Numero 13/14 - 2017

  • Numero 5 - 2012
  • Recensioni

Egle Becchi, Maschietti e bambine. Tre storie con figure

di Margarete Durst

Egle Becchi, Maschietti e bambine. Tre storie con figure, Pisa, Edizioni ETS – Collana Scienze dell’educazione, 2011.

Il libro di cui qui si tratta è uno dei più recenti di Egle Becchi, studiosa emerita di storia dell’educazione ed in specie di storia dell’infanzia, le tematiche classiche della sua ricerca vengono qui riaffrontate in maniera innovativa con il sostegno di una ricerca bibliografica ad ampio raggio, e con una precipua focalizzazione sulle modalità in cui la marcatura di genere incide sulle bambine piccole, cioè nella prima infanzia femminile che finisce per essere fagocitata in quella della bambina in età prepuberale e puberale. Come illustra la quadrilogia di Louisa M. Alcott (Jo), ai suoi tempi sovvertitrice di vari pregiudizi di genere sulle donne, alla pari dei maschietti denominati piccoli uomini le bambine erano infatti “piccole donne”, ma alle “piccole donne crescono” si affiancavano “i ragazzi di Jo”, il che fa sorgere il dubbio: ci saranno mai state le ragazze?

Come primo soggetto di analisi E. Becchi pone i putti, esseri in certo modo ibridi che ove caratterizzati sessualmente lo sono al maschile, e si mostrano per lo più voleggianti intorno a figure di entrambi i sessi, apparendo quali bambini idealizzati, aggraziati e il più delle volte sorridenti, che partecipano con un certo distacco del mondo adulto essendo più attratti da sé stessi, in consonanza con l’autoreferenzialità tipica della prima età infantile. Diverso è il modo di apparire della bambina piccola, la cui postura tende alla staticità ed è come imbrigliata in ruoli predefiniti quali sono quelli strutturati da una lunga storia di conformazioni di genere. Approfondendo l’osservazione ci si accorge che in effetti è la bambina grande che si sta guardando perché la piccola o non c’è affatto, o resta a latere del quadro d’insieme. Ovviamente le bambine, o femminucce, sono di solito rispetto ai bambini, ovvero ai maschietti, più composte, e i loro volti sono più seri, il che si accentua nelle immagini che provengono da famiglie benestanti, tanto più se di casate illustri. Comunque, anche nelle immagini che documentano la vita dei ceti meno abbienti e poveri la bambina è rappresentata in maniera più statica di quanto non lo sia il bambino, cioè conformata ad essere una ‘brava e buona bambina’. Più pertinente alla tipologia “bambina piccola” è in ogni caso l’assenza: le bambine piccole non si vedono circolare nelle opere del passato remoto e prossimo se non di sfuggita, e i repertori bibliografici, oltre a risultare tuttora meno forniti sul genere femminile che su quello maschile, risultano lacunosi riguardo allo specifico lemma.

La piccola è come fagocitata dalla bambina grande, che salvo eccezioni è a modo e perbene ed ha imparato, introiettandolo giorno per giorno, come si diventa bambine doc. Visetti di bambine ci fissano statiche da foto in bianco e nero nonché a colori di apparecchi fotografici del passato (laddove neonati e neonate odierni godono di sevizi fotografici super), le bambine però, tanto più se piccole e non di alto rango, non fanno storia, e, pur se cariche di vesti e doni, solo eccezionalmente sono considerate nella loro specificità, benché il fatto che nascono in minor numero dei maschi (i quali però muoiono più precocemente) farebbe supporre una maggior cura verso di loro proprio nella fase più infantile.

La Kinder Stube, di cui tratta la terza parte del libro laddove si approfondiscono le problematiche psichiche della bambina piccola, richiama quanto scrive Kant  nel  Libro I (Della facoltà di conoscere) dell’Antropologia dal punto di vista pragmatico, a proposito di come le donne di casa (la cui signoria è tutta inscritta in un mondo bambino) assecondando la loro tendenza naturale di nutrici incentivino l’egocentrismo infantile del maschietto con la loro smania di vezzeggiamenti, il che comunque allieta quell’età dei giochi che è considerata la più felice della vita umana. In tale piccolo mondo Egle Becchi, s’immerge riallacciandosi ad un padre fondatore degli studi psicoanalitici quale Sigmund Freud, ed in specie ai testi più tardivi in cui il ‘maestro del sospetto’ tramite un’attenzione tanto partecipe quanto non invasiva cerca di decifrare l’alone di mistero che aleggia sulla bambina piccola.

E’ appunto nella Kinder Stube, il primo contesto educativo, in cui si pongono le basi delle conformazioni di genere ed in cui s’incrociano e interagiscono bambini e bambine di varie età, che si avviano i processi psicofisici dello sviluppo neonatale e postnatale di bambine e bambini piccoli, entrambi coinvolti in un’esplorazione di se stessi incentrata sul corpo, cui le figure genitoriali, ed in primis la madre quale deputata storicamente alla funzione di care giver, possono corrispondere in modo più o meno empatico, sortendo effetti inibenti, per eccesso o per difetto riguardo alla confidenza col corpo proprio ed altrui. La letteratura psicoanalitica sul tema è vasta e in continuo sviluppo, ma lo sguardo critico freudiano si rivela tuttora fruttifero, in specie sull’esegesi dell’età ‘piccina’ di per sé enigmatica.

Ancor più dei palesi pregiudizi di genere sono i vissuti inconsci delle figure genitoriali, o di chi funge di fatto da care giver, quindi il rimosso degli adulti, che nel ripercuotersi su bambine e bambini quanto più piccoli viene da loro introiettato, così che modelli di accudimento e pratiche educative (con atteggiamenti e posture associate) presentano un potenziale performativo insospettato. Più o meno dolce o ferma che sia, la repressione delle manifestazioni dell’erotismo infantile investe i piccoli di entrambi i sessi, e, per tradizione ancestrale, sopratutto la femmina, di tensioni destinate a riemergere prepotenti dopo il periodo della latenza. La rigidità nell’esercizio del giudizio per quanto attiene alla sfera etico/morale non facilita certo l’approccio empatico al narcisismo infantile o eros primario, così come un investimento narcisistico troppo forte da parte dei care giver su bambine e bambini piccoli può fagocitare la distanza ottimale di cui vive ogni relazione vitale.

E’ comunque nella bambina piccola che il conflitto si manifesta più forte allorché l’amore primario, che senza distinzione di sesso ogni neonato/a ha per la madre, si trova a confliggere con l’investimento libidico orientato verso il sesso opposto, cioè il padre, esponendola agli effetti di ansietà, gelosia e risentimento che ciò comporta. Laddove il bambino nell’indirizzare la sua seduttività verso la madre mira a un incesto simbolico con il suo oggetto d’amore primario, che quindi non sente di tradire. Bambine e bambini piccoli se osservati con rinnovata attenzione nelle varie posture che, volenti o no, hanno assunto nel corso del tempo, ci possono insegnare molto sulle varie e più o meno subdole forme d’indottrinamento mirate a ‘ben’ conformarli e conformarle ad essere bravi bambini e brave bambine, ma nel caso delle seconde tuttora, nel vasto mondo, si pretende che esse siano sopratutto “piccole donne”.

Lungi dal rimpiangere il passato Egle Becchi ci mostra come le piccole bambine appaiano oggi più ridenti e intraprendenti (magari pure un po’ più pestifere verrebbe fatto di dire), così come le loro madri, non più bloccate nella loro spontaneità, figurano sorridenti con le loro figlie. Aggiungo di mio che in un mondo in cui le donne di ogni età continuano ad essere violentate e uccise (con più ferocia quanto più intendano decidere autonomamente come meglio vivere) le donne sono avvantaggiate rispetto al passato perché assassinii, ferite e violenze subite non vengono occultate sistematicamente con il concorso della legge.