Numero 13/14 - 2017

  • Numero 3 - 2011
  • Saggi

Pro-azione tecnologica nella scuola. Pensare il sapere, pensare il futuro

di Angela Spinelli

Abstract

Il contributo propone una lettura del rapporto tra scuola e tecnologie in Italia a partire dall’analisi di alcuni dati che emergono da indagini e ricerche svolte tra il 2004 e il 2009.

Pur non essendo esaustivo, alcune linee sono ben demarcate e alcuni trend chiari. Sulla base di queste considerazioni e della letteratura nazionale, e in parte internazionale, la proposta è di spostare l’attenzione dal prodotto tecnologia al metodo didattico con il quale questa (o queste) vengono usate, metodo che comporta anche modifiche del modello euristico ed epistemologico.

Infatti, nonostante le attrezzature, le aule e l’organizzazione scolastica non sollecitino né aiutino un cambiamento di prospettiva è possibile attivare localmente un uso didattico e pedagogico delle tecnologie che le ricomponga con le variabili di cui le nuove generazioni sembrano portatrici e che, almeno a livello europeo, sono sentite come necessità nella prospettiva di una società della conoscenza. Non si tratta di stravolgere la scuola, piuttosto di abituarsi a guardare ai processi di conoscenza ad essa interni con occhi nuovi.

In sintesi, si propone un atteggiamento tecnologico pro-attivo e non più, o non solo, una re-azione che muovendosi sulla difensiva non riesce né a cogliere il senso dei cambiamenti che stanno avvenendo, né a promuovere una visione costruttiva dei media nei processi di apprendimento.

Il contesto

È già da parecchio tempo che, quotidianamente, la stampa si occupa del rapporto tra tecnologie, giovani, scuola, modificazioni sociali e cognitive. Sintomo, questo, di una grande attenzione mediatica, ma anche – a mio avviso – di una certa frustrazione interpretativa di un evento definito, il più delle volte, come “epocale”, “rivoluzionario”, “senza precedenti”. Le diverse posizioni, come è ovvio, si dividono tra critici serrati che propongono profezie preoccupanti e sostenitori ottimisti che suggeriscono di seguire un’onda ormai inarrestabile. Tendenzialmente simili, anche se diversamente argomentate, molte posizioni di natura meno divulgativa, più legate alla riflessione scientifica che interessa diverse discipline.

Il tema affrontato, in senso lato, è la “cultura digitale” nelle sue possibili implicazioni culturali, sociali, cognitive ed educative.

Una definizione del termine analogico opposto a numerico ancora molto attuale risale agli Assiomi della comunicazione di Watzlawick, con riguardo alla comunicazione umana e non alle tecnologie. Secondo l’Autore, il canale numerico è il contenuto della comunicazione, mentre quello analogico è il livello relazionale, da ciò è «lecito dedurre che l’aspetto di contenuto ha più probabilità di essere trasmesso con un modulo numerico, mentre in natura il modulo analogico avrà una netta predominanza nella trasmissione dell’aspetto relazionale.» [1]

Le tecnologie digitali hanno sintetizzato perfettamente questi due aspetti fino al punto di esplodere e di porsi come questione pubblica specialmente nel momento in cui hanno intrapreso e permesso l’utilizzo su larga scala di entrambi gli elementi comunicativi: quello di contenuto e quello di relazione, complessificando molto la già difficile interpretazione del passaggio culturale che stiamo vivendo in ambito tecnologico.

La questione sociale è avvertita addirittura da Lanier, pioniere della realtà virtuale e del web 2.0, che scrive: «dobbiamo riflettere sui progetti digitali che stiamo ideando adesso allo scopo di avvantaggiare le generazioni future» [2] poiché diversamente si corre il pericolo di trasformare la quantità in qualità e la “saggezza della folla” in sapere tout court, perdendo ciò che, almeno in filosofia, veniva definito come atteggiamento critico. L’aspetto di relazione, insomma, rischia di oscurare il contenuto. I timori ci sono e sono collegati in special modo a nuove forme di sapere, [3] alle implicazioni cognitive, apprenditive e relazionali che le tecnologie implicano, [4] nonché alle nuove forme di organizzazione socio-economica. [5]

Certo è che il mezzo tecnologico, specialmente la Rete, con le caratteristiche open che la contraddistinguono, pone dei problemi: da un lato ben venga la facilità con cui ciascuno può diventare autore e promotore di idee proprie, dall’altro il “potere delle masse”, fuori da retoriche e logiche ideologiche, non è un potere che fa sempre il paio con verità e giustizia. La questione, però, non è numerica, piuttosto riguarda la facilità di conformarsi ad idee apparentemente condivise su larga scala al punto da diventare luoghi comuni, che difficilmente aiutano un uso educativo e critico degli strumenti di comunicazione e delle tecnologie in genere.

Tecnologie e scuola

L’ultimo rapporto ISTAT sulla Presenza del pc e di internet nelle famiglie italiane, che fa riferimento all’anno 2010, segnala che rispetto al 2009 cresce la quota di famiglie che possiede il personal computer (dal 54,3% al 57,6%), l’accesso ad Internet (dal 47,3% al 52,4%) e che dispone di una connessione a banda larga (dal 34,5% al 43,4%). Le famiglie con almeno un minorenne sono le più tecnologiche: l’81,8% possiede il personal computer, il 74,7% l’accesso ad Internet e il 63% possiede una connessione a banda larga. All’estremo opposto si collocano le famiglie di soli anziani di 65 anni e più che continuano ad essere escluse dal possesso di beni tecnologici. Tra il 2009 e il 2010, rimane stabile il divario tecnologico tra il Nord e il Sud del Paese, mentre si riducono le differenze sociali per quasi tutti i beni tecnologici. Ad esempio, la quota di famiglie con capofamiglia dirigente, imprenditore o libero professionista che possiedono l’accesso ad Internet passa dal 78,6% all’84,2% (+7,1%) mentre tra quelle con capofamiglia operaio passa dal 49,4% al 59,4% (+20,2%).[6]

Nel 2009 il dato interessante riguarda l’età di utilizzo di pc per navigare in rete: il picco di utilizzo del personal computer e di Internet si ha tra i giovani di 11-19 anni (rispettivamente l’89% e più dell’82%), per poi decrescere rapidamente all’aumentare dell’età. [7]

figura4

Purtroppo, però, il divario tra i bambini e ragazzi di 3-17 (quindi ben 6 anni sovrapposti ai dati precedenti: dagli 11 ai 17) dovuto al titolo di studio dei genitori è molto forte. Infatti, ha usato il personal computer negli ultimi tre mesi il 64,9% dei bambini e ragazzi con almeno un genitore laureato rispetto al 34,6% di quelli con i genitori con al massimo la licenza elementare. I bambini e ragazzi con genitori con titoli di studio bassi sono svantaggiati sia nell’uso a casa, sia nell’uso combinato a casa e a scuola, il che dimostra che la scuola non riesce ancora a colmare il profondo divario, almeno nelle fasce di età più giovani che va dai 3 agli 11 anni.

Sempre in ambiente extra-scolastico Internet è utilizzato per apprendere dalle persone di 11-34 anni (oltre il 70%). [8]

Se avviciniamo il dato dello scarso accesso ai pc in ambiente scolastico all’alto tasso di utilizzo di Internet con un obiettivo di apprendimento è abbastanza evidente che ci sia un “vuoto” di governo delle tecnologie informatiche e digitali a scopi educativi, almeno a livello istituzionale.

Nel rapporto del MIUR La scuola in cifre 2008 non ci sono dati disponibili sull’uso o sulla presenza delle tecnologie nella scuola, ma di contro si trova un dato su genere ed età degli insegnati: le donne costituiscono in Italia l’81,1% degli insegnati, di cui il 99,6% presente nelle scuole dell’infanzia per poi diminuire progressivamente (ma lievemente) al salire del grado di istruzione; l’età media del corpo docente (non distinta per genere) è di 49 anni nell’a.s. 2007/2008. [9]

Dalle statistiche appare, però, che le donne con fasce di età medio alta non sono le maggiori utilizzatrici di tecnologie: in linea con gli anni precedenti, si riscontrano forti differenze di genere sia nell’uso del personal computer che in quello di Internet. Dichiara, infatti, di utilizzare il personal computer il 52,8% degli uomini, a fronte del 42,5% delle donne, e naviga in Internet il 49,8% degli uomini e il 39,4% delle donne. [10]

Nel rapporto La scuola statale: sintesi e dati del Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali del MIUR non compaiono affatto le seguenti parole: computer, Internet, tecnologia/e, che invece sono oggetto di analisi di una precedente (2004) pubblicazione della Direzione Generale per i Sistemi Informativi del MIUR intitolata: Indagine sulle risorse tecnologiche per la didattica nella scuola italiana. Al monitoraggio hanno risposto dall’83,2% degli Istituti comprensivi al 93,7% delle Scuole Medie di 1° grado. Dall’indagine risulta che il rapporto PC/alunni è pari a 1/10,9 distribuite per grado come segue:

rapporto-pc-studenti

Le scuole che possiedono Internet sono così distribuite:

scuole-possiedono-internet

Da notare, però, che l’uso di Internet è di tipo generico, dunque per esempio anche amministrativo, e non specificatamente dedicato alla didattica.

Più di recente si incontra un numero monografico degli Annali della Pubblica Istruzione su Tecnologie educative per l’integrazione, [11] e attualmente in uso è L’osservatorio permanente delle attrezzature tecnologiche per la didattica nelle istituzioni scolastiche italiane. [12]

Nonostante gli sforzi concretizzati nel Piano scuola digitale, dunque, la situazione è assai complessa e frastagliata. All’interno del Piano, promosso dalla Direzione Generale per gli Studi, la Statistica e i Sistemi Informativi ( http://www.istruzione.it/web/istruzione/piano_scuola_digitale ) allo scopo di organizzare e promuovere una didattica che aiuti a superare la frammentazione della conoscenza e ad integrare le discipline in nuovi quadri d’insieme, sono attivi [13]:

Scuola Digitale – LIM
Ha come scopo l’avvio di progetti di innovazione didattica attraverso l’uso della LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) [14].

Allo stato sono pervenute 11.234 richieste di cui circa 9.000 evase e hanno dato disponibilità alla formazione 41.850 docenti. Il percorso attualmente coinvolge la Scuola Primaria e la Scuola Secondaria di II° grado.

Scuola Digitale – Cl@ssi2.0
Per modificare gli ambienti di apprendimento attraverso un utilizzo costante e diffuso delle tecnologie a supporto della didattica quotidiana.

Scuola digitale – @urora
Destinato ai minori del circuito penale interno ed esterno del Ministero di Giustizia. Offre, nell’ambito della comunicazione multimediale, la possibilità di acquisire competenze professionali per agevolare il reinserimento sociale dei minori attraverso l’ingresso nel mondo del lavoro qualificato.

Scuola digitale – HSH@Network
In cui si finalizza in maniera coerente il supporto che le nuove tecnologie possono offrire agli studenti ospedalizzati o in terapia domiciliare.

Tutti i progetti sono finalizzati ad includere le tecnologie negli ambienti di apprendimento attraverso percorsi che le “naturalizzino”, proponendo anche a scuola uno stile di insegnamento e apprendimento che aspira ad essere più significativo, [15] al “motto” di: non più la classe in laboratorio ma il laboratorio in classe: una strategia tante azioni.

Per ciò che riguarda la formazione informatica nelle scuola si può far riferimento alla rilevazione condotta dall’Osservatorio su Formazione e Certificazione informatica [16] ( http://osservatorio.consorzio-cini.it/scuole-10.htm ) su 1220 scuole secondarie di secondo grado, concentrandosi con particolare attenzione sulla presenza e sulle tendenze delle certificazioni informatiche. I dati che ne emergono sono comunque interessanti anche per le correlazioni individuate tra discipline, insegnamenti curriculari e uso (o meno) delle postazioni informatiche.

postazioni

Fuori dalle mura scolastiche la situazione non è meno complessa: ad una diffusione molto più capillare e massiccia corrispondono usi estremamente variegati. Nonché una percezione estremamente contraddittoria delle nuove tecnologie in special modo sulle implicazioni educative e cognitive ad esso legate, come dimostra uno studio recente condotto sugli eBook [17] che sottolinea come appaia problematica «la percezione degli effetti che gli eBook potranno produrre sul sistema dei saperi e altrettanto incerta si rivela la percezione delle possibili ricadute metodologiche dei libri digitali, specie in ambito educativo, dove evidentemente mancano ancora sperimentazioni e buone pratiche consolidate. Quasi del tutto incerta resta invece la percezioni di possibili ricadute positive degli eBook sul piano cognitivo, con criticità evidenti per quanto riguarda soprattutto gli effetti sull’atteggiamento verso la lettura, sul consolidamento dell’approccio problemico e sullo sviluppo del pensiero critico». [18]

Evidente è il connubio problematico tra il mondo della comunicazione digitale e il mondo della formazione [19] per gli intenti pedagogici con cui si possono utilizzare le tecnologie nella scuola. D’altra parte è indubitabile che l’insegnamento si consuma sempre (e da sempre) in un atto comunicativo, di tipo cognitivo, emotivo e relazionale.

La questione nuova, che ci pone ad un bivio, è se sarà il sistema educativo ad integrare le tecnologie per i propri scopi o se, invece, saranno le tecnologie ad integrare il sistema formativo facendogli perdere di vista la propria intrinseca missione di progetto sull’avvenire e sul futuro attraverso la formazione dei giovani.

Stando ai numeri, anche se controversi, al momento – in Italia – la questione, su larga scala, non sembra porsi: non ci sono molte relazioni tra tecnologie e scuola, se non nell’accezione più old delle tecnologie della parola e della scrittura. E questa appare, ormai, un’emergenza educativa (ma a mio avviso anche sociale) come ben evidenziato di seguito: «gli insegnanti e i formatori, immigrati digitali, nella migliore delle ipotesi, parlano il linguaggio (datato) dell’era predigitale e devono lottare continuamente per insegnare ad una popolazione che parla un linguaggio del tutto nuovo. Oltre le analisi ci si chiede come far fronte all’emergenza. Le strade percorribili possono essere due: contrastare l’invadenza della tecnologia, ponendo – in varie forme e dimensioni – dei limiti al loro utilizzo, o assecondarla». [20]

Ma quali sono le differenze fra la generazione x, dei nativi digitali, e le precedenti? Wim Veen le suddivide come riportato nella tabella ed evidenziando una differenza che oppone i meccanismi apprenditivi degli adulti (Homo Sapiens) a quelli dei nativi digitali (Homo Zappiens):

homo

Seguendo le orme che l’homo zappiens lascia, queste sono le sue caratteristiche principali dovute ad un uso di tecnologie diverse rispetto a quelle utilizzate dalle precedenti generazioni: media differenti portano skills differenti, fino a trovare una connessione fra la rete ed i sé individuali, come se la prima fosse una estensione della seconda e viceversa: [21]

zappiens

Gli studi sociali ammettono con maggiore tranquillità la percezione di un cambiamento in atto di quanto non facciano le discipline pedagogiche, perché è certo che se il cambiamento socio-cognitivo è così pervasivo la scuola, al momento, non è in grado di fronteggiarlo, né tanto meno di governarlo.

Tecnologie e metodo di insegnamento

È di recente approvazione il Regolamento concernente la Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, uscito in Gazzetta Ufficiale il 31-1-2011 [22] , in cui si esplicitano i percorsi formativi (art. 3) che prevedono, fra l’altro, «l’acquisizione delle competenze digitali previste dalla raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio 18 dicembre 2006. In particolare dette competenze attengono alla capacità di utilizzo dei linguaggi multimediali per la rappresentazione e la comunicazione delle conoscenze, per l’utilizzo dei contenuti digitali e, più in generale, degli ambienti di simulazione e dei laboratori virtuali. Al fine di consentirne la piena fruizione anche agli alunni con bisogni educativi speciali i contenuti digitali devono essere definiti nel rispetto dei criteri che ne assicurano l’accessibilità.»

Questa posizione, di fatto, equipara l’acquisizione delle competenze digitali alle competenze linguistiche (Inglese, livello B2), e alle competenze didattiche utili a favorire l’integrazione degli alunni con handicap.

Sarà indispensabile, dunque, che i nuovi docenti sappiano utilizzare le nuove tecnologie con scopi comunicativi. Se però consideriamo anche le questioni sociali e cognitive che le nuove tecnologie comportano è necessario fare ancora un passo avanti. Infatti, una volta che gli insegnati sapranno usare gli strumenti, e ammesso che le scuole italiane ne abbiano a disposizione a sufficienza, la domanda è: “per fare cosa”? Tanto più urgente se si pensa che la propaganda sulla diffusione dei libri digitali si è giocata sulla necessità di alleggerire gli zaini troppo pesanti e di far risparmiare sui costi dei libri cartacei mancando totalmente l’occasione di informare correttamente sulle caratteristiche educative dei nuovi strumenti e perciò fermandosi solo ad argomentazioni strumentali, oltre che semplicistiche.

Le tecnologie, anche quelle didattiche, sono sempre considerate come prodotti e mai come processi, non si affronta la questione del loro uso da un punto di vista epistemologico ed euristico. Questo è un problema annoso della scuola italiana in cui il metodo è sempre stato visto come uno strumento fine a se stesso e mai come un principio organizzatore in grado di modificare le pratiche educative. [23] Il metodo è stato sempre considerato strumentale ai contenuti, nella distinzione accennata precedentemente fra prodotti (contenuti) e processi (metodo) in cui i primi hanno sempre prevalso.

Facciamo un esempio: Internet non è una fonte attendibile perché non c’è un controllo sui contenuti (il caso fra tutti è Wikipedia). E se cambiassimo il metodo di utilizzo? Se perseguissimo un processo inverso rispetto a quello di validazione dei contenuti al quale siamo abituati andando alla ricerca di fonti certe?

L’idea, epistemologicamente, non è nuova: già Feyerabend scriveva di metodo controinduttivo per scardinare la condizione di coerenza che intrappola le scienze dure in un modello dogmatico del reale: «il primo passo nella nostra critica di concetti di uso comune consiste nel creare una misura di critica, qualcosa con cui questi concetti possano essere comparati. […] La controinduzione è quindi sia un fatto – la scienza non potrebbe esistere senza di essa – sia una mossa legittima e molto necessaria nella partita della scienza». [24]

Più recente e ancora più utile allo scopo che ci siamo prefissi la suggestione di Umberto Eco che scrive: «ritengo che esista un modo molto efficace di sfruttare pedagogicamente i difetti di Internet. Si dia come esercizio in classe, ricerca a casa o tesina universitaria, il seguente tema: Trovare sull’argomento X una serie di trattazioni inattendibili a disposizione su Internet, e spiegare perché sono inattendibili. Ecco una ricerca che richiede capacità critica e abilità nel confrontare fonti diverse e che eserciterebbe gli studenti nell’arte della discriminazione.» [25]

Semplice ed immediato: ha modificato il processo euristico e di approccio alla “verità” e alla conoscenza passando implicitamente dal costrutto teorico di “verificabilità” di una teoria (posizione) a quello di “falsicabilità” e, così facendo, ha modificato il metodo e il processo.

I due esempi citati spostano la questione dell’uso delle tecnologie nella scuola ad un livello di astrazione maggiore, che investe la conoscenza stessa che nelle scuole si trasmette e si costruisce. In questa prospettiva, a mio modo di vedere, ogni dubbio può essere fugato: le tecnologie sono una estensione della cognitività umana da utilizzare quotidianamente e da trasformare in una opportunità. [26]

Proporre agli studenti un’attività di “ricerca” oggi implica che, invece di copiare a mano da un’enciclopedia come si faceva venti anni fa, si faccia un copia/incolla da Wikipedia e quindi l’errore non è né nel “grande libro del sapere” cartaceo, né in quello digitale, ma nel compito che viene richiesto, altrimenti detto: nel metodo di insegnamento e di trasmissione dei saperi disciplinari e procedurali.

«Ad esempio, esiste anche un altro modo di usare Wikipedia. Spesso ci si dimentica infatti che l’enciclopedia online è aperta a contributi da parte di chiunque. Perché non approfittare di questa possibilità per spingere gli studenti a diventare utenti attivi?». [27]

Il nuovo compito potrebbe allora essere così formulato: si tratti la voce X in modo “controinduttivo” alla ricerca di tutte le affermazioni verificabili e di tutte le affermazioni falsificabili. Al termine di questo lavoro si apportino le modifiche alla voce in questione aggiungendo in bibliografia tutte le fonti consultate per l’analisi del testo e attivando i link necessari – se esistenti – alle altre voci di wikipedia collegate, con la possibilità di modificarle a sua volta se necessario. Il lavoro si potrebbe poi svolgere in gruppi, secondo una visione costruttivista dell’apprendimento e un modello didattico collaborativo. Ma certamente interventi di questo tipo, su larga scala, sarebbero più probabili in una scuola diversa da quella italiana che, descritta anche solo numericamente, non è all’altezza di modificare così profondamente il suo modo di essere e di pensarsi, senza aprire un capitolo polemico sulla mancanza di finanziamenti e sulla difficoltà di operare in questo modo nei tempi e con gli spazi dati al momento.

Se ciò che si richiede è l’attivazione di un senso critico, di competenze trasversali e non solo disciplinari allora il risultato non si ottiene né con un uso pedissequo delle nuove tecnologie, né con uso (altrettanto pedissequo) delle vecchie. Esempio positivo ne è il metodo proposto in http://www.noiosito.it/med/wqita/index.html a cura di Marco Guastavigna e Maria Ranieri che propongono un percorso tutto online per la sollecitazione del pensiero critico dedicato ad insegnanti e studenti dalla terza media al primo biennio della scuola superiore. Internet, con tutti gli strumenti 2.0 che include, è il laboratorio del nuovo millennio, sulla falsariga di quelli tanto auspicati (e spesso non realizzati) nelle scuole del Novecento.

Per fortuna, o purtroppo, gli studenti apprendono ciò che i docenti insegnano e – specialmente – come lo insegnano; la caratteristica più reazionaria della scuola italiana, forse, risiede proprio in questo: nel tramandare il metodo di insegnamento e credendo che un cambiamento di contenuto o di strumento ne determini, poi, le sorti. Dilemma e contraddizione magistralmente, quanto ironicamente, nota a Domenico Starnone: «Già. Preside, cosa vogliamo dire quando chiediamo ai giovani di non essere scolatici? E cosa dovrebbero fare per non esserlo? Se tutto va bene (ma non va bene), ascoltano diligentemente le nostre lezioni, che sono il riassunto dei manuali su cui abbiamo studiato al liceo o all’università; poi tornano a casa, leggono e ripetono ad alta voce quello che è scritto nel loro manuale; quindi vengono alla cattedra e ci recitano i capitoli che hanno memorizzato. All’interno di questo vecchio rito della scuola è possibile non essere scolastici?

No, in tutta franchezza non so proprio di cosa li rimproveriamo. Se studiassero cavillando coi distinguo, come facevano i seguaci della Scolastica vera (e non mi dispiacerebbe), il nostro rimprovero avrebbe senso. Se ci fossimo davvero inventati una scuola di ricerca, fatta di problemi appassionanti da risolvere, di domande a cui trovare risposte studiando, il rimprovero avrebbe ancora più senso. Ma non è andata così. I nostri ragazzi studiano esattamente come abbiamo studiato noi, studiano come si studia nella scuola da sempre. Quindi non possono essere che scolastici come siamo stati scolastici noi da ragazzi, come siamo scolastici ora che insegniamo. I manuali del resto sono scolastici. L’orario è scolastico. Le aule sono scolastiche. Che pretendiamo?» [28]

Personalmente non sono sicura che sia auspicabile avere (o formare) insegnanti zappiens, vicini alle logiche e al sentire della generazione X; credo invece che metodologie conoscitive diverse, euristiche più esplicite e controllabili, farebbero un gran bene alla scuola, riuscendo anche ad integrare quei computer che, seppure assenti in molte aule, sono invece presenti nelle case e verso i quali l’atteggiamento non può più essere – in alcun modo – difensivo ed ostracista. D’altra parte anche la locuzione “nativi digitali” non è comunemente accettata e condivisa, e dopo l’uscita del volume ad essi intitolato il dibattito che si è acceso anche in Italia è piuttosto vivo. [29]

Esistono? Non esistono? E quali caratteristiche avrebbero?

Da un punto di vista didattico è certo interessante e doveroso comprendere il contesto, il panorama socio-culturale e cognitivo in cui si opera perché senza una tale prospettiva è molto difficile riuscire a lavorare progettando un’educazione capace di attrezzare le persone al tempo che verrà, però – sempre da un punto di vista didattico – credo che occorra valutare che l’educazione di base e istituzionalizzata dovrebbe essere una “forzatura” della realtà e non una sua riproduzione. Insomma, la questione dei nativi digitali è interessante, ma probabilmente la sociologia, scienza descrittiva, può avvantaggiarsi del dibattito in tale senso. La pedagogia e la didattica, invece, sono scienze pre-scrittive: non descrivono solo la realtà ma hanno lo scopo di orientarla e le ricerche, anche quelle di natura empirica, trovano il loro senso solo se si trasformano in azioni concrete.

Se i nativi digitali esistono davvero e se le loro caratteristiche sono spiccate come alcuni autori le descrivono il compito degli educatori non si ferma al prendere atto, al valutare quasi in modo ontologico una caratterizzazione che – invece – non è pienamente neppure antropologica.

Non si può solo reagire al cambiamento tecnologico, peraltro inarrestabile, perché a chi educa è richiesto un comportamento pro-attivo. Nel complesso e frastagliato quadro italiano, invece, la “re-azione tecnologica” è percepita come il massimo dell’innovazione e dell’accettazione del mutato quadro tecnologico, sintomo che agli studenti chiediamo un pensiero critico che, in fatto di tecnologie, non abbiamo maturato neppure noi adulti, se non in contesti di nicchia e quasi d’avanguardia. Prova ne sono le domande, preoccupanti, che si pongono – pare – gli insegnanti che la scuola la vivono tutti i giorni: «ma non è che per caso tutto questo nostro invasamento collettivo sulle meraviglie del Web non è altro che il colpo finale con cui definitivamente riusciremo a estirpare l’intollerabile parola “studio” dalla scuola? E non è l’ennesimo inganno con cui stiamo handicappando i giovani? Infine: ma non è che a noi, la scuola non è mai piaciuta ed è da almeno quarantenni che cerchiamo di distruggerla?». [30]

In effetti, che oggi la scuola non piaccia, si evince dalla miseria dei finanziamenti che le sono dedicati, dalla mancanza del diritto allo studio, dalla obsolescenza – quando non fatiscenza – degli edifici e degli spazi, dal pessimo trattamento economico e sociale riservato agli insegnanti e, infine, dal fatto che alla scuola è proibito di entrare nel suo tempo per conoscerlo e governarlo. Un tempo fatto di tecnologie nuove rispetto a quello analogico e che, probabilmente, si avvia a cambiamenti di portata simile a quelli conseguiti al passaggio dall’oralità alla scrittura e dalla scrittura amanuense alla stampa. Inutile a dirsi, la storia andrà avanti, e con essa la tecnologia, senza la scuola.

L’alterità percepita in questa prospettiva manichea in cui il male della scuola è nella tecnologia non permette neppure di riconoscerli questi studenti, nativi digitali puri o spuri che siano, è totale: «insomma, viene fuori che, se non sanno quasi più parlare né scrivere né capire quel che leggono, è perché il mondo si sta avviando verso un’era afasica dove il linguaggio non sarà più verbale; e se non studiano più, è solo perché sanno apprendere in altri modi, più sensoriali ed esperenziali: non hanno bisogno di leggere libri né di trattenerli alla mente, perché adesso imparano vedendo, toccando, vivendo. E respirano con le branchie.» [31]

Ne consegue che una generazione non è più in grado di trovare un codice comune con quella successiva mancando totalmente il compito della didattica che aspira ad innalzare il codice linguistico degli allievi, a sanare la diffrazione pedagogica. Ma questa è solo una delle prospettive possibili.

Le altre, e sono molte anche se controverse, includerebbero le tecnologie nella quotidianità scolastica, se avessero i mezzi per farlo. Come? Come già fanno molti insegnanti che, sulla base di intuizioni personali e competenze costruite sul campo, si trasformano in insegnanti/ricercatori con la voglia di trasformarsi in timonieri del proprio tempo. Esempio ne è il progetto 3T: Tessere tanti testi ( http://progetto3t.wordpress.com/ ) in cui insegnanti e studenti hanno sperimentato una didattica tecnologica attiva, inclusiva, propositiva e legata in modo pratico e fruttuoso alla molta letteratura scientifica che ne giustifica il senso ed il significato.

I “nativi digitali” sono dunque un fenomeno complesso e sfuggente, le cui caratteristiche – seppure controverse – si vanno delineando e hanno abilità spontanee quali «trovare, scaricare dalla rete, produrre e condividere contenuti di loro interesse; relazionarsi e mantenersi connessi attraverso la tecnologia; comunicare in modo estremamente sintetico (anche se questo tipo di comunicazione ha spesso una certa povertà linguistica ed espressiva come contropartita indesiderabile), giocare con giochi complessi sia dal punto di vista concettuale che psicomotorio, ecc.». [32]

Con questa nuova condizione sociale la scuola deve e può confrontarsi forgiando tutte le altre abilità richieste per un uso consapevole della tecnologia, quelle che – pur non emergendo spontaneamente – saranno utili ad affrontare le condizioni e le sfide del futuro: «possono appartenere a questa seconda categoria sia competenze disciplinari che abilità di tipo cognitivo e meta-cognitivo». [33]

Conclusioni

Il quadro che emerge dal rapporto tra scuola e tecnologia è complesso e, per certi versi, preoccupante. Eppure una posizione di sola re-azione non è più sufficiente a governare il mutamento che le tecnologie, in ogni caso, porteranno avanti con sempre maggiore pervasività.

Nonostante le attrezzature, le aule e l’organizzazione scolastica non sollecitino né aiutino un cambiamento di prospettiva è possibile attivare localmente un uso didattico e pedagogico delle tecnologie che le ricomponga con le variabili di cui le nuove generazioni sembrano portatrici e che, almeno a livello europeo, sono sentite come necessità nella prospettiva di una società della conoscenza.

Non si tratta di stravolgere la scuola, piuttosto di abituarsi a guardare ai processi di conoscenza ad essa interni con occhi nuovi. Esistono saperi che devono essere trasmessi, certo, ma non a discapito di conoscenze emergenti che forse potranno orientare il sapere e la vita (sociale, individuale e professionale) delle generazioni future.

Non è quindi una logica che oppone le nozioni alle esperienze, l’astrazione al sapere pratico, le conoscenze alle competenze, le discipline all’“imparare a imparare” e i metodi ai contenuti [34] quella che può riallacciare la scuola al suo ruolo di progettazione sociale, nel senso più nobile del termine che include valori quali l’uguaglianza di opportunità e la mobilità di classe. Non è restando solo sulla difensiva che la scuola può recuperare uno spazio di proposta culturale e di pro-azione per il futuro.

Pur con tutti i problemi e le difficoltà qualcosa si fa e qualcosa di più si può fare. Esistono molte esperienze di buone pratiche, solo alcune delle quali riportate nel presente lavoro, trasferibili in altri contesti anche a basso costo e molto altro si può fare, anche nelle condizioni date, in cui ci si di-batte quotidianamente.

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GU n. 24 del 31-1-2011 – Suppl. Ordinario n.23
Guasti L., Didattica e significato del metodo, in L. Guasti (a c. di), Apprendimento e insegnamento. Saggi sul metodo (pp. 7-29), Vita e Pensiero, Milano, 2002
Hoover S., Clark L. S., Alters D., Media, Home, and Family , Routledge , New York , 2004
Jenkis H., Culture partecipative e competenze digitali, Guerrini, Milano, 2010
La scuola in cifre 2008 – Rapporto MIUR
Lanier J., Tu non sei un gadget. Perché dobbiamo impedire che la cultura digitale si impadronisca delle nostre vite, Mondadori, Milano, 201
Maldonado T., Critica della ragione informatica, Feltrinelli, Milano, 1997
Marconato G., Emergenza educativa e nuove tecnologie. Stimoli per una riconsiderazione della questione, in RASSEGNA CNOS Problemi esperienze prospettive per l’istruzione e la formazione professionale, ANNO 25 , n. 3 – 2009
Mastracola P., Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda, Parma 2011
Olimpo G., Società della conoscenza, educazione, tecnologia, in , in TD – Tecnologie didattiche, n. 50, 2010, pp. 4-16
Rapporto ISTAT Cittadini e nuove tecnologie 28 dicembre 2009,
Rotta M., Bini M., Zamperlin P., Insegnare e apprendere con gli eBook. Dall’evoluzione della tecnologia del libro ai nuovi scenari educativi, Garamond, Roma, 2010
Schirrmacher F., La libertà ritrovata. Come (continuare a) pensare nell’era digitale, Codice Edizioni, Torino, 2010
Simone R., La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo, Laterza, Roma-Bari, 2000
Starnone D., Il collega Starnone, in Ex cattedra e altre storie di scuola, Feltrinelli, Milano 2006
Tapscott D., Williams A. D., Wikinomics 2.0. La collaborazione di massa che sta cambiando il mondo, Rizzoli, Milano, 2010
Veen W., Vrakking B., Homo Zappiens. Crescere nell’era digitale, Edizioni Idea, Roma, 2010
Watzlawick P., Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Roma, Astrolabio, 1997

Sitografia e link utili per l’approfondimento

[Verificati al 29/03/2011 - le risorse online sul tema dell’educazione e delle nuove tecnologie sono moltissime e in continua evoluzione pertanto il presente elenco non è esaustivo poiché include solo i siti citati e/o consultati per la stesura del presente lavoro.]
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/nuovetec/20101223_00/ [Comunicato stampa dell’ISTAT sul Rapporto Cittadini e Nuove Tecnologie]
http://www.annaliistruzione.it/riviste/quaderni/rivistaquaderni.htm [Annali della pubblica istruzione]
http://archivio.pubblica.istruzione.it/area_riservata/attrezzature_tecnologiche.htm [Osservatorio permanente delle attrezzature tecnologiche per la didattica nelle istituzioni scolastiche statali]
http://www.istruzione.it/web/istruzione/piano_scuola_digitale [Sezione del sito MIUR dedicata al Piano Scuola Digitale]
http://www.minori.it/?q=educazione [Sezione tematica sull’Educazione del Portale dell’infanzia e dell’adolescenza]
http://bricks.maieutiche.economia.unitn.it/ [Rivista congiunta AIC - Sie-L gratuita dedicata al mondo della scuola digitale]
http://www.itd.cnr.it/tdmagazine/index.php [Rivista TD - Tecnologie didattiche con molti articoli accessibili gratuitamente online]
http://www.educationduepuntozero.it/speciali/pdf/specialeottobre10.pdf [Speciale Tecnologie e scuola  del Portale education 2.0]
http://osservatorio.consorzio-cini.it/scuole-10.htm [Osservatorio su Formazione e certificazione ICT nell’Università e nella Scuola]
http://www.mondodigitale.org/ [Fondazione mondo digitale - per una società della conoscenza inclusiva con una sezione dedicata alle esperienze scolastiche]
http://www.mariorotta.com/knowledge/?p=371 [estratto a cura di M. Rotta del volume Rotta M., Bini M.,  Zamperlin P., Insegnare e apprendere con gli eBook. Dall’evoluzione della tecnologia del libro ai nuovi scenari educativi, Garamond, Roma, 2010]
http://www.oecd.org/dataoecd/14/25/38337941.pdf [W. Veen, A. Toet, Homo Zappiens. Learning and Knowledge The Digital Mindset]
http://www.idocentiscapigliati.com/2011/03/mastrocola-salviamo-dante-e-la-liberta.html [Intervista a P. Mastracola, Salviamo Dante (e la libertà) dalla “dittatura” dei tecnocrati …]
http://www.numediabios.eu/ [Osservatorio sui nuovi media dell’Università degli Studi Milano Bicocca]
http://www.pewinternet.org/Presentations/2006/Digital-Natives-How-todays-youth-are-different-from-their-digital-immigrant-elders-and–w.aspx [Digital Natives: How today's youth are different from their "digital immigrant" elders and what that means for libraries - Presentazione di dati statistici sull’uso delle tecnologie]
http://scuoladigitale.blogspot.com/ [ Blog per discutere il volume di Ferri P., La Scuola Digitale, Mondadori Milano 2008 ]
http://www.natividigitali.info/blog/ [Blog - e altre risorse - per discutere il volume di Ferri P., Nativi digitali, Mondadori, 2011
http://www.lascuolachefunziona.it/ [Comunità di pratica e networking per insegnanti]
http://piercesare.blogspot.com [Blog personale del prof. Pier Cesare Rivoltella]
http://www.educationduepuntozero.it/tecnologie-e-ambienti-di-apprendimento/ [Sezione dedicata alle Tecnologie e ambienti di apprendimento del Portale education 2.0]
http://www.noiosito.it/med/wqita/index.html [Attività didattica guidata per la terza media e il biennio superiore]
http://progetto3t.wordpress.com/ [Progetto 3T: Tessere tanti testi - Progetto didattico iper e multi mediale]
http://www.robertosconocchini.it/ [Sito ricco di spunti, materiali, proposte didattiche, percorsi, giochi e risorse]

Scarica "Pro-azione tecnologica nella scuola. Pensare il sapere, pensare il futuro" in formato PDF.

  1. Watzlawick P., Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Roma, Astrolabio, 1997, p. 55.
  2. Lanier J., Tu non sei un gadget. Perché dobbiamo impedire che la cultura digitale si impadronisca delle nostre vite, Mondadori, Milano, 2010, p. 29.
  3. cfr. Simone R., La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo, Laterza, Roma-Bari, 2000.
  4. chirrmacher F., La libertà ritrovata. Come (continuare a) pensare nell’era digitale, Codice Edizioni, Torino, 2010; Calvani A., Educazione comunicazione e nuovi media. Sfide pedagogiche e cyberspazio, UTET, Torino, 2001; Bonaiuti G., Strumenti della rete e processo formativo. Uso degli ambienti tecnologici per facilitare la costruzione della conoscenza e le pratiche di apprendimento collaborative, Firenze University Press, Firenze, 2005; Battro A. M, Denham P. J., Verso un’intelligenza digitale, Ledizioni, Milano, 2010;Jenkis H., Culture partecipative e competenze digitali, Guerrini, Milano, 2010; Ferri P., La scuola digitale, Mondadori, Milano 2008;
  5. Tapscott D., Williams A. D., Wikinomics 2.0. La collaborazione di massa che sta cambiando il mondo, Rizzoli, Milano, 2010. Di Tapscott è in uscita con Franco Angeli Net generation dedicato al rapporto tra giovani e web. Maldonado T., Critica della ragione informatica, Feltrinelli, Milano, 1997; Hoover S., Clark L. S., Alters D., Media, Home, and Family , Routledge , New York , 2004.
  6. Fonte ISTAT: http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/nuovetec/20101223_00/
  7. Rapporto ISTAT Cittadini e nuove tecnologie 28 dicembre 2009
  8. Ibidem
  9. La scuola in cifre 2008 – Rapporto MIUR
  10. Rapporto ISTAT Cittadini e nuove tecnologie 28 dicembre 2009.
  11. http://www.annaliistruzione.it/riviste/quaderni/rivistaquaderni.htm
  12. http://archivio.pubblica.istruzione.it/area_riservata/attrezzature_tecnologiche.htm
  13. I Programmi e i dati sono tratti dal sito ufficiale MIUR alla pagina citata nel testo.
  14. Per approfondire il tema: Bonaiuti G., Didattica attiva con la LIM, Metodologie, strumenti e materiali per la Lavagna Interattiva Multimediale, Erickson, Trento, 2009.
  15. Nel significato pedagogico del termine rintracciabile in: Ausubel D. P., Educazione e processi cognitivi. Guida psicologica per gli insegnanti, Franco Angeli, Milano, 1987.
  16. I risultati dell’indagine sono sintetizzati anche in Alfonsi C. Breno E., Calzarossa M., Ciancarini P., Genoviè M., Mich L., Sala F., Scarabattolo N., La formazione e la certificazione informatica nelle Scuola Secondarie di secondo grado nell’anno scolastico 2008-2009, Briks, n. 0, 2011, pp. 27-46.
  17. Rotta M., Bini M., Zamperlin P., Insegnare e apprendere con gli eBook. Dall’evoluzione della tecnologia del libro ai nuovi scenari educativi, Garamond, Roma, 2010. Un estratto a cura di Rotta M. è presente online: La percezione delle caratteristiche, dei significati e dell’impatto degli eBook: stato dell’arte e alcune riflessioni preliminari, http://www.mariorotta.com/knowledge/?p=371
  18. Ivi, pp. 11-12.
  19. Cambi F. Toschi L., (a c. di) La comunicazione formativa. Strutture, percorsi, frontiere, Apogeo, Milano, 2006; Abruzzese A., Maragliano R., (a c. di) Educare e comunicare. Spazio e azioni dei media, Mondadori, Milano, 2008.
  20. Marconato G., Emergenza educativa e nuove tecnologie. Stimoli per una riconsiderazione della questione, in RASSEGNA CNOS Problemi esperienze prospettive per l’istruzione e la formazione professionale, ANNO 25 , n. 3 – 2009, p. 29.
  21. Tabella e slide sono tratte da Veen W., Toet A., Homo Zappiens. Learning and Knowledge The Digital Mindset, http://www.oecd.org/dataoecd/14/25/38337941.pdf . Da segnalare, inoltre, Veen W., Vrakking B., Homo Zappiens. Crescere nell’era digitale, Edizioni Idea, Roma, 2010.
  22. GU n. 24 del 31-1-2011 – Suppl. Ordinario n.23.
  23. Guasti L., Didattica e significato del metodo, in Guasti L. (a c. di), Apprendimento e insegnamento. Saggi sul metodo (pp. 7-29), Vita e Pensiero, Milano, 2002.
  24. Feyerabend P. K., Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1995, p. 57.
  25. Eco U., Come copiare in Internet, L’Espresso, 1/2/2007.
  26. Una bella esperienza di uso didattico delle tecnologie digitali per la comunicazione asincrona, che propone una tassonomia di obiettivi molto articolata è riportata in: Delfino M., Rimestare nel torbido: allenare le capacità critiche ragionando su spam e phishing. Un’esperienza didattica per riflettere sull’attendibilità delle e-mail, in TD – Tecnologie didattiche, n. 3, 2008, pp. 48-51.
  27. Fini A., Dieci anni di Wikipedia. Dal punto di vista della scuola: una sfida o un’opportunità?, in Bricks, n. 0, 2011, pp. 54/61, p. 59.
  28. Starnone D., Il collega Starnone, in Ex cattedra e altre storie di scuola, Feltrinelli, Milano 2006, p. 157.
  29. Ferri P. , Nativi digitali, Mondadori, 2011.
  30. Mastracola P., Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda, Parma 2011, p. 84.
  31. Ivi, p. 79.
  32. Olimpo G., Società della conoscenza, educazione, tecnologia, in , in TD – Tecnologie didattiche, n. 50, 2010, pp. 4-16.
  33. Ibidem.
  34. Da un’intervista a Mastracola P., Salviamo Dante (e la libertà) dalla “dittatura” dei tecnocrati …, http://www.idocentiscapigliati.com/2011/03/mastrocola-salviamo-dante-e-la-liberta.html