Abstract
La scuola italiana non è mai stata particolarmente attenta ai processi documentari, ma il nuovo scenario offerto dalle TIC impone l’obbligo di lasciar traccia di tutte le buone pratiche educative. Il nuovo tipo di documentazione richiesto ai docenti è di tipo generativo, capace cioè di generare informazione, produrre degli effetti, portare a un cambiamento sul piano dei comportamenti, degli atteggiamenti e delle conoscenze.
Documentando non solo i prodotti finali ma anche e soprattutto i processi, la documentazione diventa occasione di formazione, soffermandosi su attività di riflessione e valutazione delle esperienze, in un’ottica di circolazione delle conoscenze e delle competenze collettive, e rappresentando un percorso per riusare la conoscenza prodotta.
Scenario
Uno dei campi in cui è possibile introdurre le tecnologie multimediali nella quotidianità della didattica, apportando significativi miglioramenti nell’apprendimento, è, secondo Calvani[1], quello della documentazione aperta: la multimedialità è l’impalcatura che sostiene la conservazione dei prodotti delle classi, permettendo di richiamarli a distanza di tempo, integrandoli e modificandoli ove necessario, ed è alla base della documentazione generativa multimediale dei progetti e delle azioni didattiche, laddove però il documentare abbia un ruolo non tanto di archiviazione, quanto un ruolo formativo a disposizione dei colleghi e di quanti siano interessati.
Se si analizza l’etimologia del termine documentazione – dal latino documentum da docere informare, far sapere, insegnare – il collegamento con l’attività scolastica è immediato.
Nella storia della scuola italiana, però, l’attenzione alla documentazione è sempre stata pressoché assente [2], non c’è quasi mai stata una riflessione intenzionale e programmata su aspetti della vita e della gestione della scuola prettamente riferiti alla didattica e alle attività dell’insegnamento, non è stata in passato presa in considerazione la possibilità di incidere sui processi di crescita professionale dei docenti attraverso un’azione di revisione e di ripensamento dell’esperienza scolastica. I docenti non hanno conservato, se non in forma personale e privata, le tracce del proprio lavoro e l’unico spazio documentario a cui è stata prestata attenzione è stato quello amministrativo; solo a partire dagli anni ’90 progressivamente si è cominciato a tenere memoria della dimensione didattica e professionale relativa all’attività apprenditiva e insegnativa.
Documentare a scuola significa costruire informazioni che consentano di mantenere memoria delle attività svolte, degli strumenti utilizzati nella pratica didattica, degli stessi prodotti del lavoro e insieme di rendere leggibili i diversi percorsi. Si tratta, quindi, dell’insieme delle procedure attivabili per elaborare un vissuto trasformando in unità informativa gli aspetti più interessanti di una attività, di un progetto.
I numerosi e vari processi che si realizzano nella scuola vanno documentati, vanno raccolti, catalogati e diffusi: in tal modo si possono memorizzare le attività svolte, elencare gli strumenti utilizzati nella pratica didattica e informare gli altri, così che la conoscenza diventi sapere collettivo.
La documentazione generativa: oltre i tradizionali stili documentari
I cambiamenti apportati dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione e l’avvento di internet hanno fatto sì che la documentazione tradizionale e le metodologie con essa utilizzate per rappresentare la conoscenza abbiano dovuto fare i conti con i limiti espressi da una conoscenza fortemente tassonomica, come quella tipica della documentazione, oggi in forte contrasto con modelli di tipo analogico, reticolare e multimediale caratteristici del web.
La documentazione di tipo tradizionale è ormai superata, basata com’è su un approccio archivistico e in un’ottica di raccolta e conservazione, ma è ancora su questo che si fonda principalmente la documentazione all’interno delle scuole.
Nonostante la diffusione dei computer, al massimo si è passati dalla documentazione cartacea alla documentazione su file di testo e alla conseguente archiviazione, secondo un’aderenza a standard biblioteconomici, quali, nella migliore delle ipotesi, thesaurus, abstract e authority files.
Inoltre, la documentazione prodotta all’interno delle scuole vede la prevalenza esclusiva del codice scritto, sia esso su supporto cartaceo o elettronico, e di un unico punto di vista, quello del docente/scrivente.
Negli ultimi anni a una documentazione statica, fatta di documenti cartacei digitalizzati, collocati in un repositorio, va affiancandosi una documentazione che è prima di tutto strumento d’interazione: la documentazione tradizionale sta pian piano cedendo il passo alla documentazione dinamica e multimediale, che deve però essere anche generativa.
Per documentazione generativa si intende una forma di documentazione che produce degli effetti, che porta, cioè, a un cambiamento sul piano dei comportamenti, degli atteggiamenti e delle conoscenze; Paolo Bisogno sostiene che «l’obiettivo della documentazione è far conoscere ciò che è stato fatto per poter fare[3]» ed è proprio così che la documentazione scolastica diviene capace di generare e di produrre nuova conoscenza.
La documentazione tradizionale cartacea o i file testuali rappresentano, con lunghe pagine di narrazione sequenziale, un ostacolo per una comunicazione efficace degli elementi innovativi di un’esperienza didattica: difficilmente, infatti, riescono a far emergere i nodi qualificanti del percorso e a permettere il loro trasferimento nella realtà quotidiana in cui operano gli insegnanti. Ne consegue che la documentazione dell’innovazione didattica passa necessariamente attraverso l’uso di strumenti multimediali, che permettono una descrizione pluridimensionale dei processi.
Per riuscire a rendere utile la documentazione di un’esperienza, va identificato preliminarmente l’elemento cardine che rende rilevante e degno di nota un determinato percorso educativo e che può essere costituito da innovazioni strettamente didattiche, anche a livello disciplinare, dalla creazione di un particolare ambiente di apprendimento, dall’instaurarsi di relazioni significative, da un cambiamento organizzativo più o meno notevole e così via. Solo una volta che si è identificato tale elemento significativo, è possibile scegliere le tecniche e i metodi più adatti a documentarlo, poiché non vi è uno strumento migliore degli altri in assoluto, ma ogni esperienza richiede un tipo di documentazione multimediale che riesca a valorizzarla nel migliore dei modi.
Per rendere generativa la documentazione e per far comprendere ciò che si sta documentando, gli aspetti salienti e i punti più importanti di un’attività vanno trasformati in unità informative, così da rendere visibile all’esterno le capacità progettuali del docente, dei docenti e, infine, della scuola.
La documentazione multimediale è caratterizzata dal fatto che l’utente può non solo condividere le risorse, in una logica di rete, ma può essere parte attiva del processo di documentazione, anche grazie a quella vera e propria galassia di potenzialità rappresentata dal Web 2.0, un vero e proprio modo nuovo di intendere la Rete, che pone al centro i contenuti, le informazioni, l’interazione.
L’utilizzo di diversi codici oltre alla scrittura, come l’immagine, il suono, il video, fanno compiere all’utente un’esperienza che coinvolge anche la sua parte emotiva (descrivendo il “clima”, le relazioni, …) oltre a quella cognitiva.
Secondo la teoria della doppia codifica elaborata da Allan Paivio alla fine del secolo scorso, quando un individuo acquisisce delle informazioni presentate in modalità multimediale o multimodale entrano in funzione due sistemi di elaborazione: vengono, infatti, attivati un canale semantico, che ha il compito di elaborare le informazioni di tipo verbale e linguistico, e un canale analogico, che si avvale della metafora, dell’emozione e dell’evocazione e che ha il compito di decodificare le informazioni di altro genere, come le immagini e i video[4].
Recentemente Schnotz ha ripreso l’intuizione di Paivio, compiendo però una distinzione tra rappresentazioni esterne, individuate nel testo e nelle immagini, e rappresentazioni interne, individuate nei modelli e nelle immagini mentali del soggetto: è proprio l’integrazione tra queste due tipologie di rappresentazione delle informazioni a garantire l’efficacia della multimedialità [5].
Le cinque W della documentazione
Per inquadrare con precisione i punti cardine della documentazione generativa, può essere utile un adattamento della regola classica di composizione di un articolo giornalistico, nota come regola delle cinque W, ovvero who, what, where, when e why:
- Chi documenta?
I docenti, individualmente o in team, per i docenti: solo questo tipo di documentazione può essere generativa, può produrre ulteriori conoscenze per gli insegnanti stessi.
È importante sottolineare che l’abitudine alla documentazione e le capacità di base per documentare dovrebbero essere un patrimonio di tutti gli insegnanti ed essere parte integrante della professionalità docente; tutti dovrebbero avere l’opportunità di fare esperienza diretta delle possibilità offerte dalla tecnologia per la diffusione e l’utilizzo dei materiali prodotti a scuola.
Una pratica così complessa ed estranea alla cultura scolastica tradizionale richiederebbe che in ogni scuola vi fosse una figura professionale, un documentalista, che, grazie a specifiche competenze, fosse in grado di supportare e coordinare questa attività: purtroppo, i continui tagli agli organici e le risorse sempre più scarse a disposizione delle istituzioni scolastiche non permettono questo tipo di organizzazione, che indubbiamente andrebbe ad arricchire la qualità della scuola stessa.
- Cosa si documenta?
Si documenta tutto ciò che può servire a lasciare una traccia del proprio operato, a delineare la memoria storica della scuola e a iniziare una sorta di percorso di formazione e di circolazione delle conoscenze: l’attività didattica, la programmazione degli interventi, le esperienze compiute, le iniziative originali e innovative, gli ostacoli incontrati, i percorsi formativi.
- Dove si documenta?
Tralasciando gli strumenti adibiti alla documentazione “burocratica”, tra cui il registro di classe, il registro dell’insegnante, l’agenda d’interclasse, il POF, i verbali delle riunioni degli organi collegiali, ma anche gli appunti personali non organizzati e non condivisibili, l’attenzione va posta su tutti quei materiali che si possono organizzare in maniera multimediale e che permettono una fruizione digitale: per fare un esempio, non il plastico ingombrante, ma foto, filmati, appunti, considerazioni sulle varie fasi di realizzazione e sul significato dell’esperienza.
- Quando si documenta?
Se si vuole che la documentazione sia a tutti gli effetti generativa, è necessario che essa diventi una pratica abituale nel lavoro quotidiano dei docenti, pertanto si dovrebbe documentare sempre, in tutte le fasi della progettazione e della realizzazione dell’attività, sia individualmente che in gruppo, sia in orario di servizio che al di fuori dei momenti e degli spazi istituzionali (si tratta di quei momenti da dedicare agli impegni non quantificabili, affidati alla discrezionalità del singolo).
Più precisamente, è opportuno distinguere tre momenti del “fare documentazione”:
- Documentazione ex ante: già nella fase di stesura del progetto è fondamentale raccogliere e tenere traccia di idee, appunti, materiale preliminare, indicazione degli obiettivi, ipotesi del percorso da seguire.
- Documentazione in itinere: questo tipo di documentazione si presta a essere utilizzata in funzione della microprogettazione, poiché le informazioni acquisite durante la realizzazione del percorso didattico sono funzionali per apportare eventuali modifiche o variazioni al percorso stesso. Si tratta, in questa fase, di raccogliere il materiale più significativo, fare fotografie, filmati, registrazioni, prendere appunti, annotare le difficoltà incontrate, tenere un diario, osservare gli alunni e le loro reazioni, raccogliere disegni ed elaborati e tutto ciò che viene prodotto.
Già in questo momento può avere inizio una prima selezione del materiale, con riferimento alla sua significatività, all’originalità e alla creatività, ma soprattutto alla conferma o falsificazione delle ipotesi di lavoro, a cui avrà seguito o la prosecuzione sulla stessa linea di intervento o una riprogettazione del percorso.
- Documentazione ex post: questa fase è fondamentale per ricostruire l’attività svolta, per tirare le fila delle scelte compiute e delle decisioni prese, per misurare le distanze tra gli obiettivi e i risultati, tra le intenzioni e le azioni. Si tratta di un’azione critica volta ad analizzare l’efficacia del lavoro compiuto.
- Perché si documenta?
Tralasciando tutti gli aspetti relativi alla documentazione come obbligo istituzionale e burocratico, ciò che preme sottolineare qui è che si documenta per far sì che le proprie conoscenze generino altre conoscenze utili a se stessi e agli altri docenti, per conservare una memoria critica del proprio operato, per acquisire consapevolezza sulle scelte didattico-educative e per riprogettare le attività in modo più adeguato e incisivo.
Il condividere esperienze significative contribuisce a valorizzare il patrimonio di ricerca didattica e a incentivare l’innovazione, consentendo alla scuola di utilizzare in maniera semplice e funzionale l’informazione che essa stessa produce.
Documentazione di prodotto e di processo
“Ci sono due modi di passeggiare in un bosco. Nel primo modo ci si muove per tentare una o molte strade (per uscire al più presto o per riuscire a raggiungere la casa della Nonna, o di Pollicino, o di Hansel e Gretel); nel secondo modo ci si muove per capire come sia fatto il bosco e perché certi sentieri siano accessibili ed altri no”: così Umberto Eco [6] sottolinea che, nel primo caso, ciò che conta è il traguardo finale e tutto il percorso del bosco prende senso e significato in relazione alla prestazione finale, alla meta più o meno raggiunta; nel secondo caso è determinante il modo di esplorare, conoscere e orientarsi non solo in quel bosco, ma in tutti i boschi.
Allo stesso modo avviene per quanto concerne la documentazione educativa, che può essere suddivisa in documentazione di prodotto e documentazione di processo: chi documenta un prodotto rende leggibile il risultato di un determinato percorso progettuale, nato in risposta a bisogni peculiari e inserito in un determinato contesto spaziale e temporale (impara solo il tragitto di quel bosco); chi documenta un processo rende leggibile qualsiasi percorso, avendo acquisito la competenza trasversale di documentare le modalità attraverso cui esso si costruisce (impara a orientarsi in tutti i boschi)[7].
La dicotomia prodotto-risultato-certezza e processo-percorso-complessità fa capire come sia più semplice esporre un prodotto, un risultato intermedio o finale di un percorso, che analizzare un processo, dando conto delle ragioni, delle dinamiche, delle negoziazioni e degli interrogativi che hanno accompagnato l’azione didattica.
Un’esperienza didattica necessariamente non coincide col risultato finale, col prodotto finale – sia esso un cd-rom, un sito, un video o qualunque altro prodotto – che illustra e documenta l’esperienza, ma non rappresenta, se non in minima parte, l’insieme delle conoscenze prodotte: ciò che maggiormente interessa è il processo didattico, la trasferibilità dell’informazione e il valore aggiunto delle conoscenze è legato più al processo che al prodotto e la difficoltà sta proprio nel documentare tale processo.
“I percorsi illustrati sui siti Internet delle scuole [e allo stesso modo possono essere strutturati i cd-rom, i filmati, i video], essenzialmente diretti agli alunni e alle loro famiglie, pongono necessariamente maggiore enfasi sui prodotti finali piuttosto che sul cammino che ha portato alla loro elaborazione. Questo tipo di comunicazione a orientamento “pubblicitario” – colorata, accattivante, spesso molto sintetica – non può certo fornire ai docenti le necessarie indicazioni operative per la trasferibilità degli spunti più innovativi. Si è perciò imposta l’esigenza di sperimentare nuove modalità di diffusione per quanto di nuovo e buono viene realizzato dalle scuole”[8]. La documentazione di prodotto ha carattere informativo e descrittivo, testimonia il risultato di un processo, illustra il prodotto finale e gli esiti raggiunti e rende leggibile, sia all’interno dell’istituzione scolastica che all’esterno, ciò che è stato fatto.
Nel porre l’accento sulla visibilità degli interventi didattici e sul loro manifestarsi come prodotti, vi è il rischio di costruire un’immagine della documentazione come archivio dei lavori svolti rimanendo in una prospettiva di estetica del documento e di cura soprattutto dell’aspetto esteriore del prodotto finale.
La documentazione di processo, invece, ha carattere comunicativo ed espressivo del ‘come’ un’esperienza didattica si è svolta e del ‘perché’ di eventi e di vissuti, basandosi su logiche progettuali, mediazione didattica, criteri di valutazione, metacognizione, autovalutazione e autoregolazione.
Nel documentare un processo, raccontandone la storia, è fondamentale evitare di creare una sterile elencazione delle attività svolte, incapace di trasmettere un processo dinamico e originale [9].
Una volta superata l’idea di documentazione come strumento fotografico istituzionale, va assunta quella di strumento per l’analisi qualitativa delle azioni formative, educative e didattiche, interrogandosi su quali aspetti rendono significative le scelte operate, su come agisce l’insegnante per affrontare e risolvere le problematiche, sulla coerenza tra pensiero e azione.
Elementi per l’elaborazione di percorsi documentativi dei processi
La documentazione di processo richiede, ovviamente, un lavoro maggiore da parte dell’insegnante ed è caratterizzata da alcuni elementi fondamentali.
Innanzitutto, la documentazione di processo, a differenza di quella di prodotto, deve assolutamente problematizzare le esperienze, nel senso che deve porre l’accento anche sugli imprevisti, gli incidenti, gli errori, i dubbi, le perplessità, le incertezze di cui ogni esperienza è sempre intessuta e sui tentativi di risposta, riusciti o meno, che sono stati sperimentati. Possono risultare interessanti anche gli stati d’animo che hanno accompagnato i vari momenti del processo.
Un processo non è quasi mai lineare, è segnato dai cambiamenti, dai ripensamenti, dalle inversioni di rotta, dalle riprogettazioni ed è su questi aspetti che è interessante dibattere dal punto di vista professionale per capire cosa ha funzionato e cosa no e, in entrambi i casi, conoscere le strategie predisposte e gli eventuali riadeguamenti messi in atto.
Inoltre, fondamentale è ricordare che l’insegnante che documenta è in fase meta cognitiva, perché, riflettendo sul senso del suo lavoro, si attiva per darsi delle spiegazioni sull’operato (Quale direzione ha preso il progetto? È attinente alle ipotesi iniziali? Come ho lavorato? Come è stato recepito il lavoro? Ci sono stati incidenti durante il percorso?…), fino ad arrivare a una nuova progettazione strettamente intrecciata ai contenuti emersi nella documentazione.
È proprio interrogandosi sul proprio lavoro e sulle sue implicazioni, su come vengono codificate le azioni didattiche e sulle modalità di rapportarsi ad esse che si possono individuare gli errori – se errori si possono chiamare - dei modelli che la scuola abitualmente impiega: la documentazione educativa può rappresentare un’occasione significativa per riflettere e acquisire consapevolezza su convinzioni, tradizioni e rituali che si sono creati nel tempo e che sono ormai radicati nel modo di fare scuola. In questa maniera si dà voce alle proprie azioni quotidiane e si esplicita il perché di un dato modo di procedere.
La documentazione di processo deve essere caratterizzata dall’intenzione di puntare il faro della ricerca su due livelli: il livello dell’agito, ovvero delle azioni realizzate, e il livello del metacognitivo, ovvero delle riflessioni sulla didattica e sulla ricerca del percorso documentativo più efficace.
Ogni esperienza sulla documentazione didattica raggiunge traguardi non definitivi, in quanto espressione di un processo più che di un risultato e perciò passibile eventualmente di differenti interpretazioni.
Le esperienze documentative della didattica sono procedure dinamiche, mai concluse, che si arricchiscono qualitativamente nel loro stesso sviluppo: si tratta di percorsi di formazione in servizio, che possono richiedere anche interventi esterni di confronto e di approfondimento, ma che sostanzialmente si avvalgono delle competenze professionali degli attori coinvolti.
Inoltre, ogni metodologia documentativa è impostata sull’idea di documentazione che ha assunto durante il percorso, non può essere definita tutta a priori, prima dell’esperienza stessa, ma si ridefinisce in itinere orientata dalla ricerca di coerenza con i principi che la sostengono.
«Se la ricerca vive nella documentazione, la documentazione non sta a sé ma dipende dalla ricerca. Perciò per documentare qualcosa bisogna avere qualcosa da documentare» [10]: essendo documentazione e ricerca strettamente interdipendenti, ne consegue che la ricerca non possa nascere se non dispone di informazioni su problemi, mezzi e procedimenti e, d’altro canto, non può che esistere come documentazione. Spesso erroneamente il termine documentazione viene considerato come riferito a qualcosa che ‘viene dopo’: invece, la documentazione può essere distinta tra documentazione come sintesi della ricerca (che viene dopo) e come documentazione intrinseca dei progetti, mentre sono in corso.
La documentazione è lo strumento fondamentale e indispensabile per la costruzione di contesti di ricerca, indagine e scoperta, finalizzati al miglioramento del processo educativo: infatti, risulta impossibile pensare a un percorso di ricerca se i docenti prima non sviluppano competenze di auto-analisi, non potenziano capacità di riflessione, non ripercorrono le scelte intraprese, non reinterpretano i traguardi raggiunti, non divengono soggetti attivi nel rinnovamento e nel cambiamento del proprio operare.
La cura della documentazione educativa e la sua diffusione all’interno della scuola e gli scambi di informazioni, esperienze e materiali didattici si collocano nell’ambito che l’art. 6 del “Regolamento dell’autonomia” sigla come “ricerca, sperimentazione e sviluppo”: la cultura della documentazione vanta così il diritto di collocazione non marginale nella scuola dell’autonomia, diventando essa stessa espressione della ricerca, di una ricerca sulla didattica, sui curricoli, sulla valutazione, sulla documentazione stessa [11].
L’organizzazione dei materiali costituisce il nucleo e, al tempo stesso, il nodo problematico dei processi documentari; diviene scelta obbligata l’adottare alcuni criteri di riferimento, riassumibili in quattro principali:
- Criterio della rappresentatività: innanzitutto, sono da selezionare i materiali che meglio riescono a esprimere orientamenti, scelte di tipo educativo e metodologico-didattico, strategie organizzative, soluzioni innovative, esperienze didattiche e professionali. Ovviamente non si possono documentare tutte le esperienze che articolano i processi di insegnamento/apprendimento, di pianificazione, di gestione di situazioni particolari, perciò vanno individuate quelle esperienze, e, all’interno di esse, quei materiali che nella loro configurazione logica riescano a esaltare la pregnanza sul piano didattico e professionale dei percorsi realizzati.
Durante l’anno scolastico ogni scuola produce e accumula una mole immensa di materiali di varia natura – cartelloni, disegni, plastici, narrazioni, appunti, fotografie, file diversi… – destinati, nella maggior parte dei casi, a essere cestinati o accatastati senza essere più utilizzati, mentre sarebbe opportuno un censimento preliminare e poi una razionalizzazione degli stessi, con l’eliminazione dei materiali non più utilizzabili o non significativi e l’organizzazione in ottica generativa dei materiali da conservare.
- Criterio della significatività: tale criterio è strettamente correlato al precedente, con la differenza che l’idea di significatività è legata sia alla dimensione personale, per cui è significativo ciò che dice qualcosa di rilevante a chi l’ha prodotto e che ha lasciato traccia nella memoria individuale, sia alla dimensione sociale, per cui è significativo per gli altri ciò che è in grado di innescare meccanismi di partecipazione conoscitiva e di fruibilità. Nel nostro caso, un prodotto documentario è significativo quando esplicita, rende e spiega, senza ambiguità e fraintendimenti, la portata effettiva di un’esperienza e quando contribuisce al potenziamento, allo sviluppo e al miglioramento dei processi e della qualità. Infine, la significatività è legata anche alla congruenza tra il sistema di codificazione prescelto e il contenuto: secondo questa logica, dunque, a seconda dei casi può essere più significativo un testo verbale scritto o un racconto fotografico o un filmato o un altro prodotto multimediale.
- Criterio della leggibilità: «La leggibilità non è affidata al caso[12]», anzi è un obiettivo che va perseguito mettendosi dalla parte del potenziale destinatario fruitore del materiale, sia esso un testo, un’immagine, un ipertesto, un ipermedia e così via. Un progetto, un itinerario di lavoro, la narrazione di un’esperienza rappresentano il punto di arrivo di un processo di elaborazione (e qui sta, ancora una volta, la differenza tra processo e prodotto) spesso articolato e complesso: la documentazione di un’esperienza, supportata da materiale verbale, scritto, grafico, pittorico, multimediale deve permettere ai fruitori di leggere e di comprendere, attraverso il percorso visuale, anche il percorso mentale, di comprenderne le ragioni e l’articolazione e di coglierne la significatività.
La documentazione prodotta deve essere leggibile di per sé, senza il ricorso al produttore, e deve lasciar trasparire percorsi, tappe, itinerari didattici, ostacoli, mentre molti insegnanti, nella loro pratica educativa, producono del materiale che, spesso, non risulta comprensibile se non per il proprio estensore.
- Criterio della fruibilità: tale criterio presuppone un’attenta considerazione delle reali possibilità di utilizzo da parte sia del produttore che degli altri fruitori. I materiali, infatti, devono essere configurati in modo da poter essere utilizzati in prima istanza dai soggetti protagonisti delle esperienze, che possono così rievocarle, riesaminarle, ricalibrarle. In secondo luogo, è anche agli altri che le esperienze vanno partecipate, pertanto andranno esclusi tutti quei materiali scarsamente utilizzabili e che non possiedono i requisiti di raccontabilità, traducibilità e adattabilità situazionale: in sintesi, si tratta di contestualizzare.
Contestualizzare significa esplicitare i dati informativi che permettono di collocare l’esperienza nella storia della scuola, di coglierne l’evoluzione e di esaltarne gli aspetti più rilevanti. I dati informativi di contesto riguardano principalmente le ragioni che hanno sollecitato l’esperienza, gli obiettivi, i soggetti coinvolti, le condizioni (tempo, luogo, spese), l’articolazione e lo sviluppo dei processi di monitoraggio e di valutazione.
Più nello specifico, il contesto è «l’insieme delle circostanze dell’accadere educativo, cioè l’insieme intrecciato di tutti quei fattori che hanno una ricaduta sui modi e sulla qualità della crescita degli studenti[13]» e non può essere considerato solo come un elemento di sfondo, ma è una vera e propria costruzione simbolica che suggerisce agli attori significati e procedure d’azione.
«Il contesto è fatto di soggetti diversi che interagiscono a partire da premesse consapevoli e inconsapevoli, condivise o no, che agiscono le une attraverso le altre: soltanto se io mi vedo in quel determinato contesto come parte della trama interattiva, considerandomi al tempo stesso dentro e fuori il processo, posso riflettere sul mio contributo al suo sviluppo, ai suoi esiti, positivi o negativi che siano [14]»: la descrizione del contesto consente ai docenti di distanziarsi dalla realtà e, paradossalmente, la contestualizzazione consente di decontestualizzare e di trasferire l’esperienza in altri contesti.
Il trasferimento di un’esperienza da un altro contesto in cui si è sviluppata al proprio riguarda il tema dell’innovazione, intesa non come invenzione auto-prodotta, ma come circolarità della documentazione: si tratta di un’operazione complessa, che non si riduce semplicemente a una ripetizione dell’esperienza, ma richiede una progettazione e un adattamento creativo alle condizioni specifiche in cui si opera. Si tratta di un processo di ricerca, che si propone di trovare, selezionare, riesaminare, ricostruire, verificare, correggere, adattare, adottare, implementare e valutare un’esperienza fatta altrove.
Una volta attuato e progettato, il trasferimento determina un’innovazione, andando a modificare le consuete modalità di operare
Documentazione come formazione, autoformazione e sviluppo delle competenze
Gli aspetti della documentazione che si intrecciano fortemente con la formazione di docenti e dirigenti scolastici sono, da un lato, la crescita professionale legata all’attività stessa del documentare e dall’altro la possibilità di far circolare le esperienze e di favorire il confronto e il miglioramento della qualità del fare scuola.
Per quanto detto sinora, la documentazione diviene occasione di formazione se dà conto non dei risultati finali, ma di attività di riflessione e valutazione delle esperienze.
Uno dei valori della documentazione è sicuramente quello di sviluppare un processo di circolazione delle conoscenze: documentare in quest’ottica vuol dire ripercorrere il processo e interpretarlo con elementi di qualità e criticità, per far sì che le esperienze educative siano rappresentative e ripetibili, permettendo di rintracciare analogie e similitudini con altre situazioni prossime o lontane. La proponibilità e la trasferibilità dell’esperienza in altri contesti costituiscono uno degli aspetti più qualificanti della documentazione quale strumento di formazione professionale condotta sul campo e in servizio.
La documentazione serve per accompagnare il lavoro dell’insegnante per farne emergere gli aspetti di originalità e di unicità delle proprie attività e questo costituisce il terreno su cui confrontarsi tra colleghi, scambiarsi opinioni, trovare sollecitazioni, riflettere insieme in direzione di una autoformazione costante.
Ciò vuol dire che si impara non solo con letture, corsi di aggiornamento, percorsi accademici, ma anche dai colleghi, dal dialogo coi colleghi: l’apprendimento sul campo, l’”imparare facendo”, è un apprendimento vero solo se è accompagnato dalla riflessione che fa acquisire maggiore consapevolezza e consente di imparare dall’esperienza.
L’esperienza professionale che l’insegnante matura deriva da un contatto, avviene cioè proprio vedendo, imparando dai colleghi, venendo a contatto con idee organizzative nuove delle didattica, con l’esperienza di altri. Nel suo lavoro di classe, l’insegnante utilizza molto più la propria esperienza diretta che non i testi accademici sui quali si è preparato: ciò indubbiamente non coincide con un abbandono delle teorie che muovono i percorsi pedagogici e didattici, ma vuol dire che ciò che può veramente far modificare i comportamenti didattici in classe deriva da un altro livello di esperienze, da un altro livello di informazioni e conoscenze che è quello prodotto dalla scuola stessa.
Le esperienze documentate in modo accurato sono una grande ricchezza sia per coloro che intendono intraprendere un percorso innovativo, sia per coloro che stanno già sperimentando nuove strade e desiderano trovare riscontri, confrontarsi, migliorare, trovare nuove idee, nuovi approcci, nuove modalità organizzative: anche questa è formazione sul campo, che, accanto alla formazione teorica, offre la possibilità di vedere come si possano mettere in pratica suggerimenti e indicazioni che provengono dagli studiosi, quali sono i problemi e i nodi critici e quali proposte si sono rivelate più efficaci. Il confronto coi colleghi induce l’adozione di nuovi punti di vista, la messa in discussione del proprio operato, la crescita professionale.
Secondo studi assai recenti, a partire dalle teorie di Le Boterf [15], anche per la formazione degli insegnanti è valido il concetto di competenze collettive, ovvero l’intelligenza dipende sì dai neuroni del cervello, ma anche e soprattutto da molteplici sinapsi sociali [16]: ne consegue che l’individuo non sia portatore esclusivo della sua competenza, dato che essa dipende in modo significativo dal contesto lavorativo in cui si è inseriti. Si può parlare pertanto di formazione con caratteristiche reticolari, che segnano il passaggio da una concezione atomistica delle competenze a un concetto di architettura di competenze. Come ampiamente sottolineato da Galliani, però, «le innovazioni innescate dalle tecnologie possono operare cambiamenti significativi nel sistema scolastico e formativo, se gli insegnanti acquisiranno non soltanto abilità tecniche, […] ma tre tipologie di competenze: progettuali per organizzare ambienti integrati di apprendimento (on site, on line); metodologico-didattiche per gestire esperienze educative simulate; linguistico-espressive per produrre materiali multimediali-interattivi in specifici ambiti del sapere [17]».
Selezione dei contenuti in ottica formativa
Pensare alla documentazione come occasione formativa per chi la produce significa operare delle scelte ben precise di specificità e priorità di contenuti, di strumenti e criteri da adottare per la costruzione del documento e ipotizzare i tempi e i movimenti di feedback; ne consegue che la scelta di utilizzare la documentazione in chiave formativa presupponga un’attenzione preventiva e un lavoro preparatorio capaci di garantire l’efficacia del processo e del prodotto ottenuto.
Fanno parte di questa cura preparatoria scelte inerenti l’individuazione dei momenti dell’esperienza educativa su cui centrare l’attenzione prima e il racconto poi, l’esplicitazione delle intenzioni che supporteranno le azioni, i fatti e le parole che li racconteranno, i linguaggi che meglio si prestano a conferire chiarezza concettuale ed efficacia comunicativa al documento che si sta confezionando.
Quest’ultimo aspetto è strettamente legato all’altro destinatario della documentazione, ovvero chi fruirà il documento: l’obiettivo è riuscire a comunicare, oltre al ‘cosa’ è stato realizzato, anche il perché è stato fatto e le modalità, le metodologie che hanno caratterizzato e scandito il lavoro.
Riflettere adeguatamente su questo aspetto permette di allontanarsi consapevolmente dal ‘racconto’ per arrivare all’’interrogazione’: una documentazione mai improvvisata e mai approssimativa deriva da un processo di interrogazione che ha motivato, guidato e accompagnato chi l’ha prodotta e genera nel destinatario nuova interrogazione.
La documentazione orientata alla formazione non ha alcuna pretesa di esaustività, non si preoccupa di mostrare un’esperienza nella sua totalità, in quanto l’obiettivo è proporre un terreno di riflessione a partire da un “frammento” di tale esperienza: negli eventuali vuoti può inserirsi l’interrogazione di chi fruisce del documento e grazie ai vuoti possono prendere corpo, per colmarli, formulazioni di ipotesi diverse, sia concettuali che pragmatiche. In questo modo si attiva il processo di riflessione che prova a immaginare e individuare possibili e coerenti evoluzioni dell’esperienza differenti da quella presentata.
Documentazione come dimensione del Knowledge Management System
Una volta chiarito come alla conoscenza istituzionale si affianchi – e vada valorizzata – la conoscenza tacita (tacit knowledge), ovvero quel patrimonio appartenente ai singoli, non riconducibile a procedure standard, non identificabile in manuali e non coincidente con la ricerca tradizionale, è opportuno chiarire come valorizzare tale conoscenza.
I suggerimenti per un approccio diverso alla gestione della conoscenza in campo educativo intesa come risorsa sono forniti dalle scienze economiche e sociologiche, che da qualche decennio studiano come, nell’ambito della produzione, vada potenziata la competenza sociale e relazionale, capace di produrre le occasioni nell’ambito delle quali la conoscenza tacita si applica e si trasmette e l’informazione circola e produce nuova conoscenza. È da questo filone di studi, noto come Knowledge Management Systems, che la scuola dell’autonomia può attingere per coniugare in modo nuovo il problema della formazione degli insegnanti e quello dell’elaborazione, trasmissione e rappresentazione della conoscenza professionale.
L’importante è tener sempre presente che questo processo non si determina spontaneamente, non è un atto ovvio e istintivo, ma necessita di organizzazione, riflessione, partecipazione consapevole, definizione di ruoli e surplus di lavoro [18].
Il discorso sulla documentazione va, pertanto, inquadrato nell’ambito del knowledge management applicato al campo educativo e va collegato alla formazione continua degli insegnanti, con lo scopo di far emergere la conoscenza tacita di chi opera nella scuola, di creare un sistema di gestione e rappresentazione della conoscenza generativa di nuove conoscenze e di favorire modalità di lavoro, quali communities of practice e learning organization.
La documentazione generativa multimediale si inserisce perfettamente in questo quadro, favorendo sia processi di metariflessione sia la creazione spontanea di comunità di pratica. La dimensione generativa delle nuove forme di documentazione si coglie analizzando, nel confronto tra gli insegnanti, quanto l’attività documentaria sia un’azione quotidiana, quanto incida sulla didattica, quanto consenta il trasferimento delle best practice e quanto sia in grado di aggregare i docenti in comunità professionali.
«L’obiettivo dei sistemi per la gestione delle conoscenze in ambito scolastico è quello di garantire la possibilità di utilizzare l’informazione disponibile come risorsa a sostegno dei processi di innovazione: occorre individuare un modo per far sì che le conoscenze possano trasformarsi in risorsa per la scuola [19]»: da un’analisi condotta dall’A.N.S.A.S. [20] è emersa ancora una debolezza comunicativa e narrativa nella documentazione prodotta e una difficoltà da parte dei docenti nel reperire e fruire la documentazione esterna al proprio istituto. A tal proposito, bisogna ricordare che una rappresentazione efficace delle conoscenze è funzionale al benchmarking, ovvero all’utilizzo consapevole e calibrato dei livelli di significatività raggiunti in altre realtà affini, quindi in altre istituzioni scolastiche. Il benchmarking è una metodologia tipica del Knowledge Management, grazie alla quale le scuole possono avviare una progettazione per l’adozione delle best practice per migliorare le proprie performance.
Il riuso della documentazione
Non vi è cosa più sbagliata del pensare che la documentazione esaurisca il suo compito e la sua funzione nel momento in cui viene redatta formalmente, divenendo, pertanto, capace di dar conto delle esperienze realizzate. Come già sottolineato, la documentazione deve servire a fermare l’attenzione per capire e interpretare, deve rappresentare un percorso per riusare la conoscenza prodotta.
In quanto azione mentale, ormai chiare le finalità formative e auto formative della documentazione, diviene essenziale pensare a come riusare queste conoscenze per produrne delle ulteriori, al fine di creare una circolarità dei saperi prodotti all’interno delle scuole.
Chiaramente la documentazione deve servire a chi l’ha prodotta e il processo del riuso avviene già durante la fase di realizzazione del percorso di apprendimento al quale è parallelo quello documentativo; anche a distanza di tempo, lontani dalle implicazioni soggettive connaturate al contesto operativo, è utile ritornare sulle proprie esperienze per individuare i nodi critici presenti, positivi e negativi, di modo che venga in pratica riscritta una nuova esperienza.
Fondamentale sarebbe anche sapere come i destinatari hanno accolto la documentazione prodotta e che utilizzo ne è stato fatto, ma difficilmente si riesce ad ottenere un feedback, se non in caso di documentazione pubblicata su blog, siti, portali: questo tipo di dialogo porta con sé sempre nuove conoscenze, stimoli e suggestioni.
Quando il riuso non rimane personale, ma è pensato per fruitori diversi, si possono attivare varie operazioni:
- Sviluppo di altre iniziative: i materiali prodotti dai colleghi, soprattutto se documentano puntualmente oltre al prodotto anche il processo, indubbiamente facilitano la messa a punto di altri percorsi formativi, adatti ai diversi contesti e ai diversi utenti.
- Formazione: come già sottolineato, la documentazione ha un forte valore formativo e auto formativo.
- Sviluppo del senso di appartenenza: confrontarsi e discutere dei propri prodotti di lavoro e delle strategie che a essi sottostanno porta senza dubbio a creare un senso di condivisione e di appartenenza sia istituzionale, favorendo uno spirito di prospettiva collegiale, sia professionale – se si pensa in termini non più di istituto, ma di documentazione che circola senza barriere tra i colleghi – nel senso che ci si rende conto di avere gli stessi problemi e le stesse difficoltà, ai quali si può trovare una soluzione da condividere.
Conclusioni
Attualmente nelle scuole italiane la documentazione è ancora intesa, pur riconoscendone il valore, generalmente come un onere in più al termine di un progetto, come raccolta finale di materiali a carico solo di qualcuno, legato a persone, materiali e progetti fini a se stessi.
Le buone pratiche della scuola difficilmente vengono documentate e i docenti nuovi non hanno idea delle scelte e della cultura della scuola in cui si trovano; da quanto emerge dai più recenti studi etnografici, inoltre, sono diffusi tra gli insegnanti il timore dell’esposizione e del confronto, la scarsa fiducia nella positività e nella generalizzabilità delle esperienze e, a volte, anche la mancanza di adeguate capacità di formalizzazione: ciò fa sì che molte conoscenze restino sommerse e che la cultura si disperda. È abitudine comune tra i docenti quella di non cercare il confronto con i colleghi e lo scambio professionale, cosa che invece accade normalmente per altre categorie professionali, ed è purtroppo ancora diffusa la credenza che l’ethos professionale suggerisca di non invadere il campo d’azione di un collega e di conservare per sé i frutti del proprio lavoro.
Nonostante i docenti e i dirigenti scolastici riconoscano il valore della documentazione, questa pratica è ancora poco diffusa, perché considerata un’attività che richiede lunghi tempi per registrare, scrivere, selezionare, ordinare tutti i passaggi di un percorso; infine, gli insegnanti lamentano sovente il mancato riconoscimento di tempi ufficiali, previsti dall’organizzazione scolastica, per potersi documentare in maniera adeguata.
Unico progetto formalizzato e strutturato è GOLD [21] dell’ANSAS, che ha come fine ultimo quello della documentazione delle buone pratiche della scuola, ma che vede coinvolto un numero ancora esiguo di docenti e che tratta soprattutto argomenti interdisciplinari e trasversali di ampio respiro; unità didattiche specifiche e aspetti prettamente disciplinari sono più complicati da documentare e pochi docenti si sono cimentati nel farlo. In ogni caso, il progetto è attualmente il migliore in Italia e ambisce a creare un vero e proprio sistema di documentazione per la diffusione on line delle conoscenze.
Una svolta significativa sta avvenendo nell’ultimo periodo grazie alla diffusione nelle classi delle LIM, le lavagne interattive multimediali, che sono state accolte con grande entusiasmo dagli insegnanti e che hanno permesso il fiorire di molti siti di raccolta di materiali condivisi, realizzati sia delle case produttrici dell’hardware e dei vari software sia da docenti nei propri blog. Probabilmente, ma non esistono al momento studi a dimostrarlo, data la recentissima diffusione di questi strumenti, sarà proprio grazie alle LIM che si diffonderà una cultura della documentazione di processo e non solo di prodotto, perché la natura propria di queste lavagne consente di tener traccia di tutti i passaggi che portano alla realizzazione della lezione, intesa come prodotto finale.
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- A. Calvani, Multimedialità nella scuola. Come e perché introdurre le nuove tecnologie nell’educazione, Garamond Editrice, Roma 1996. ↩
- A. Specchia, La documentazione scolastica, Anicia, Roma 2001, pag. 39 ↩
- P. Bisogno, Il futuro della memoria, Franco Angeli, Milano 1995. ↩
- A. Paivio, Dual coding theory: retrospect and current status, in Canadian journal of Psychology 45/1991, poi ripreso in A. Paivio, Mind and its evolution: a dual coding theoretical approach, Lawrence Erlbaum 2006 ↩
- W. Schnotz, Sign systems, technologies and the acquisition of knowledge, in J. F. Rouet, J. Levonen, A. Biardeau, Multimedia learning-cognitive and instructional issues, Elsevier, Amsterdam 2001 ↩
- U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, Milano 1994, pag. 33 ↩
- C. Covri, La documentazione dei processi, in I. Benzoni, Documentare? Sì, grazie, Junior, Bergamo 2001, pag. 59 ↩
- E. Macherelli, Dimmi come documenti e ti dirò chi sei, in IR-Innovazione e Ricerca, periodico elettronico a cura di INDIRE, novembre 2006 http://www.indire.it/content/index.php?action=read&id=1418&graduatorie=0 ↩
- G. Biondi, La documentazione come sistema di rappresentazione delle conoscenze, http://www.bdp.it/lucabas/lookmyweb_2_file///Biondi_rappresentazioni_conoscenze.pdf ↩
- F. De Bartolomeis, Lavorare per progetti, La Nuova Italia, Firenze 1989, pag. 155 ↩
- R. Iosa, Fare autonomia, Mursia, Milano 1999. ↩
- C. Montecot, Comunicare scrivendo, Franco Angeli, Milano 1994. ↩
- A. Bondioli, Sperimentare l’organizzazione, in M. Maviglia (a cura di), La sperimentazione nella scuola dell’infanzia, Edizioni Junior, Bergamo 2000. ↩
- M. Parodi, I postulati occulti, in Scuola Italiana Moderna, Editrice La Scuola, n° 08/1997. ↩
- G. Le Boterf, Costruire le competenze individuali e collettive. Agire e riuscire con competenza. Le risposte a 100 domande, Guida editori, Napoli 2008. ↩
- R. D. Di Nubila, Saper fare formazione. Manuale di metodologia, Pensa Multimedia, Lecce 2005. ↩
- L. Galliani, La scuola in rete, Laterza, Bari 2004, http://www.bdp.it/ted/materiali/galliani.pdf pag. 8 ↩
- I. Nonaka, H. Takeuchi, The knowledge-creating company. Creare le dinamiche dell’innovazione, Guerini e associati, Milano 1997 e M. Polanyi, La conoscenza inespressa, Armando Editore, Roma 1979 ↩
- G. Biondi, La scuola dopo le nuove tecnologie, Apogeo, Milano 2007, pag. 59 ↩
- Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica, ex I.N.D.I.R.E., Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa ↩
- GOLD, Global On Line Documentation, http://gold.indire.it/gold2/ ↩
- A. Calvani, Multimedialità nella scuola. Come e perché introdurre le nuove tecnologie nell’educazione, Garamond Editrice, Roma 1996. ↩
- A. Specchia, La documentazione scolastica, Anicia, Roma 2001, pag. 39 ↩
- P. Bisogno, Il futuro della memoria, Franco Angeli, Milano 1995. ↩
- A. Paivio, Dual coding theory: retrospect and current status, in Canadian journal of Psychology 45/1991, poi ripreso in A. Paivio, Mind and its evolution: a dual coding theoretical approach, Lawrence Erlbaum 2006 ↩
- W. Schnotz, Sign systems, technologies and the acquisition of knowledge, in J. F. Rouet, J. Levonen, A. Biardeau, Multimedia learning-cognitive and instructional issues, Elsevier, Amsterdam 2001 ↩
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- C. Covri, La documentazione dei processi, in I. Benzoni, Documentare? Sì, grazie, Junior, Bergamo 2001, pag. 59 ↩
- E. Macherelli, Dimmi come documenti e ti dirò chi sei, in IR-Innovazione e Ricerca, periodico elettronico a cura di INDIRE, novembre 2006 http://www.indire.it/content/index.php?action=read&id=1418&graduatorie=0 ↩
- G. Biondi, La documentazione come sistema di rappresentazione delle conoscenze, http://www.bdp.it/lucabas/lookmyweb_2_file///Biondi_rappresentazioni_conoscenze.pdf ↩
- F. De Bartolomeis, Lavorare per progetti, La Nuova Italia, Firenze 1989, pag. 155 ↩
- R. Iosa, Fare autonomia, Mursia, Milano 1999. ↩
- C. Montecot, Comunicare scrivendo, Franco Angeli, Milano 1994. ↩
- A. Bondioli, Sperimentare l’organizzazione, in M. Maviglia (a cura di), La sperimentazione nella scuola dell’infanzia, Edizioni Junior, Bergamo 2000. ↩
- M. Parodi, I postulati occulti, in Scuola Italiana Moderna, Editrice La Scuola, n° 08/1997. ↩
- G. Le Boterf, Costruire le competenze individuali e collettive. Agire e riuscire con competenza. Le risposte a 100 domande, Guida editori, Napoli 2008. ↩
- R. D. Di Nubila, Saper fare formazione. Manuale di metodologia, Pensa Multimedia, Lecce 2005. ↩
- L. Galliani, La scuola in rete, Laterza, Bari 2004, http://www.bdp.it/ted/materiali/galliani.pdf pag. 8 ↩
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- G. Biondi, La scuola dopo le nuove tecnologie, Apogeo, Milano 2007, pag. 59 ↩
- Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica, ex I.N.D.I.R.E., Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa ↩
- GOLD, Global On Line Documentation, http://gold.indire.it/gold2/ ↩