1. L’Europa come framework
La dichiarazione di Bologna (1999) rappresenta l’espressione ufficiale di un processo di convergenza all’interno di uno Spazio Europeo dell’Insegnamento Superiore che pone una particolare enfasi sui processi di apprendimento centrati sull’allievo, modificando radicalmente le modalità attuative del processo di insegnamento-apprendimento nelle università.
Lo Spazio Europeo dell’educazione superiore si intreccia con la strategia di Lisbona orientata a rendere l’economia europea la più competitiva del mondo; per conseguire un tale risultato è necessario creare processi di convergenza che allineino la formazione superiore e la competitività nel mercato del lavoro.
La parola chiave che funge da trait d’union tra mondo economico e mondo della formazione superiore è competenza .
Le competenze sono costituite da una sapiente miscela di conoscenze, abilità e attitudini, conformemente al paradigma del sapere, saper fare e saper essere [1].
Un mondo globale caratterizzato dall’innovazione tecnologica, prevede l’acquisizione di saperi in costante evoluzione e rapida obsolescenza; richiede un governo delle situazioni e del cambiamento che non può fondarsi solo sull’aggiornamento continuo di saperi, ma richiede l’utilizzo di capacità diverse, di tipo trasversale, che formano la persona in quanto tale.
In tutta Europa il passaggio ad un’economia caratterizzata da basse emissioni di gas carbonici e la crescente importanza dell’economia della conoscenza, con particolare riferimento alla diffusione delle TIC e delle nanotecnologie, presentano un grande potenziale per la creazione di posti di lavoro sostenibili. La globalizzazione, l’invecchiamento demografico, l’urbanizzazione e l’evoluzione delle strutture sociali accelerano parimenti i cambiamenti sul mercato del lavoro e di conseguenza le esigenze in fatto di capacità professionali. L’acquisizione di nuove capacità e competenze per sfruttare appieno il potenziale di ripresa costituisce un obiettivo prioritario e una sfida per l’UE e le autorità pubbliche nazionali, per i soggetti erogatori di istruzione e formazione, per le imprese, per i lavoratori e gli studenti [2].
Questo passaggio evidenzia la necessità di saperi super aggiornati che si fondino con consapevolezza e sensibilità ambientale, sostenibilità, e attenzione per le nuove generazioni: si tratta di un esempio che mostra inequivocabilmente la necessità di integrare i saperi con altri tipi di conoscenze che coinvolgono la persona nel suo rapporto con gli altri e con l’ambiente.
Questi concetti si arricchiscono della dimensione del lifelong learning che a questo livello può essere espressa come dimensione di continuità dei processi retti dal paradigma del cambiamento che oggi più che in altri tempi governa tutte le organizzazioni aziendali e tra cui oggi, effettivamente, risulta inclusa l’istruzione a tutti i livelli.
In particolare una certa formazione “pratica” nell’ambito delle competenze come abilità (skills) dovrebbe costituire una parte rilevante della formazione all’interno dei corsi universitari soprattutto a partire dalla riforma ex D.m. 509 del 2004, la cosiddetta riforma Moratti, che puntava per le lauree triennali all’acquisizione di abilità immediatamente spendibili sul mercato del lavoro.
Attualmente, le istituzioni deputate all’educazione superiore conferiscono una importanza sempre maggiore all’acquisizione di queste abilità a causa di pressioni crescenti provenienti dal mondo dell’industria e delle professioni, affinché l’università fornisca una migliore preparazione finalizzata all’inserimento nel mondo del lavoro, anche attraverso lo sviluppo di partnerships [3].
Coerentemente con quanto auspicato dal Processo di Convergenza Europea dell’Istruzione Superiore, il tirocinio (curricolare) riveste un ruolo chiave nello sviluppo delle competenze e delle conoscenze che permettono il trasferimento e il loro appropriato utilizzo alle situazioni di lavoro [4].
Questa esperienza riveste un ruolo rilevante, dal momento che sottolinea la funzione della ricorsività permanente tra teoria e pratica, nonché lo sviluppo dei processi di investigazione e azione, considerati i pilastri di base per acquisire competenze professionali qualitativamente adeguate alle esigenze del mercato del lavoro.
Il discorso relativo alle abilità risulta piuttosto chiaro, almeno in termini di dichiarazioni d’intenti, e possiede senz’altro una tradizione più consolidata a livello europeo; il discorso delle competenze, al contrario, risulta più complesso, di difficile definizione e, in certa misura, vago: per la chiarificazione di questo concetto e i tentativi di traduzione in prassi vale la pena esaminare alcuni spunti provenienti, anche questa volta, dall’ambito europeo.
Nel 2009 la Commissione delle comunità europee presenta al Parlamento, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni un documento dal titolo Competenze chiave per un mondo in trasformazione.
L’istruzione e la formazione e costituiscono un elemento essenziale dell’agenda di Lisbona e del suo follow-up fino al 2020. Il tema portante di questo documento sta nella costituzione di un “triangolo della conoscenza” i cui vertici sono definiti da istruzione/ricerca/innovazione, regolati da rapporti sinergici.
La messa a punto ottimale del triangolo della conoscenza – si asserisce nel documento – è fondamentale per la competitività, la crescita e l’occupazione e anche per favorire l’equità e i processi di inclusione sociale.
L’apertura dei sistemi di istruzione e formazione al mercato del lavoro e l’adeguamento dei processi che avvengono al loro interno è di importanza centrale per contrastare la situazione di contrazione del mercato del lavoro e venire incontro ai bisogni dei cittadini in termini di occupabilità.
Il quadro di riferimento europeo “Competenze chiave per l’apprendimento permanente” [5] individua otto competenze chiave necessarie per la realizzazione personale, per la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupabilità nella società della conoscenza.
A livello dell’istruzione universitaria, si osserva nel documento, la trasmissione di competenze su spirito di iniziativa e imprenditorialità e competenze sociali e civiche si limita ad affermazioni di principio e ad un apprendimento nozionistico: emerge la necessità di esercitare lo spirito di iniziativa, e di apprendere in università che siano aperte sul mondo del lavoro, in attività rivolte verso l’esterno e finalizzate alla formazione, che coinvolgano le aziende, con l’obiettivo di promuovere l’imprenditorialità mediante partenariati con le imprese.
Le prime quattro competenze affinano le conoscenze di base indispensabili nel momento storico-culturale attuale: capacità di calcolo, scrittura e lettura, applicate ad una pluralità di contesti e situazioni di vita quotidiana e lavorativa nonché alla adeguata comunicazione nella lingua madre e nelle lingue altre, e competenze legate all’informatizzazione e alla digitalizzazione.
Le attività di tirocinio sono orientate alla promozione delle ultime quattro delle otto competenze chiave: imparare ad imparare rappresenta il filo conduttore di tutte le esperienze volte ad apprendimento e a formazione, in una dimensione di continuità di vita [6].
Imparare ad imparare è la dimensione che più di altre denota un atteggiamento positivo nei confronti della vita perché costituisce il momento iniziale del processo che permette di superare il gap tra ciò che si conosce e ciò che non si conosce ancora, attraverso il motore della curiosità e della motivazione al cambiamento.
Competenze sociali e civiche: comprendono i comportamenti proattivi che sono alla base di un efficace lavoro di gruppo, e si fondano sulle competenze che derivano dall’adeguato sviluppo dei processi di socializzazione: questi processi si arricchiscono di una dimensione di senso nel momento in cui una persona fa parte di un gruppo che costituisce un popolo o una comunità allargata. L’appartenenza a tale comunità viene promossa da una educazione alla cittadinanza (responsabilità, diritti, doveri, ricerca del bene comune) che deve applicarsi alla vita comunitaria e lavorativa anche come espressione di questa appartenenza.
Senso di iniziativa ed imprenditorialità, questa espressione è quella che riguarda più da vicino la formazione al lavoro: tradurre le idee in azione riguarda non solo la vita lavorativa, ma anche la vita domestica e la vita quotidiana e sociale. Il senso di iniziativa è connesso con la creatività vista non solo come capacità di problem solving e decision making: è la creazione di una tensione verso nuove opportunità e sfide. In questa dimensione acquista particolare rilievo la dimensione etica entro cui si svolgono le attività imprenditoriali che devono tuttavia presentare connotazioni di innovatività e sono espressioni di un pensiero “laterale” rispetto a routine consolidate.
Ultima, ma non meno importante, la consapevolezza ed espressione culturale, chiave di volta della propria identità in una dimensione di apertura verso la pluralità culturale.
Pensiero critico, creatività, iniziativa, capacità di risolvere i problemi, valutazione del rischio, assunzione di decisioni e capacità di gestione costruttiva dei sentimenti svolgono un ruolo importante per tutte e otto le competenze chiave [7].
2. La situazione italiana: tirocini e stage tra formazione e occupabilità (dis-occupazione)
Attualmente, per quanto riguarda il nostro paese, dati recenti del consorzio Alma Laurea mostrano il triplicarsi di tirocini e stage (che evidenzia una crescente collaborazione fra Università e imprese pubbliche e private): nel 2009, tali esperienze hanno riguardato 54,5 laureati su cento contro il 17,9% del 2001.
I dati che emergono dall’ultimo rapporto 2010 sulla condizione occupazionale dei laureati si focalizzano sulle conseguenze della crisi economica e la crescente disoccupazione.
I segnali di ripresa dell’economia a livello mondiale vedono l’Italia con tassi di crescita più ridotti; permangono così forti incertezze sulle prospettive dell’occupazione e particolarmente sugli squilibri che penalizzano le donne, il Mezzogiorno e, soprattutto, i giovani.
“Secondo la documentazione più recente (Istat) i tassi di disoccupazione giovanile nel nostro Paese hanno raggiunto livelli assai prossimi al 30%. Contemporaneamente emergono aree a rischio di marginalità per i giovani non inseriti in un percorso scolastico/formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa” [8].
Siamo lontani da quanto stabilito a livello europeo per il 2020, in cui sarebbe necessario portare il tasso dei laureati dal 19% attuale, al 40% .
Questo perché, secondo il consorzio Alma Laurea, tra i giovani non si comprende ancora bene l’importanza dell’acquisizione di un titolo di studio di livello superiore, per il quale anzi, si verifica una contrazione fin dal 2008.
Le considerazioni da fare in proposito sarebbero numerose, ed esulano anche dagli scopi del presente lavoro, ma intrecciano il concentrarsi sul qui ed ora dei giovani e la loro oggettiva difficoltà all’esercizio di una capacità progettuale che presenta limiti evidenti anche a livello esistenziale, con le carenti politiche a favore di istruzione ed occupazione e la qualità dell’insegnamento universitario che rappresenta in parte l’oggetto di questo lavoro.
Il tasso di occupazione dei laureati triennali, calcolato sulla sola popolazione che non risulta iscritta ad un altro corso di laurea, ad un anno è pari al 71%: un valore nettamente più alto rispetto a quello rilevato tra i colleghi di secondo livello, rispettivamente pari al 56% tra gli specialistici e al 37% tra quelli a ciclo unico. Questi dati sono significativi soprattutto se letti in relazione ai settori che forniscono una qualche forma di impiego a questi giovani laureati: sono giovani infatti che risultano impegnati in ulteriori attività formative, anche retribuite (attività che sono invece estremamente rare tra i triennali). Tra gli specialistici si tratta soprattutto di tirocini o praticantati, dottorati di ricerca e stage in azienda; tra i colleghi a ciclo unico si tratta di tirocini o praticantati e scuole di specializzazione.
Nonostante l’Italia non sia certo ai primi posti per quanto concerne le politiche a favore dell’occupazione dei giovani, esiste una tensione in questo senso, almeno dichiarata, a livello europeo. In sostanza, come mostra la recente indagine condotta da Eurydice del novembre 2010, che ha preso le mosse dall’omonimo documento europeo del febbraio dello stesso anno [9], i governi si stanno adeguando in modo sempre più efficace a sostenere il rapporto tra capacità e possibilità di impiego attraverso rapporti sempre più consolidati con le imprese in modo da costruire una efficace transizione tra istruzione superiore di tipo professionale e non, e il mercato del lavoro.
3. Alla ricerca della qualità: uno sguardo internazionale
A livello internazionale esiste una chiara consapevolezza sulla difficoltà di creare un sistema di valutazione della qualità all’interno delle istituzioni universitarie [10].
Questa considerazione deriva dalle conclusioni a cui si è pervenuti nel corso della dichiarazione di Amsterdam, documento finale della conferenza internazionale su Working on the European Dimension of Quality: i descrittori di Dublino sono considerati utili e il Tuning project [11] non è risultato all’altezza delle aspettative, dal momento che, afferma la Banca Mondiale, la qualità non si misura sui risultati; i risultati migliori sembrano ottenersi dalla integrazione dei due [12].
Per le università si tratta di trovare criteri di valutazione della qualità, che ha parametri differenti nella sostanza, da quanto viene applicato per i processi di accreditamento in uso nelle industrie. Ciò si configura come difficoltà di un certo spessore.
Si tratta – afferma la Banca Mondiale – di processi ancora immaturi, non omogenei nei diversi paesi, con approcci diversificati, confusione nella terminologia e negli obiettivi, e risultati scarsamente chiari e utilizzabili [13].
Ciò che risulta chiaro sono i due approcci differenti al tema della qualità nella educazione superiore, classificati come sommativi o formativi.
L’approccio sommativo consiste in un giudizio su quanto una istituzione corrisponda a certi criteri; il formativo incoraggia una istituzione ad identificare i propri punti di forza e di debolezza e sviluppare piani di miglioramento.
Gli approcci sommativi sono di difficile utilizzo a motivo dei costi e soprattutto, piuttosto che mettere in luce i punti di debolezza dell’istituzione e le strategie per superarli, sono utilizzati dalle istituzioni in modo da farne emergere la “faccia” migliore (to put on their best face).
Gli approcci formativi, come dice lo stesso termine, risultano carenti nell’identificare criteri di qualità oggettivi a cui peraltro sono marginalmente interessati. Il punto di forza delle valutazioni formative sta chiaramente nel promuovere la crescita delle istituzioni.
La rilevazione dei punti di forza e di debolezza di entrambi certamente non fa propendere la Banca Mondiale nella preferenza di uno dei due. Molto dipende dal tipo di istituto (pubblico o privato) e dalle situazioni specifiche di ognuno.
4. Il paradigma europeo
Il dibattito internazionale sulla questione qualità è dunque ancora aperto e lontano da una definizione chiara e univoca. L’approccio formativo nella valutazione della qualità presenta per certi versi un appeal maggiore rispetto alla valutazione sommativa, anche se risulta indubbiamente meno rigoroso.
Il quadro di riferimento europeo stabilisce l’attuazione di sistemi di garanzia della qualità per l’esperienza universitaria: i partenariati tra università e imprese possono aiutare le università a sviluppare programmi di studio e qualifiche più attinenti alle competenze di cui gli studenti hanno bisogno e che il mercato del lavoro richiede.
La European foundation for Quality management ha spostato da tempo i parametri della qualità relativa ai prodotti, alla qualità dei processi, delle attività e della partecipazione degli attori coinvolti nell’organizzazione imprenditoriale. Viene messo in conto lo sviluppo di partnership in particolare [14], unitamente con la valorizzazione personale e la crescita apprenditiva dell’organizzazione e degli attori che partecipano ad essa.
Aspetti basilari per fare del tirocinio un’esperienza di qualità sono in quest’ottica l’affidabilità e attendibilità della struttura in cui si svolgono le attività di tirocinio, La fama dell’impresa e la sua immagine pubblica nel mondo del lavoro e dell’education sono tra i fattori che strutturano l’immagine di una organizzazione produttiva, che si riflette in modo significativo anche sul valore attribuito alle esperienze che si svolgono al suo interno e sul valore di coloro che si formano all’interno di queste strutture per collocarsi sul mercato del lavoro.
Anche se non si può ridurre a questo la qualità dell’esperienza del tirocinio, rimane certamente un aspetto senza dubbio fondante nella qualità dell’esperienza; esso tuttavia costituisce in un certo senso l’aspetto più semplice da porre in essere. Il prestigio dell’istituzione universitaria può costituire un elemento attrattivo indubbio per molte aziende, anche prestigiose. Tuttavia, la qualità dell’esperienza non può essere trasferita all’esterno delle mura universitarie, ma al contrario, i presupposti della qualità nascono proprio all’interno di essa.
Il documento della Crui L’Università italiana nella sfida competitiva del paese del 2009 tratteggia tra l’altro, le ragioni “nazionali” dello sviluppo e della gestione della qualità che ha investito nel tempo le imprese nella soddisfazione del cliente, le amministrazioni pubbliche e in ultimo l’università. Questa istituzione almeno fino agli anni ’90 si è sempre sentita “immune” dal prendere in esame qualsivoglia criterio della misurazione della qualità, che vedeva legata automaticamente al prestigio di atenei, dipartimenti e docenti.
Nel momento in cui i cambiamenti epocali hanno investito anche il mondo universitario come crescente complessità dei saperi, l’educazione universitaria di massa e la domanda sociale in tal senso, la centralità del capitale umano per crescita e sviluppo, l’arena competitiva sempre più internazionale i temi relativi al finanziamento del sistema e della sua organizzazione, tale percezione ha dovuto necessariamente subire delle modifiche [15].
I drivers che hanno prodotto la spinta verso la ricerca di criteri di qualità sono stati:
- l’aumento della domanda di istruzione superiore
- la considerazione della formazione universitaria come private good
- la privatizzazione della formazione superiore
- la globalizzazione e la mobilità internazionale.
Inoltre anche a livello nazionale risulta una particolare enfasi per i rapporti con il territorio. Nel mondo globale questo costituisce un aspetto per certi versi paradossale; tuttavia è nel bilancio tra quali output offrire e quali input richiedere anche a livello di concertazione con le imprese territoriali che si fonda un dialogo produttivo che ha positive ripercussioni in termini di qualità.
5. Dal generale al particolare: i tirocini formativi di ateneo
In Italia tirocini e stage sono regolati dal D.M. 142/98, che definisce ambiti e modalità applicative dell’art. 18 della L. 196/97 (“pacchetto Treu”) e ne individua la finalità nel “realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro nell’ambito dei processi formativi e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro”.
I tirocini, distinti tra tirocini formativi e di orientamento, sono attività di formazione tramite lavoro.
Il tirocinio formativo (o curriculare), previsto dal piano di studi, è effettuato durante lo svolgimento degli studi (ossia prima del loro completamento) e mira ad integrare le conoscenze acquisite con la frequenza ai corsi universitari, mediante l’acquisizione di esperienze professionali.
Uno degli elementi più rilevanti nella riorganizzazione della didattica introdotta dalla riforma universitaria ex D.M. 509 e successive modifiche, è l’attenzione riservata alle attività formative diverse dalle classiche lezioni frontali. I tirocini rivestono, nell’ambito della didattica non frontale, un ruolo assolutamente centrale, proprio come elemento di raccordo fra l’università e il mondo del lavoro.
I dati forniti dal consorzio Alma Laurea nel 2009 fanno emergere che gli studenti che svolgono tirocini riconosciuti dal proprio corso di studi – che nel precedente sistema universitario non hanno mai superato il 20 per cento del totale e si sono concentrati in alcuni specifici percorsi di studio – nei nuovi corsi contano oltre il 50% del totale e sono in costante aumento: la quota su 100 studenti ha registrato nel 2010 un ulteriore aumento del 7% che risulta positiva anche in termini qualitativi di valutazione dell’esperienza.
A fronte di questo accrescimento continuo di studenti che fruiscono dell’esperienza di tirocinio ora divenuta obbligatoria, è necessario avviare una riflessione sul significato che tale esperienza riveste per gli allievi, ma anche per i docenti e il personale universitario che a vari livelli risulta coinvolto in questa esperienza, allo scopo di renderla un’esperienza qualitativamente valida.
L’obiettivo è rispondere a requisiti di qualità che certamente tengano conto di una valutazione dell’efficacia dell’esperienza attivata in termini di risultati (occupazionali) sommativi, ma arriva oramai a coinvolgere anche un diverso modo di fare università (in un momento in cui la dimensione del cambiamento espone gli atenei italiani allo stravolgimento voluto dalla legge “Gelmini” dal travagliatissimo iter).
Intendo qui fare riferimento alla dimensione dei rapporti umani all’interno degli atenei; dimensione che rientra nei criteri formativi della valutazione della qualità, stando alle indicazioni della WB.
Si tratta di un tema che è stato coraggiosamente affrontato in un recente convegno promosso da AGE e AIDU i cui atti sono stati pubblicati a cura di Salvatore La Rosa per i tipi di FrancoAngeli (2010).
A livello di comunità territoriale, esigenze di qualità scaturiscono da richieste di maggiore semplificazione e informazione dei cittadini alla vita delle amministrazioni come pure da un’esigenza di partecipazione in prima persona dei cittadini a ciò che in definitiva coinvolge le persone più e prima che gli enti e gli uffici [16]. Ciò vale tanto più per l’università che gravita su di un determinato territorio cittadino ed entro le cui mura oggi più che in passato si verifica quello scambio virtuoso dato dalla formazione di risorse che si inseriscono nel territorio ed ancora più dall’attivazione di spin off che costituiscono la nuova modalità di interazione università-aziende territoriali.
Secondo Lagalla [17], il discorso sulla qualità deve armonizzarsi con le nuove esigenze che emergono dagli input europei ed internazionali: ci si chiede quali siano oggi le nuove finalità dell’università. Accanto agli sforzi messi in campo e ancora in fase di attuazione per la valutazione del sistema universitario è necessario prendere in esame aspetti fino ad ora trascurati perché ritenuti secondari e relativi all’autonomia del docente universitario. Tra questi, proprio quegli aspetti che coinvolgono gli studenti livello relazionale (con i docenti) ed esperienziale durante il transito nelle nostre università.
In effetti se l’università deve costruire profili professionali deve fondarsi e produrre un saper essere professionalizzante.
Questo saper essere si fonda anche sugli scambi interpersonali e sulle esperienze vissute nel rapporto reciproco tra docente ed allievo, tema classico della pedagogia, oggi caduto in disuso in un certo senso, e considerato anacronistico a fronte dell’esasperazione di rapporti funzionali fondati esclusivamente sulla trasmissione di saperi tecnologici e tecnici.
A partire da queste considerazioni di sfondo, resta la necessità di costruire professionalità “forti” sul piano teorico ed empirico [18]. E’ una considerazione che ha valore per ogni percorso universitario vista la situazione di ingravescente disoccupazione a tutti i livelli ed è un compito di cui deve farsi carico oggi tutta l’istruzione superiore.
Questa considerazione però investe in modo ancora più specifico quelle cosiddette lauree “deboli” che più di altre stentano ad inserirsi nel mercato del lavoro: tra queste tipicamente si considera la facoltà di Lettere e Filosofia, anche nel nostro ateneo.
Le riforme che si sono susseguite hanno contribuito in un primo momento, da un lato, alla proliferazione di corsi di laurea, che hanno notevolmente accresciuto l’offerta formativa delle facoltà: alcuni di questi nuovi corsi, in particolare, sono stati il frutto di interessanti sinergie tra docenti di discipline diverse; dall’altro però, non c’è stata chiarezza nel delineare i profili professionali e i relativi sbocchi occupazionali; questo fatto in particolare ha accresciuto la difficoltà per gli studenti di collocarsi in modo accettabile nel mercato del lavoro [19].
Oggi la situazione di sistole successiva alla fase diastolica di proliferazione dei corsi di laurea, vede in un certo senso gli studenti disamorarsi allo studio e alla frequenza dell’università; le iscrizioni sono in calo e il permanere della confusione non può che confermare giovani in uno stato di disorientamento e rafforzarli nei presupposti di una scelta che potrebbe portare a tre né (né studio, né ricerca di lavoro, né lavoro). Diverrebbero a questo punto chiare le responsabilità degli adulti nell’acuirsi del disagio giovanile.
Diviene necessario quindi per figure professionali deboli come quelle degli educatori in primis , ma anche per altre figure professionali adeguare il loro profilo ai livelli di altre professionalità affini che hanno uno statuto professionale più preciso e consolidato, come lo psicologo, l’insegnante; è inoltre pressante la necessità di costruire profili professionali che abbiano competenze teoriche ed operative in grado di rinnovarsi permanentemente e di fronteggiare un contesto che come osserva Loiodice [20], “muta stabilmente”.
6. I tirocini curricolari nel corso di laurea triennale in scienze dell’educazione
Le osservazioni che seguiranno sono il frutto di almeno 6 anni di esperienza nell’attuazione dei tirocini curricolari della laurea triennale presso il cl in sc. dell’Educazione, canale in presenza, della università di Roma Tor Vergata.
Il ruolo di docente di Pedagogia sociale ha facilitato l’avvio di queste riflessioni a partire dalla necessità attuale di avere una visione sociale dei fenomeni educativi ed una loro contestualizzazione in un momento storico culturale che ha tratti di assoluta novità rispetto al passato. Se è vero che sono sempre esistiti ambienti educativi, cioè ambienti all’interno dei quali avvenivano i fatti educativi, oggi dobbiamo aver presente che esiste una educazione, intesa come possibilità di cambiamento nel senso migliorativo di crescita e di sviluppo di potenzialità, degli ambienti educativi, nella loro organizzazione strutturale (e con questo intendo la famiglia, la sanità, e naturalmente la stessa università)
Il modello organizzativo di tirocinio che propongo, collocato all’interno del corso di laurea nel quale lavoro da tempo, può costituire un modello di riferimento generale a livello di ateneo, per alcune caratteristiche che ne privilegiano gli aspetti formativi.
Esiste evidentemente una vocazione intrinseca per chi si impegna nei diversi campi dell’educazione a costruire esperienze formative: ciò verrà mostrato attraverso l’analisi di alcuni concetti chiave che connotano questa esperienza, e che costituisce l’oggettivazione di uno stile formativo tendente alla qualità da intendersi customer satisfaction e in termini di creazione di possibilità occupazionali.
7. L’università tra territorio e servizio allo studente
La tradizionale missione accademica trova il suo doppio fulcro nella ricerca per il progresso della conoscenza e il benefico rapporto con la didattica, e nell’insegnamento per la costruzione di capitale umano e sociale alla base del benessere della comunità; a queste due dimensioni fondative si aggiunge oggi una terza dimensione sul ruolo che riveste l’università come risorsa del territorio che occupa, e il qualificante contributo che fornisce al territorio in cui è inserita.
Dalla collaborazione tra università e territorio si instaura un circolo virtuoso dato dal confronto continuo tra esigenze lavorative e competenze fornite a livello accademico con il fine ultimo di valorizzare la ricorsività teoria-prassi che deve costituire lo specifico dell’accademia, e che costituisce anche il nucleo dell’apprendere ad apprendere come apprendimento dall’esperienza.
In una parola una ricorsività che porta dal sapere, al fare, e al saper fare [21] Da queste considerazioni emerge come il centro delle attività che si svolgono all’interno dell’università si sposta dal docente e la sua attività, allo studente [22].
Il tirocinio non è soltanto il tempo e lo spazio in cui si viene a contatto con il fare, ma un tempo e uno spazio in cui vengono promosse attività e sostenuti processi di pensiero sul proprio fare professionale [23].
E’ proprio a partire da questo quadro concettuale che possono delinearsi alcune concetti chiave che costituiscono un piccolo thesaurus che ha lo scopo di puntualizzare quali dimensioni conferiscono parametri di qualità ad un’esperienza unica nel curriculum di ogni studente universitario che si prepara ad una professione.
Tali concetti costituiscono, nel pensiero di Schon, una epistemologia della pratica [24].
8. Tirocinio opportunità o obbligo?
I dati forniti da Alma Laurea mettevano in evidenza, già dal 2004, il valore aggiunto di tirocini e stage anche in relazione all’occupabilità, già nei 12 mesi successivi al conseguimento della laurea; la presenza di un tirocinio/stage nel curriculum universitario risulta oggi un pre-requisito valido per la selezione del personale nelle aziende, soprattutto se e quando risulta svolto nella stessa azienda che effettua il reclutamento.
Il tirocinio non può essere inteso come un fare pratica, né da parte dei docenti né da parte degli allievi: programmare il tirocinio significa programmarne l’incardinamento strutturale all’interno del curricolo formativo dello studente non solo a livello istituzionale [25], ma anche come individuazione dello specifico significato formativo attribuito dallo studente alla sua personale scelta della struttura dove svolgerà l’esperienza di tirocinio: si tratta di un’esperienza di primo avvicinamento, per molti, al mondo del lavoro: una immersione in un ambiente protetto che funge da anticamera al pieno inserimento lavorativo: come tale riveste tutte le caratteristiche di un oggetto transizionale, dove si giocano attese, verifiche, timori e speranze: una palestra dove ci si cimenta con gli obblighi e le opportunità di un’esperienza concreta che può essere per il giovane altamente stimolante anche perché rischia di rimanere l’unica esperienza di reale coincidenza di preparazione universitaria e lavoro .
9. Progetto formativo
Il progetto formativo nasce dall’aspirazione del tirocinante di cimentarsi come operatore in una delle realtà del poliedrico mondo dell’educazione e della formazione. Il progetto quindi non può prescindere da accordi presi con l’ente presso cui si realizza: l’esperienza del tirocinio è un progetto che si crea attraverso un lavoro congiunto effettuato da a) rappresentante dell’università, b) tutor esterno e c) dal tirocinante stesso.
L’importanza del tirocinio sta nel favorire il costituirsi dell’Io ideale professionale dello studente, cioè nel porre le basi di una professionalità intesa come tensione formativa. Essa si incarna in parte nel tutor universitario con i suoi valori, criteri di scelta, e metodologia nel lavoro; in parte si incarna nel tutor esterno che diviene un vero testimonial di professionalità nel settore.
Dopo l’ambientamento generale iniziale nella struttura, il progetto formativo costituisce un momento in cui si concentra l’attenzione del tirocinante, quello nel quale lo studente potrà dare una risposta ad alcune domande che si aggirano nella sua mente nella fase iniziale di questa esperienza:
- Come abbinare studio e lavoro?
- Che senso dare a questa esperienza?
- Come inserirla nel proprio percorso di studio e di vita?
- Come organizzarla, come svolgerla, come strutturarla?[26]
Il progetto formativo costituisce l’apporto della partecipazione dello studente alla struttura: l’attività di ricerca personale, il settore principale di focalizzazione dell’attenzione, ma l’esperienza di tirocinio non si limita allo svolgimento del progetto formativo: come già detto, si entra e ci si impegna nella struttura nelle molteplici attività che si svolgono all’interno di essa.
10. Tirocinio: formazione iniziale
Il tirocinio ottimale è quello che si basa sull’attivazione di processi riflessivi e autoriflessivi sull’esperienza:
- Con quale criterio scegliere la sede di tirocinio?
- Come mai ho scelto questo settore di attività? quali sono le aspettative?
- Quale il progetto che interessa?
- Al momento dell’inserimento cambiano le aspettative?
- Cambia l’immaginario professionale tra la fase pre e la fase post tirocinio?
Queste alcune domande a cui è necessario dare una risposta.
La formazione iniziale riguarda la conoscenza della struttura e dei principali progetti che vengono attuati al suo interno.
Costituisce anche il l’occasione per preparare i ragazzi ad esperienze che in molti casi sono di prima linea, per evitare possibili choc da inserimento. E’ il caso delle esperienze di aiuto alla genitorialità nei casi di disabilità fisica e psico-fisica grave, il lavoro nei centri diurni all’interno di quartieri degradati, dei centri anti-violenza per le donne, delle strutture che accolgono bambini oncologici e le loro famiglie, o dell’intervento domiciliare, solo per citarne alcuni.
Una preparazione adeguata mira a fornire indicazioni sulla struttura, il contesto in cui si colloca e la tipologia di utenti che vi afferiscono, con l’obiettivo di aiutare il tirocinante a concentrarsi su quanto potrà sperimentare anche a livello emotivo-affettivo. Costituisce una prima occasione per fornire quelle informazioni volte a stimolare i processi riflessivi in merito alla circolarità teoria–prassi che costituirà il fulcro dell’esperienza formativa.
11. Tutorship
La riflessione pedagogica si sta estendendo al giorno d’oggi a tutte le dimensioni e agli ambiti del sociale, in particolare agli spazi individuabili nelle professionalità e nella formazione. Si parla oggi anche a livello internazionale di dimensioni relative a knowledge competence, skill, awareness, ethics. Dimensioni che spaziano dalle conoscenze, competenze, abilità, consapevolezza di sé, senza tralasciare la dimensione dell’etica professionale.
Di conseguenza anche la figura del docente universitario deve modificarsi; deve ridisegnarsi a partire dalla preparazione scientifico disciplinare, arricchendosi di consapevolezza sociale, di orientamenti di valore ed in particolare delle attitudini relazionali che in qualche modo devono costituire oggi il suo bagaglio di competenze.
Il tirocinante che chiede un tutorato apre uno spazio privilegiato e individualizzato con il docente che si concentra sul progetto di tirocinio e permette al docente di condividere con lo studente, in una relazione personalizzata, alcuni aspetti relazionali e proto-professionali che riguardano: il rapporto di collaborazione che si instaura tra di loro; il rapporto che lega il tirocinante con gli altri membri dello staff della struttura tra cui emerge primo fra tutti il tutor aziendale, e il rapporto che lega il tirocinante con gli utenti.
Oltre a questi aspetti squisitamente qualitativi, il tirocinio rappresenta l’occasione per approfondire i fondamenti teorici relativi ad una determinata tipologia di intervento e l’ esperienza messa in campo dal docente in quello specifico campo di azione.
A partire dal primo contatto dell’aspirante tirocinante con il tutor interno per la scelta della struttura, si imposta un rapporto che ha connotazioni formative importanti: spetta al tutor svolgere una analisi della domanda di tirocinio indagando i motivi che hanno portato lo studente proprio da lui, cioè a scegliere una determinata disciplina sui cui probabilmente focalizzerà il lavoro di tesi, e soprattutto nei casi in cui lo studente sceglie un tutor e una disciplina, ma non ne ha chiaro il motivo; o ancora quando lo studente arriva per così dire sprovveduto, pensando che una struttura sia come un’altra, sulla base di quei pre-giudizi, che possono guidarlo in un primo momento, relativi ad una certa tendenza all’ immobilismo che nel nostro Paese è spesso alla base delle scelte lavorative (devo fare un tirocinio, preferisco farlo vicino casa).
Il tutor svolge attività di accoglienza e contenimento delle perplessità dello studente e lo guida alla scelta della struttura adatta a lui e alle sue aspirazioni professionali.
Può trattarsi di ripercorrere insieme le tappe che lo hanno portato a scegliere quel corso di laurea oppure guidarlo attraverso le discipline studiate per cogliere il momento di maggior interesse ed entusiasmo. Bisogna ricordare che i giovani sono spesso timorosi di esprimersi e va dato loro fiducia e riconoscimento delle loro capacità di scelta e auto-orientamento già dal primo incontro: questo serve a creare le condizioni ottimali perché il giovane possa formulare il suo desiderio e la sua tensione conoscitiva verso settori di inserimento nei quali ritiene di non poter arrivare da solo. Il tutor in questo modo diviene un veicolo di possibilità per l’attuazione del progetto professionale e svolge in questo modo una importante azione orientativa. Non a caso la definizione di Bertoldi [27] del tirocinio richiama con chiarezza la responsabilità della docenza universitaria nella formulazione del progetto formativo.
Come già accennato la scelta della struttura e l’instaurarsi di primi contatti positivi pongono le fondamenta di un’esperienza di qualità cui contribuisce anche la formazione iniziale.
Fornire indicazioni sulla struttura e sul lavoro che in essa si svolge, sulle possibili dinamiche tra utenza e operatori è importante per favorire un inserimento realistico del giovane nella struttura e costituisce una importante prevenzione di fenomeni di burn out.
L’attività di tutorato pone infine alla docenza universitaria la provocazione di uscire dal ruolo accademico con la finalità di porsi anche come professionisti nel settore quindi su di una docenza che al di là dei saperi squisitamente accademici, si cali in una concretezza di esperienza professionale, insieme a questo la dimensione del servizio, che sembra proprio non appartenere alla professione di docente viene invece chiamata in causa dalle molteplici riflessioni sull’etica professionale degli insegnanti, che questa analisi vuole estendere anche ai docenti universitari.
12. Valutazione in itinere
Dopo il primo impatto con la struttura, il tirocinante è invitato a tornare dal tutor: l’esperienza del tirocinio va monitorata, anche per evitare che si verifichino travisamenti di quello che è il corretto rapporto tirocinante struttura. Questa evenienza si verifica ormai, solo occasionalmente, grazie al grado di formalizzazione dei rapporti. Lo studente ha tuttavia bisogno di uno spazio personale, condiviso con il tutor per l’attivazione dei processi riflessivi sull’esperienza, o in altri casi è il tutor che ha il compito di avviare la riflessione su di essa.
E’ un momento di messa a punto dell’esperienza formativa, della risoluzione di problemi relativi al possibile fraintendimento del progetto, dell’invito allo studente per un maggiore coinvolgimento quando per motivi di prudenza o timidezza si mantiene ai margini delle attività, per segnare lo start up del progetto formativo vero e proprio, dopo una prima fase di ricognizione all’interno della struttura.
13. Certificazione delle competenze
La certificazione delle competenze avviene attraverso la stesura del report di tirocinio.
Nella maggior parte dei casi, nel cl in Scienze dell’educazione, entra a far parte integrante del lavoro di tesi.
Il report non è semplicemente un diario di bordo nel quale lo studente racconta come nel concreto si è svolta l’esperienza chi ha incontrato, cosa ha fatto, come si è sentito.
Nel report di tirocinio lo studente deve dimostrare di conoscere la struttura, la sua organizzazione, la vision e la mission, su quali dispositivi di legge si poggia, di quali finanziamenti usufruisce, deve poi spiegare il progetto formativo, i suoi presupposti, in che cosa sia consistito, come si sia svolto: questa riflessione sull’esperienza costituisce il trait d’union e l’importante snodo con la teoria: non basta infatti che lo studente si sforzi di chiarire i presupposti teorici del suo agire, cercando la bibliografia adeguata: quello che si vuole è un passaggio dall’indeterminatezza alla specificità, all’utilizzo dei concetti appropriati per esprimere ciò che si è fatto rifuggendo da facili stereotipi e frasi fatte: l’educatore non è colui che “insegna” ma colui che prepara la propria “morte professionale” essere educatori non è semplicemente “instaurare una relazione d’aiuto”, ma “aiutare l’altro senza giudicare”.
- Le conoscenze di base non sono astrattamente:
- la psicologia
- la pedagogia
- la didattica
- la sociologia,
ma
- saper analizzare i bisogni,
- saper entrare in relazione,
- saper risolvere i problemi in modo creativo
- sapersi prendere cura delle persone e dell’ambiente di vita,
L’immaginario professionale si modifica divenendo più complesso e se ne percepisce la tensione continua
- a fronte di visioni irrealistiche e poetiche come “percorrere insieme la strada della vita”.
- Si avverte la delicatezza del lavoro dell’educatore come situazione perennemente scomoda, faticosa e sempre a rischio di eccessivo, inappropriato coinvolgimento,
Emerge un sapere che si concretizza in un saper fare e in un saper essere che costituiscono i criteri di qualità per la valutazione dell’esperienza.
Da qui emergono anche alcune competenze determinanti quali:
- saper ascoltare,
- sapersi mettere in gioco,
- saper comunicare,
- sapersi relazionare
- saper lavorare in equipe,
- saper osservare,
- saper imparare a riconoscere le potenzialità dell’altro,
- saper attivare un ascolto empatico,
- sapersi mettere in discussione,
- saper aiutare le persone a crescere,
- saper cogliere e apprezzare i risultati anche se piccoli [28]
Lo stabilirsi di parametri che rispondano a criteri di qualità si concentrano come si è visto sull’esplicitazione di competenze e su come queste entrino in gioco nella relazione tutoriale. Le osservazioni appena svolte permettono di esprimere alcune voci che si qualificano come competenze per entrambi e sono espresse sinteticamente nella tabella sottostante: esse costtuiscono quindi in un certo senso i parametri di qualità che fanno del tirocinio un’esperienza di crescita e formazione per entrambi:
docente | studente |
L’analisi della domanda | Il coinvolgimento e l’entusiasmo consapevolezza ed espressione culturale |
La conoscenza (diretta) delle strutture | La curiosità consapevolezza ed espressione culturale |
La preparazione all’esperienza (capacità orientativa) | Saper esercitare l’autocritica
Saper avviare processi autoriflessivi (dalla pratica ai concetti e dai concetti alla pratica) Apprendere ad apprendere |
Saper creare un lavoro sinergico (docente-studente-tutor aziendale) | Essere in grado di prendere decisioni Apprendere ad apprendere /autoimprenditorialità |
Saper cogliere e promuovere gli elementi di crescita interiore e professionale dello studente | Passare dalla vaghezza alla specificità
Apprendere ad apprendere /autoimprenditorialità |
Saper entrare in relazione paritetica e costruttiva con i colleghi di lavoro e una utenza diversificata consapevolezza ed espressione culturale |
14. Osservazioni finali
La cultura accademica mantiene ancora, in molti casi, un atteggiamento di distacco e superficialità nei confronti delle attività di tirocinio.
Lasciare solo il giovane ad affrontare questa esperienza non fa che rimarcare il baratro, sentito dagli stessi giovani, come gap incolmabile tra teoria e prassi che fa sì che sia possibile pensare che per fare le cose più diverse basti soltanto un po’ di pratica.
Entra quindi in palese contraddizione con il fine ultimo della formazione universitaria.
E’ auspicabile un maggiore collegamento tra i corsi accademici e le attività di tirocinio: questo può creare una maggiore aderenza tra i corsi accademici e i profili professionali che si vanno a formare.
Tale aderenza deve scaturire anche dall’apertura di tavoli di discussione concertati con le aziende territoriali miranti a superare la discrepanza che si verifica tra sapere accademico astratto e esigenze reali e concrete di lavoro: questo senza nulla togliere, anzi aggiungendo un valore aggiunto di concretezza alla formazione accademica intesa nella sua accezione più classica.
Il monte ore complessivo del tirocinio non dovrebbe scendere sotto le 300 ore, tuttavia non è tanto importante quante ore siano dedicate al tirocinio, (la frequenza auspicabile si aggira su non meno di 3-4 ore giornaliere o tutt’al più a giorni alterni), ma piuttosto in quale modo esse vengano spese.
Il coordinamento delle attività di tirocinio non può essere una pura questione amministrativa, ma va giocata di concerto con competenze di carattere specialistico e richiede quindi il coinvolgimento attivo dei docenti.
15. I tirocini “autonomi”
Il tirocinio autonomo rappresenta, nel pensiero di chi scrive, un punto di arrivo da riservare ai tirocini svolti durante i cs magistrali. Questo sembra valere sopratutto nella congiuntura attuale in cui per venire incontro al calo dei fondi universitari per il finanziamento di attività di tirocinio si punta al riconoscimento dei tirocini “autonomi” da parte dello studente.
Obiettivo della riflessione pedagogica e del suo agire è la libertà e l’autonomia del soggetto; il senso di ogni lavoro che mira alla crescita e alla autonomia dell’individuo comporta che l’accompagnatore si allontani dal suo compagno di viaggio.
Dunque il percorso di tirocinio per la laurea magistrale può e in parte deve svolgersi in maniera autonoma: deve configurarsi diverso, nel senso della promozione della autoimprenditoria dello studente che certamente ancora necessita di supervisione ma in modo qualitativamente diverso. Valorizzare l’autonomia dello studente significa metterlo nella condizione di camminare da solo scegliendo il proprio progetto di tirocinio, con il tutor nella funzione di coordinamento e di vera supervisione dell’esperienza che vede ricadere sul tirocinante il compito di gestire le situazioni, di assumersi responsabilità, anche prendendo in carico casi specifici.
16. In ogni caso…
E’ possibile che il tirocinante contribuisca allo sviluppo del database di facoltà con proposte autonome, orientandosi su strutture rilevanti a livello internazionale o almeno nazionale. Va promossa la valutazione delle esperienze fatte in via autonoma, anche prima della iscrizione al cs una volta dimostrata l’attendibilità della struttura (in termini di presenza sul territorio, efficacia dei progetti realizzati, come pure della qualità degli interventi effettuati) e l’effettiva congruenza dell’attività svolta con i criteri formativi dell’istruzione universitaria. Il report viene in questi casi sostituito da una riflessione ex post con gli stessi presupposti e criteri già menzionati.
Il tirocinio degli adulti merita una particolare attenzione e va promosso soprattutto quando si collega ad aspirazioni di carriera dei soggetti coinvolti: deve armonizzarsi con le preferenze e le possibilità di orario dei tirocinanti anche quando si rileva la possibilità di essere svolto nella stessa azienda di appartenenza.
Dai rilevamenti effettuati dal consorzio Alma Laurea, nell’indagine pubblicata nel 2009 gli intervistati esprimono anche il loro parere in merito all’efficacia dei singoli servizi erogati dall’Università nell’attivare i tirocini curriculari; la percentuale di gradimento risulta abbastanza elevata (più del 75%) con riferimento alla competenza del tutor accademico, ma decresce con riferimento ad altri servizi (chiarezza dei compiti assegnati, organizzazione), fino ad assestarsi al 60% circa nel caso dell’orientamento al tirocinio.
Tale circostanza induce una riflessione da parte del sistema universitario in merito agli ulteriori miglioramenti da apportare in termini di efficacia della propria azione formativa [29].
Il tirocinio deve e può divenire il luogo nel quale si elabora e si realizza il passaggio dalla conoscenza alla consapevolezza e dalla consapevolezza alla scelta, intellettualizzando l’esperienza.
I sistemi della formazione, e coloro che al loro interno si applicano, primi tra tutti i docenti, devono divenire concreti e coerenti, nel rimarcare la ricorsività tra teoria e prassi sono in un certo senso chiamati a superare lo steccato della esclusiva formazione teoretica per divenire loro stessi operatori sul campo, conoscitori in prima persona e “praticanti” le realtà professionali verso cui orientano gli studenti; devono inoltre scoprire un educational appeal nelle attività che si svolgono in università in modo parallelo all’insegnamento, che renda l’università non solo luogo di istruzione e di cognitività, ma luogo centrale all’interno della società per la formazione dell’individuo nel suo significato più pieno. Quindi anche un luogo di vita.
Queste considerazioni sono state svolte proprio con questo scopo.
Bibliografia
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Iezzi D. F., Lauree deboli competenze forti. Profili formativi e sbocchi occupazionali dei laureati nelle facoltà di lettere e filosofia. Uno studio su Roma Tor Vergata, Aracne, Roma, 2008.
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Sitografia
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- In realtà il concetto di competenza è estremamente complesso e di non facile definizione: “La clarificación del término competencia, como sugiere Westera (2001), es difícil, pues ha sido usado en forma tan diversa que genera confusión. (…) La competencia incluye conocimiento, habilidades, actitudes, metacognición, pensamiento estratégico y presupone toma de decisiones consciente e intencional. Entendemos competencia (…) para definir el sentido y los contenidos de la formación de una forma práctica y referida al ejercicio profesional. Es decir, qué conocimiento tengo que resolver para llegar a una situación. (…) este nuevo concepto de competencia, supera las skills o tasks de los años sesenta y setenta, pues las competencias surgen de un perfil profesional, lo cual implica un tipo de conocimiento que desarrollar. Así como combina lo local y lo general, es decir, la competencia adquirida en una ‘situación’ concreta, permite extraer conocimientos que se aplicarán en otro momento.” M. P. Pérez García, El Prácticum en el marco del Espacio Europeo de Educación Superior, http://www.ugr.es/~proexc/subproyect9.htm. ↩
- Commissione Delle Comunità Europee, Comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni, Nuove competenze per nuovi lavori. Prevedere le esigenze del mercato del lavoro e le competenze professionali e rispondervi {SEC(2008) 3058}. ↩
- Commissione Delle Comunità Europee, Comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni: Un nuovo partenariato per la modernizzazione delle università: il forum dell’UE sul dialogo università-imprese, Bruxelles, 2.4.2009 COM(2009) 158 definitivo. ↩
- Cfr. in proposito il contributo di S. Di Nuovo, Nuovi parametri, in A. Perucca (a cura di), Le attività di laboratorio e di tirocinio nella formazione universitaria, vol. I, Roma, Armando, 2005, pp. 131-146. ↩
- Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a Competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE); allegato Competenze Chiave per l’apprendimento Permanente — Un Quadro di Riferimento Europeo, L. 349, pp. 13-18 ↩
- “Imparare a imparare è l’abilità di perseverare nell’apprendimento (…). Il fatto di imparare a imparare fa sì che i discenti prendano le mosse da quanto hanno appreso in precedenza e dalle loro esperienze di vita per usare e applicare conoscenze e abilità in tutta una serie di contesti: a casa, sul lavoro, nell’istruzione e nella formazione. La motivazione e la fiducia sono elementi essenziali perché una persona possa acquisire tale competenza.”, Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, cit., p. 16. ↩
- Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, cit., p. 14. ↩
- A. Cammelli (a cura di), XIII Rapporto Alma Laurea sulla condizione occupazionale dei laureati 2010, Laureati e lavoro: il persistere della crisi, pp. 1-5. Oltre a questo recente dato ricordiamo quanto emerso dal Rapporto Giovani 2008, elaborato dal Dipartimento di Studi sociali, economici, attuariali e demografici della Sapienza di Roma per conto del Ministro della Gioventù Giorgia Meloni, che mostrava “una quota di un milione e 900 non studia e non lavora, nella fascia di età 25-34 anni: quasi uno su quattro (il 25%). Un milione e 200 mila di questi gravitano nella disoccupazione (ma tra loro c’è chi dice di non cercare bene perché è «scoraggiato» o perché «tanto il lavoro non c’è»). Settecentomila sono invece gli «inattivi convinti»: non cercano un lavoro e non sono disposti a cercarlo. E’ la cosiddetta generazione né-né: giovani che non hanno lavoro né lo cercano, popolazione che risulta presente in Italia, come in altri paesi europei (Spagna) e negli Stati Uniti” A. Mangiarotti, Generazione «né-né»: settecentomila giovani “inattivi convinti”, Corriere della sera, 16 luglio 2009, http://www.corriere.it/cronache/09_luglio_16/mangiarotti_rapporto_gioventu_ e39551a0-71ca-11de-87a4-00144f02aabc.shtml. ↩
- New Skills For New Jobs: Action Now. A Report By The Expert Group On New Skills For New Jobs Prepared For European Commission, February 2010. ↩
- The world Bank, Europe & Central Asia (ECA), Knowledge Brief, Quality Assurance in Higher Education. November 2010, vol. 35. http://www.worldbank.org/eca. ↩
- Il “Tuning Educational Structures in Europe” é un progetto che si basa su studi prospettici qualitativi che ha l’obiettivo di fornire un quadro sulle attese dei datori di lavoro riguardo agli studenti e ai laureati. ↩
- M. van der Wende, D. Westerheijden, The European dimension of quality assurance Report of the Conference ‘Working on the European Dimension of Quality’ of the Joint Quality Initiative, Amsterdam 12–13.3.2002. ↩
- “In many cases, institutions tend to offer programme evaluation or training sessions for faculty though the notion of quality remains vague and unshared internally”, OCSE, Learning Our Lesson: Review Of Quality Teaching In Higher Education, 2010, p. 12. ↩
- “Building Partnerships Excellent organisations seek, develop and maintain trusting relationships with various partners to ensure mutual success. These partnerships may be formed with customers, society, key suppliers, educational bodies or Non-Governmental Organisations (NGO)”, http://www.efqm.org/en/Home/aboutEFQM/Ourmodels/FundamentalConcepts/tabid/169/Default.aspx. ↩
- CRUI, L’Università italiana nella sfida competitiva del paese, Fondazione Ambrosetti, 2009, p. 97. ↩
- Su questo tema cfr. Dipartimento della Funzione Pubblica per L’efficienza Delle Amministrazioni, Presidenza del Consiglio dei Ministri, La customer satisfaction nelle amministrazioni pubbliche, valutare la qualità percepita dai cittadini, Rubettino Editrice, 2003. ↩
- S. La Rosa (a cura di), Le relazioni umane nell’Università, FrancoAngeli, Milano, 2010. ↩
- F. Frabboni, Gli strumenti di una nuova didattica in Frabboni F., Guerra L., Lodini E., Il tirocinio nella formazione dell’operatore socio-educativo, Carocci, Roma, 2002. ↩
- D. F. Iezzi, Lauree deboli competenze forti. Profili formativi e sbocchi occupazionali dei laureati nelle facoltà di lettere e filosofia. Uno studio su Roma Tor Vergata, Aracne, Roma, 2008. ↩
- I. Loiodice, Non perdere la bussola: orientamento e formazione in età adulta, FrancoAngeli, Milano, 2004. ↩
- N. Paparella, A. Perucca, Le attività di laboratorio e di tirocinio nella formazione universitaria, vol. II, Indagini e strumenti Armando, Roma, 2005, p. 211. ↩
- L. Binanti, Il tirocinio tra setting e atelier in A. Perucca (a cura di), Le attività di laboratorio e di tirocinio nella formazione universitaria. Identità istituzionale, modello organizzativo, indicatori di qualità, vol. I, Armando, Roma, 2005. ↩
- F. Olivetti Manoukian, Stato dei servizi, Il Mulino, Bologna, 1990. ↩
- D. A. Schön, The Riflective Practitioner: How Professionals Think in Action, Basic Books, New York, 1983 (trad. it. Id., Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica, Dedalo, Bari, 1993 ↩
- L. Guerra, E. Lodini, Gli strumenti per la programmazione del tirocinio, in F. Frabboni, L. Guerra, E. Lodini, op. cit., 2002 ↩
- N. Medizza, La figura dell’educatore: gli esiti del monitoraggio del tirocinio teorico, in L. Czerwinsky Domenis, B. Grasselli, (a cura di), Nuovi contesti della formazione. Pratica professionale e processi riflessivi nel tirocinio, FrancoAngeli, Milano, 2005. ↩
- Nella concezione di Bertoldi il tirocinio rappresenta “quell’insieme di esperienze che sulla base di un progetto di responsabilità della docenza universitaria, vengono affrontate dal soggetto in formazione allo scopo di verificare nella didassi, le teorie che gli sono state proposte (…)” F. Bertoldi, Il tirocinio come teoria-pratica o pratica-teoria, in G. Dalle Fratte (a cura di), La scuola e l’università nella formazione primaria degli insegnanti. Il tirocinio e il laboratorio, FrancoAngeli, Milano, 1998. ↩
- N. Medizza, cit. passim. ↩
- Consorzio Alma Laurea, XII Indagine sulla Condizione occupazionale dei laureati, 2009. ↩