un processo collaborativo deliberato e strutturato, in contrasto con un semplice scambio di informazioni o esecuzione di istruzioni [8].

Questa definizione appare coerente con la scelta di adottare un modello di riferimento dell’apprendimento di orientamento costruttivista, per il quale la conoscenza risulta come processo individuale e sociale a un tempo e la mente, come sistema cibernetico, si alimenta attraverso l’interazione e lo scambio linguistico delle relazioni che assumono valore di capacità trasformativa nell’individuo sotto il profilo emotivo-cognitivo.

Nella pratica didattica, ciò significa da un lato individuare il gruppo come attore proattivo e partecipe del processo di co-costruzione dei significati, dall’altro assicurare e valorizzare il contributo del suo singolo componente, che non deve essere schiacciato dal gruppo o “fagocitato” da esso in una sorta di ibridazione dell’identità apprenditiva.

Nella formazione on line caratterizzata da un orientamento costruttivista la centratura si focalizza sulla responsabilità individuale del processo di apprendimento, sulla motivazione a sviluppare un’attitudine al cambiamento dei propri stili cognitivi e relazionali. È la componente relazionale a restituire la cornice di senso della dimensione cognitiva degli interventi di formazione on line: la costruzione di gruppi in apprendimento, in cui ciascun membro mette in gioco le proprie competenze per condividerle con gli altri, richiede e sviluppa contestualmente sia forme di interdipendenza positiva, ove ciascuno diviene responsabile del proprio operato e di quello di tutti gli altri membri del gruppo – in una logica che supera il tradizionale approccio individualista e competitivo –, sia stili di leadership condivisa e diffusa, ove i membri del gruppo sperimentano nella dinamica didattica ruoli differenti, interscambiabili, non rigidamente predefiniti, legati alle rispettive competenze; sia, ancora, attenzione strategica alle competenze sociali, agli stili della comunicazione finalizzati a promuovere capacità negoziali e di ascolto attivo degli altri.

La qualità di processi di apprendimento on line caratterizzati dalle complesse pratiche del cooperative learning è anche fortemente determinata dalla capacità di guida e supporto – meglio definita come attività di scaffolding (letteralmente, “impalcatura di supporto”) – agita dai tutor dei gruppi on line.

Negli interventi di formazione on line, nello specifico riferimento alla loro componente di lavoro “in Rete”, la figura del tutor è centrale sotto molteplici aspetti. Da un lato, il tutor interpreta il riferimento relazionale del gruppo, una mediazione didattica strategica che ridimensiona la tipica percezione di isolamento e disorientamento dei corsisti che sperimentano un percorso di formazione on line; dall’altro, a un livello di analisi più sofisticato, il tutor rappresenta la leadership del gruppo, la guida che orienta il senso e il significato delle attività di apprendimento.

Accanto alla componente di attenzione propriamente didattica al lavoro del gruppo, in termini di chiarificazione degli obiettivi, definizione delle modalità operative di lavoro e della loro articolazione tempistica, – considerando anche che (spesso) la dilatazione dei tempi della formazione on line crea un’alterazione temporale nel ritmo delle stesse – il tutor agisce da catalizzatore dei processi socio-relazionali del gruppo, promuovendo sia la creazione di un clima di mutua fiducia tra i suoi membri, sia un’attitudine alla valorizzazione dell’alterità rappresentata dagli stessi. Il tutor quindi sollecita e mette in gioco le proprie e altrui capacità relazionali: da un lato, egli elabora, progressivamente e insieme al gruppo, le chiavi interpretative della comunicazione scritta della comunità dialogica che contribuisce a far crescere; dall’altro, favorisce l’emersione di quelle componenti affettive e metacomunicative che contribuiscono in modo determinante a un significativo apprendimento cognitivo.

Richiamandoci allora a quanto dichiarato all’inizio di questo articolo quando abbiamo definito la Rete come spazio antropologico, ovvero come ambiente di relazione, possiamo condurre alcune riflessioni conclusive sul modello dell’e-learning 2.0.

La formazione on line non è definibile attraverso il procedimento di ricostruzione storica delle sue forme generazionali (FaD di I, II, III e IV generazione o e-learning 1.0, 2.0), poiché in questa ricostruzione l’elemento dominante è sempre scandito dalla tipologia di apparato tecnologico utilizzato. Dovremmo piuttosto impegnarci nella realizzazione di percorsi formativi on line che siano in grado di valorizzare l’ambiente di apprendimento in qualità di spazio antropologico; un ambiente ove tessere, attraverso le guide di relazione dei tutor, forme di apprendimento significative, orientate a processi di condivisione e scambio strutturati come richiedono le pratiche di cooperative learning, consentendo tuttavia l’ingresso di dimensioni a maggiore connotazione socio-affettiva, favorite e amplificate dagli strumenti del web 2.0. Ciò al fine di alimentare una sistemica della didattica on line in cui il formale e il non formale, la cognizione, l’emozione e l’azione siano “nodi” di un processo ricorsivo, in grado di influenzarsi reciprocamente e per i quali, già da oggi, disponiamo degli strumenti, delle prassi e dei modelli di riferimento, senza dover necessariamente dar vita a “nuove” locuzioni.

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  1. Cfr. T. O’Reilly, «What is Web 2.0» consultabile in Rete all’indirizzo http://oreilly.com/web2/archive/what-is-web-20.html
  2. G. Bonaiuti (a cura di), E-learning 2.0. Il futuro dell’apprendimento in rete, tra formale e informale, Collana «I quaderni di Form@re» n. 6, Erickson, Trento 2007, p. 40.
  3. Ibidem, p. 112.
  4. Cfr. J. D. Bolter, R. Grusin, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, A. Marinelli (a cura di), Guerini e Associati, Milano 2002.
  5. G. Bonaiuti (a cura di), op. cit., pp. 53-4.
  6. A.Kaye, «Apprendimento collaborativo basato sul computer» in Tecnologie Didattiche, n. 4, 1994, pp. 9-21.
  7. Ibidem.
  8. Ibidem.