Numero 13/14 - 2017

  • Numero 5 - 2012
  • Saggi

La mediazione, strumento pedagogico dei nostri tempi

di Elisabetta Colla

Si è andato sempre più diffondendo, da qualche anno a questa parte, l’uso del termine ‘mediazione’, nelle sue molteplici sfaccettature ed in contesti molto diversi fra loro, in ambito giuridico, sociale, culturale: se un tempo, infatti, la mediazione atteneva soprattutto al gergo finanziario, commerciale ed immobiliare, indicando la funzione di facilitazione o intermediazione svolta da un terzo fra due parti, oggi si parla con una certa naturalezza di mediazione penale, interculturale, umanistica e familiare.

Proprio in questi ultimi contesti, e soprattutto in una società in cui le agenzie educative tradizionali sembrano vivere una profonda crisi identitaria, la mediazione può svolgere una funzione coadiuvante a forte valenza educativa, nelle dinamiche, nei processi e nelle relazioni.

È noto che ogni crisi epocale di ampia portata storico-politico-economica genera inevitabilmente uno smarrimento sociale, alterando equilibri talvolta già precari e favorendo il sorgere di tensioni.

Attraverso la mediazione si cercano soluzioni a conflitti e contenziosi politici e territoriali, scolastici e condominiali, si compongono liti tra familiari e si pongono uno dinanzi all’altro, con le dovute cautele, perfino autori e vittime di reati. Dunque la mediazione è uno strumento ‘conciliativo’ e, talvolta, ‘riparativo’ [1], oltre che un approccio considerato idoneo a favorire il dialogo fra persone e situazioni con difficoltà di reciproca comprensione culturale ed interetnica [2].

La mediazione, che può essere formale o informale [3], viene vista a seconda delle correnti di pensiero e degli approcci, da un lato come strumento alternativo alla giurisdizione tradizionale,  dall’altro come suo valido affiancamento, in quanto elemento atto a favorire – attraverso ben definite procedure e pratiche o in maniera non troppo regolata – la gestione di un evento che ha procurato una frattura, più o meno grave, nonché la ricomposizione e riparazione del danno.

Fra i numerosi campi in cui, come poc’anzi constatato, si applicano le teorie e le pratiche della mediazione, s’intende qui brevemente accennare ai principali approcci e tecniche della mediazione penale [4], in particolare quelli utilizzati con minorenni e giovani adulti che transitano nei circuiti penali della giustizia minorile per aver commesso reati, gravi o bagatellari che siano.

Delle tante tipologie di mediazione di un conflitto, quella fra chi ha commesso un reato, di diversa entità, e chi ne ha subite le conseguenze, la vittima, per l’appunto, può apparire una delle più complesse e difficili sfide per il mediatore: pure, all’interno della cosiddetta Giustizia Riparativa (Restorative Justice) [5], le cui tendenze teorico-pratiche si vanno sempre più diffondendo a livello europeo ed internazionale, la mediazione penale appare come l’apice di un percorso, individuale e sociale, quali che siano gli esiti del giudizio penale. Se è vero che la Giustizia Riparativa può essere definita anche come quel “procedimento nel quale la vittima e il reo e, se appropriato, ogni altro individuo o membro della comunità lesi da un reato partecipano insieme attivamente alla risoluzione delle questioni sorte dall’illecito penale, generalmente con l’aiuto di un facilitatore” [6], è altresì comprensibile il motivo per cui numerosi autori ritengono che, proprio tramite lo strumento della mediazione si realizzi l’espressione più profonda e significativa della Restorative Justice.

Un primo punto importante, infatti, è che la mediazione, come approccio di Giustizia Riparativa, dà spazio alla valorizzazione della vittima, che recupera un ruolo ‘attivo’ e non più marginale: spesso la vittima, nella cosiddetta giustizia tradizionale (‘retributiva’), rimane senza voce per l’intero procedimento, né il suo carico emotivo, in termini di sofferenza, vissuti, sentimenti, ha modo di trovare sbocco. Qui, invece, vengono messe in campo, oltre ad una maggior considerazione dei bisogni della vittima, diverse possibili forme di ‘riparazione’ rispetto alle conseguenze del danno subito, con una potenziale valenza ‘restitutiva’ da parte dell’autore di reato [7]. Dall’altro lato, è altrettanto auspicabile l’affermarsi del significato educativo/responsabilizzante/relazionale con cui l’atto mediatorio coinvolge, senza stigmatizzarlo, l’autore del reato, il quale, specialmente nei casi di adolescenti difficili, spesso per la prima volta ha l’occasione di apprendere (emotivamente e cognitivamente) come e perché ‘mettersi nei panni dell’altro’, riconoscendone le problematiche.

Parlando della necessità di introdurre adeguati programmi di assistenza alle vittime, la legislazione europea promuove ed incoraggia espressamente “lo sviluppo di politiche di giustizia riparatrice, di procedure e di programmi rispettosi dei diritti, dei bisogni e degli interessi delle vittime, dei delinquenti, delle comunità e di tutte le altre parti” [8]. Si tratta, in buona sostanza, di implementare pratiche di educazione alla pace, attraverso la gestione e risoluzione dei conflitti, poiché i modelli di giustizia nominati, e le tecniche che li sostanziano, tendano a ridurre la criminalità, promuovendo da un lato la ricomposizione della frattura tra reo e vittima, e favorendo, dall’altro, un maggiore senso di sicurezza e benessere per l’intera società, abbassando i toni ed i clamori delle ‘sanzioni’ e mantenendo alte le posizioni dei ‘diritti’.

Dunque si ravvisa, nei documenti che orientano le politiche di Giustizia Riparativa così come in letteratura, l’importanza della Comunità, come ulteriore soggetto coinvolto a pieno titolo nel percorso mediativo/riparativo, con il compito di sostenere e diffondere sempre nuovi ed efficaci modelli di prevenzione del crimine, informando ed orientando sulle possibili tutele alle vittime e lavorando di pari passo per il reinserimento sociale degli autori di reato[9]. Pertanto i benefici di tale approccio si presuppongono complessivi: per la vittima, per l’autore e per la comunità intera.

Fra i principali strumenti della Restorative Justice, che non contemplano necessariamente l’incontro fra reo e vittima, c’è la restitution, un’azione, materiale o simbolica, diretta a rimuovere i danni provocati dal reato: ne esistono tipologie diverse, quali l’invio di una lettera, la restituzione monetaria della somma prelevata alla vittima, un risarcimento dei danni alla persona o alla comunità (esempio devolvendo somme ad enti di beneficenza), una restituzione sotto forma di un servizio da svolgere per la vittima o, ancora, in forma di community service, cioè di un servizio in favore della comunità.

Il dispositivo privilegiato della Restorative Justice, fra quelli che prevedono l’incontro diretto tra reo e vittima (altri esempi sono il conferencing ed i circoli di pacificazione) è senza dubbio quello, già citato, della mediazione penale, la victim-offender mediation [10], ove le parti sono assistite, nel processo negoziale, da un mediatore, un facilitatore della comunicazione equally partial (si preferisce tale espressione all’utilizzo del termine ‘imparziale’), la cui caratteristica perspicua è la cosiddetta ‘equi-prossimità’ o ‘equi-vicinanza’, il quale, in maniera non-direttiva, coadiuva il dialogo tra i due stakeholder, l’autore e la vittima. Nuovi programmi di mediazione prevedono la possibilità di allargare il gruppo di mediazione anche ai genitori (in caso di coinvolgimento di minori) o ad altri soggetti significativi nell’evento conflittuale, includendo in casi particolari più vittime e/o più autori di reato e/o co-mediatori. Il mediatore si fa carico di un importante compito, quello di attivare durante l’intervento, i risuonatori delle parti mediate, accantonati o mai portati alla coscienza (per paura, incapacità, rimozione), fungendo da stimolo, da pungolo maieutico, intenzionalmente ma senza nulla imporre:

Lo scopo primario della mediazione è di svolgere un percorso di riconoscimento reciproco tra le parti alla presenza di un terzo neutrale che lo rende possibile e lo sostiene, e di realizzare quindi una giustizia non riduttiva perché fondata su una relazione che si ricostruisce, su di un ordine che non viene imposto, ma generato dalle stesse persone coinvolte nel conflitto. [11]

La stessa asimmetria in cui si vengono a trovare nella mediazione la vittima ed il reo, esplicitata dal mediatore agli interessati, con le dovute cautele, evidenziando la sostanziale differenza di obiettivi che le parti raggiungeranno, pur attraverso un auspicato accordo, assume i connotati di elemento generatore di autenticità ed efficacia nella comunicazione e nell’incontro relazionale.

In tutti questi casi si può dire, a ragion veduta, che la mediazione può essere e/o divenire un potente strumento educativo. Infatti occuparsi di conflitti, nelle varie tipologie in cui essi si manifestano, ed individuare strategie di conciliazione, riparazione, mediazione, avvalendosi di metodologie non direttive ma incisive, significa riflettere e far riflettere sugli atti che si compiono e sulle cause che li muovono e, lavorando sugli aspetti personali e transazionali delle parti in causa, la mediazione può generare veri e propri atti educativi, focalizzando percorsi di ‘crescita’, ‘cura’ e, talvolta, ‘guarigione’.

Esistono numerosi casi di autori afferenti a discipline diverse del campo umanistico, socio-psicologico e pedagogico che evidenziano, direttamente o indirettamente, elementi in tal senso significativi.

Molto interessante appare ad esempio, rispetto a quanto detto poc’anzi, il punto di vista di Deutsch [12], secondo il quale è possibile trasformare un conflitto in un’importante opportunità di riflessione e cambiamento, senza necessariamente volerlo ‘sanare’, ma anche solo prendendosene cura, convertendolo in una fonte di confronto e diversificando interventi e prassi operative.

Altri autori, come Rumiati e Pietroni [13], si soffermano sulla capacità ‘trasformativa’ del conflitto, e sull’importanza di promuovere, nel lungo periodo, transizioni delle parti mediante lo sviluppo di prospettive e ‘percezioni di abbondanza’, anziché di ‘scarsità’, lavorando sul passaggio dal piano emotivo a quello cognitivo, per giungere a poco a poco a nuove soluzioni di mediazione.

Viene rivalutata, per così dire, la valenza ‘pedagogica’ del conflitto, luogo/evento di possibile crescita se ben orientato in senso trasformativo, attraverso il dialogo, la comunicazione, il colloquio.

La capacità della mediazione di svolgere un’attività pedagogica, o per meglio dire educativa in senso lato, non sovrastrutturale ma sostanziale, echeggia, con le debite differenze di contesti e di periodi storici, in alcune teorie esposte nel bel volume La mediazione pedagogica [14], del compianto Giacomo Cives, ove lo studioso ribadisce, in contrasto con una lettura ritenuta ‘negativa’, di estremizzazione ideologica del concetto di mediazione pedagogica, proposta da alcuni autori [15], il valore ‘positivo’ di tale idea: « <…> mi sono convinto sempre più che essa (la mediazione) è richiesta nel più largo grado proprio dalla pedagogia, sia a livello di riflessione teorica che di concreta pratica educativa. Educazione è aiutare gli uomini a unificarsi, cioè per meglio dire a equilibrarsi dinamicamente, cioè a maturare e farsi uomini».

Proprio grazie all’ampiezza delle prospettive storico-pedagogiche, delle sintesi interdisciplinari e degli intenti dinamici ed unificanti segnalati da questo autore in ambito di “mediazione pedagogica”, è possibile avvicinare le finalità concettuali della mediazione e della Giustizia Riparativa a quelle della pedagogia: «Ma il discorso pedagogico non poteva neppure chiudersi nell’ambito delle sole scienze dell’educazione e discipline affini. La pedagogia intesa nella sua dimensione di mediazione, lo vedevamo già all’inizio, si collega nel modo più vivo con le più varie dimensioni della cultura senza esclusioni» [16].

Il ruolo del mediatore culturale o interculturale che opera nella scuola, o in altro ambito sociale, non è del resto distante nelle finalità sostanziali (se non per alcune specifiche tecniche) da quello del mediatore che opera in contesti giudiziari di carattere penale: per quest’ultimo, di fatto, la capacità di ‘riconoscimento’ della situazione conflittuale può risultare più evidente e dichiarata (o sembrare tale) dal contesto stesso del reato mentre, in ambiti scolastici o familiari, la relazione che si incrina può assumere connotati e sfumature più difficili da definire. Ma in entrambi i casi, accertata la rottura di un dialogo - avvenuta in modo più o meno violento, più o meno manifesto - si cerca di gestire quell’evento e di ricomporre un equilibrio, come è proprio della dialettica fra opposti di hegeliana memoria. In entrambe le situazioni risulta forte il richiamo che la mediazione opera verso il concetto di responsabilità, intesa nel senso di attitudine a progettare, assumere e mantenere un impegno [17]. Il reciproco aprirsi alla percezione nuova dell’altro, l’attivazione di un processo volto alla potenziale trasformazione del proprio punto di vista ed all’accettazione di quello dell’altro, rappresentano già un primo esito positivo della mediazione, attività per sua natura dinamica, perché non vincolata ad alcuna soluzione pre-definita, ma che si realizza in divenire con la partecipazione attiva dei soggetti coinvolti, entro un contesto sociale ed ambientale partecipante.

Non a caso, con le dovute differenze teoriche ed epocali, per John Dewey la mediazione è sintesi che scaturisce da un ‘urto già in atto’, connessione dialettica fra opposti, frutto di un processo globale in termini pan-esperienziali, e viene costruita nel tempo a contatto con la natura e l’ambiente circostante, poiché ‘la prima condizione per la crescita è l’immaturità’ [18].

Il binomio cultura-natura, così come quello libertà-autorità, evocano alla mente i principi educativi sanciti, in forma di paradosso, nell’Emilio di Rousseau, laddove il precettore/maestro lascia credere al ragazzo di essere libero di scegliere e di sperimentare ogni possibilità nell’apprendimento, affinché impari a sbagliare e ad auto-correggersi, lasciando ad Emilio l’impressione che le sue esperienze siano casuali e libere: in realtà sarà il maestro, in forma indiretta ma intenzionale, a guidare ed orientare quelle scelte, evitando ogni influenza negativa e stimolando piuttosto la curiosità e la motivazione verso ciò che è positivo, “farà tutto senza far nulla”, soprattutto senza dare precetti (c’è da riflettere sulla critica che Rousseau muove alle tecniche educative del suo tempo!). In questa proficua ‘ambiguità’ si rispecchia per l’appunto la doppia anima della mediazione: una non-direttività capace di emancipare, un non-agire consapevole che intenzionalmente, ma senza forzature, responsabilizza, accompagna ed educa alla relazione.

Pur essendosi caratterizzata, a livello nazionale ed internazionale, attraverso molteplici approcci e ‘modelli’ diversi, la mediazione mantiene degli elementi comuni: la figura di un mediatore, la necessità di un setting (procedure ed elementi materiali), l’utilizzo di alcune ‘tecniche’, sia pur declinate in modo differente. Il percorso di mediazione si basa sulla libera volontà dei partecipanti di aderire o meno alle proposte mediativo-riparative - e per questo le parti vengono contattate separatamente dal mediatore per accertarne la disponibilità iniziale - e sulla partecipazione consensuale, che viene data in fase iniziale e può essere revocata in qualsiasi momento, fondamentale per la condivisione degli esiti – simbolici o materiali, positivi o negativi - e delle decisioni finali della mediazione. Relativamente alla mediazione penale, appare di vitale importanza che le parti riconoscano il proprio coinvolgimento nel conflitto sorto dall’atto-reato e, qualora una delle parti non dia il proprio consenso all’incontro ‘faccia a faccia’, o se ne valuti l’inidoneità, può essere dichiarata la non fattibilità della mediazione. Altri elementi trasversali a ogni modello di mediazione sono: la riservatezza, che impedisce di riferire a terzi i contenuti della mediazione, al fine di tutelare gli interessi delle parti oltre a consentire lo svolgimento dell’incontro in un setting che lasci ampia libertà di espressione verbale ed emotiva alle parti; l’indipendenza del mediatore, che non deve avere un coinvolgimento diretto nella vicenda trattata o nel processo penale dell’autore di reato e deve trovarsi in quella posizione di equanime prossimità verso entrambe le parti di cui si è già parlato; la gratuità dell’intervento, infine, che configurandosi come ‘servizio’ deve essere fruibile da tutti, come dichiarato espressamente nella normativa europea [19].

L’incontro di mediazione viene portato avanti in base ad alcune procedure, non rigide ma tradizionalmente accolte: dopo avere incontrato l’autore e la vittima, se si giunge all’incontro vis-à-vis, la sessione di mediazione viene condotta, in maniera non-direttiva, dal mediatore, il quale prende per primo la parola, accogliendo i presenti e stabilendo alcune regole per un dialogo autentico tra le parti (non interrompere l’altro, non essere aggressivi, non offendersi), sottolineando la confidenzialità dell’incontro ed invitando le persone a prendere la parola una per volta: si tratta del cosiddetto ‘patto metodologico’, che definisce le regole del percorso di mediazione e offre ai partecipanti la possibilità concreta di essere e percepirsi ‘in relazione’. Ciascuna delle parti racconta a questo punto il proprio vissuto, relativamente all’evento-reato, ed al termine di questo momento nodale il mediatore propone un breve riassunto, affinché le parti ascoltino la storia da un terzo che li aiuti ad identificare i punti-chiave della questione ed a chiarire le proprie posizioni rispetto al conflitto. Il mediatore cerca di far emergere, in questo momento cruciale, i bisogni e gli interessi delle parti, proponendo lui stesso alcune opzioni per una soluzione di riconciliazione/riparazione, o mediando le proposte delle parti, in vista di un accordo, che viene chiamato anche ‘patto relazionale’.

Fra i numerosi approcci teorici e pratici in cui la mediazione si è andata sviluppando, è possibile evidenziare la cosiddetta ‘mediazione umanista’, ben rappresentata da Jacqueline Morineau e dalla sua scuola, che si fonda sul dialogo guidato tra le parti, ascoltate separatamente e congiuntamente, e sulla preparazione del processo di mediazione  - piuttosto che su un setting molto strutturato - ove il mediatore assume un atteggiamento non-giudicante e positivo, intervenendo il meno possibile.

Negli incontri separati con l’autore di reato, il mediatore cerca di far emergere in lui vissuti di esperienze come vittima, perché possa effettivamente entrare nei panni dell’altro, nella sua sofferenza e nella comprensione del danno arrecato: talvolta ciò avviene enfatizzando il racconto e l’ascolto delle storie dei ragazzi poiché, secondo la Morineau, la mediazione penale minorile è un contesto altamente ‘drammatico’, come quello della tragedia greca, che ‘obbliga le parti a confrontarsi con le proprie emozioni’ [20].  La mediazione umanista,  a tale scopo, valorizza il silenzio così come il dialogo, poiché la violenza che spesso caratterizza il conflitto ‘nasce dalla sofferenza e dalla solitudine di due persone che non riescono più a comunicare’ ed ‘onorare il silenzio’ significa lasciar emergere emozioni utili a favorire la comunicazione.

Estremamente attuali appaiono le motivazioni che hanno convinto negli anni Jacqueline Morineau a diffondere e sostenere la pratica della mediazione, quelle cioè di promuovere una cultura della pace e della risoluzione pacifica dei conflitti, laddove il passaggio da situazioni di ordine – individuale o collettivo – ad altre di disordine e conflitto, all’interno di ‘una società che non ha più un posto per accogliere tali conflitti’, trova nella mediazione lo spazio ed il tempo per ammetterli e ‘rappresentarli’, proponendo un ‘luogo in cui la violenza reciproca possa dirsi e trasformarsi’. La prospettiva è dunque più ampia, e ‘desiderare la reintegrazione del disordine significa allora pensare a una vera e propria rivoluzione sociale, dato che si va controcorrente rispetto allo spirito, agli usi e ai costumi stabiliti’. In questo senso è necessario riconoscere che siamo nel campo di un ‘ribaltamento della relazione che l’uomo ha con la società e con se stesso’ [21]

Non può non emergere l’eco del pensiero e delle opere di Maria Montessori, che tanto è stata vicina ai temi che richiamano l’educazione alla pace, la cooperazione, la responsabilità:

Solo offrendo una «educazione di vastità» che permetta a ciascuno di superare i propri egoismi, di uscire dall’isolamento dei limitanti e circoscritti interessi personali per porsi nella prospettiva dell’umanità, della interrelazione, interdipendenza e cooperazione degli individui tra loro e con l’ambiente in cui vivono, sarà possibile il rinnovamento spirituale dell’uomo e l’inizio di un percorso di pace [22].

Ancora una volta la mediazione, all’interno di un contesto sociale, può rappresentare un’occasione privilegiata per favorire la decodifica e l’interpretazione delle relazioni e delle differenze culturali, per uscire dai particolarismi, in altre parole per promuovere l’educazione alla pace, che si attua nel riconoscimento dell’opportunità di un incontro-scambio incessante con gli altri. Il mediatore, in tal senso, secondo Adolfo Ceretti è quel ‘terzo’, che “permette a un soggetto di aprirsi all’ ‘altro’, di porre soprattutto l’antagonista come ‘altro’ e di porre se stesso come ‘altro possibile” [23].

Tornando nel seminato, accenniamo soltanto al modello anglosassone, in cui la mediazione, differente nei vari Stati, è prevista fra le modalità contemplate dalla Giustizia Riparativa per giungere alla riparazione e riconciliazione, considerati i veri obiettivi, tramite i programmi Vorps victim offender riconciliation program, nati negli Stati Uniti negli anni Settanta: dunque un modello maggiormente calato nei contesti specifici della Restorative Justice, a differenza di quello umanista-trasformativo che, per la sua maggiore flessibilità, se così si può dire, ha trovato idonea applicazione in molti campi della mediazione sociale, in ambito, comunitario, scolastico, familiare e, soprattutto in specifici casi e con minorenni, giudiziario.

Benché in numerosi Paesi europei ed extraeuropei esista una tradizione già avanzata nel campo della mediazione e della Giustizia Riparativa, in termini di studi e ricerche, di pratiche e di normative, e sebbene la legislazione europea intervenga da anni  per sollecitare l’approvazione di una disciplina normativa da parte dei singoli Stati [24], in Italia non esiste ancora una legge che regolamenti la mediazione, benché le prassi applicative e le sperimentazioni siano ampiamente  portate avanti (e spesso con successo), specialmente laddove, come nel caso della Giustizia minorile, esistano alcuni ‘agganci’ normativi [25].

L’esigenza di capitalizzare gli interventi in atto, di regolare l’attività professionale di chi opera nel campo della mediazione (Centri e uffici di mediazione) e di evolvere verso una fase più avanzata, definita ed omogenea, rispetto ai ruoli ed alle funzioni dei servizi territoriali coinvolti nelle attività di mediazione, non deve fare dimenticare l’importanza dello sviluppo di una riflessione teorica, di ricerca e progettazione, in ambito di mediazione e Giustizia Riparativa, indispensabile per un processo ben fondato, e rispetto alla quale ancora tanto c’è da fare, anche con il sostegno e l’implementazione delle nuove tecnologie e dell’e-learning, come in recenti e ben riuscite esperienze di formazione nel campo della mediazione [26].

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  1. Se nel mondo anglosassone i termini conciliationmediation vengono utilizzati quasi come sinonimi, in Italia si opera una distinzione fra conciliazione, strumentale al raggiungimento di accordi basati su interessi delle parti maggiormente legati a valutazioni utilitaristiche, e mediazione, un insieme di strategie sociali, con valenza riparativa e rigenerativa di relazioni e legami indeboliti da conflitti, adottate mediante particolari tecniche. In un’accezione specifica la riparazione – diretta o indiretta a seconda se vi è contatto fra le parti – è l’azione risarcitoria/compensatoria di un danno, ed è uno dei mezzi per raggiungere le finalità di mediazione, cioè il ripristino di legami sociali. Nel caso di danni o reati operati da minori, si cerca quanto più possibile una riparazione di tipo simbolico, più coerente con lo spirito e le finalità della mediazione,  svincolata dal potere economico dei genitori e che solleciti la responsabilizzazione del ragazzo attraverso azioni positive.
  2. Le attività di mediazione ‘culturale’ ed ‘interculturale’ sono generalmente svolte da personale specializzato, italiano o straniero, presso gli uffici pubblici, nel settore legislativo, presso gli uffici della questura, nel settore del ricongiungimento familiare, presso le case d’accoglienza per famiglie straniere, in carcere, presso i Servizi sanitari scolastici, alla frontiera nel contesto degli sbarchi, o in ambiti societari (convegni, associazioni, quartiere). «Il mediatore è una persona adulta che, adoperando il proprio bagaglio culturale e formativo <…> opera per promuovere l’incontro, la comunicazione, la condivisione fra persone. Decostruisce stereotipi e luoghi comuni e persegue l’obiettivo di generare un’interazione positiva fra gli esseri umani a prescindere dalle differenze e dalle diverse provenienze culturali. La sua azione concorre ad affermare una visione sociale e pedagogica interculturale, utile a superare ogni tipo di etnocentrismo. <…> Nel bagaglio professionale di un mediatore <…> oltre alla dimensione linguistico-culturale, c’è la dimensione più generale dell’incontro e quella più specifica della gestione del conflitto. Nella mediazione, ancora, ci sono le dimensioni della consulenza e dell’informazione, l’aspetto progettuale e il piano formativo.», da: ‘La mediazione interculturale: un documento del “Forum per l’Intercultura”, in: Forum per l’intercultura: 18 anni di esperienze, Roma, Caritas diocesana, 2008.
  3. I processi di mediazione possono essere caratterizzati sia da una struttura formale, basata su precise fasi, tempi, condizioni e tecniche per la conduzione degli interventi, sia da un livello informale, come quando si aiutano due o più persone a trovare un accordo con i mezzi della comunicazione quotidiana, caratterizzati da tecniche più fluide e norme più flessibili. Mentre nel primo caso il mediatore è una persona professionalmente preparata, nel secondo può essere qualunque persona che agisca in modo spontaneo in una situazione di conflitto. Nella scuola, come in molti altri settori della società, è fortemente avvertita – specialmente laddove si manifestano atti di bullismo e di disagio sociale – l’esigenza di promuovere, al di là della dimensione tecnico-specialistica legata alla mediazione formale, anche una vera e propria cultura della mediazione, della convivenza, della composizione pacifica dei conflitti, non orientando necessariamente ogni intervento verso un accordo, ma anche solo verso il miglioramento delle relazioni.
  4. Come già accennato, la mediazione si configura come un percorso relazionale tra due o più persone per la gestione o risoluzione di conflitti di natura sociale, culturale, penale: in quest’ultimo ambito il conflitto viene a configurarsi come ‘reato’.  A livello europeo ed internazionale si parla di VOM, Victim Offenders Mediation, in senso generale, ad intendere approcci teorici ed applicativi, o programmi di mediazione con sfumature diverse a seconda delle differenti scuole di pensiero e dei vari Paesi in cui si attua. I programmi di mediazione possono trovare applicazione entro programmi di diversion.
  5. La Restorative Justice (RJ) è una teoria della Giustizia che enfatizza la riparazione del danno causato o prodotto dal comportamento criminoso. I modelli della Restorative Justice nascono dalla crisi dei principali modelli di Giustizia Retributiva e Riabilitativa, unitamente alla crescente esigenza di considerare la vittima come importante e non marginale nel fatto-reato e nel processo. Questo nuovo modello di Giustizia, non sancisce però la fine o il declino dei precedenti modelli, ma secondo alcuni autori, può offrire la possibilità, a seconda dei cambiamenti sociali e politici, che i diversi modelli possano coesistere e integrarsi diversamente o sostituirsi all’occorrenza in un’ottica sintetica (De Leo, Patrizi, 2008) o rappresentare un modello di Giustizia che si può affiancare a quelli tradizionali, in particolare a quello riabilitativo (Scardaccione, 1997). La Restorative Justice, che viene attuata oggi attraverso diverse modalità operative, fra cui i programmi di VOM (Victim Offenders Mediation), è  un modello di Giustizia che cerca soluzioni agli effetti del conflitto prodotto dall’evento-reato delittuoso, coinvolgendo il reo, la vittima e la comunità allargata, al fine di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione fra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo. Alcuni autori (come A. Morris) pongono maggiormente l’accento su specifici elementi della Restorative Justice – l’equilibrio fra processi e risultati – e sui diversi gradi di riparazione che è possibile realizzare con alcuni interventi, pratiche, processi e considerano ad alta valenza riparativa processi comunicativi che vedono coinvolti vittime, autori di reato e altri attori che ruotano intorno a loro.
  6. La definizione dei Principi base sull’uso dei programmi di Giustizia Riparativa in ambito penale, è affermata al punto 3 della risoluzione adottata dall’Economic and Social Council (ECOSOC), nella sessione 2000 (Risoluzione 2000/14).
  7. “È proprio attraverso un riconoscimento giuridico di tale portata, che si rende possibile liberare le vittime dalla condizione di inferiorità e di sottomissione in cui si trovano e restituire loro la necessaria posizione di ‘eguaglianza’ di fronte all’autore del reato”. (Bouchard, M., Le garanzie processuali per la vittima minorenne, in “Minori e Giustizia”, 2003, n. 2, p. 287).
  8. Dichiarazione di Vienna su criminalità e giustizia: X Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e il trattamento dei detenuti. Vienna 10-17 aprile 2000.
  9. Nel sottolineare la necessità di promuovere una cultura favorevole alla mediazione ed alla Giustizia Riparativa, la Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, n. 56/261/2002, afferma che la Comunità stessa deve “diffondere la cultura della soluzione dei conflitti e tutte quelle iniziative che possano ridurre e dissipare i pregiudizi, provocare una presa di coscienza da parte di tutta la comunità e produrre un senso di maggiore sicurezza e benessere in tutti i cittadini. Dunque la Comunità diventa soggetto promotore del percorso “di pace” che si fonda sull’azione riparativa posta in essere dall’autore di reato (Marcus, 1996). Cfr. M.P. Giuffrida in: Commissione di studio sulla mediazione penale e giustizia riparativa (26 febbraio 2002) – Linee di indirizzo sull’applicazione nell’ambito dell’esecuzione penale di condannati adulti. 
  10. In base all’International Scientific and Professional Advisory Council (ISPAC), l’attività riparativa può essere applicata attraverso varie tipologie di programmi adottate in diversi Paesi, tra cui spiccano: l’invio di una lettera di scuse (apology) alla vittima da parte dell’autore del reato;gli incontri tra vittime e autori di reati analoghi a quello subito dalle vittime (the Victim/Community Impact Panel); gli incontri di mediazione allargata che tendono a realizzare un dialogo esteso ai gruppi parentali ovvero a tutti soggetti coinvolti dalla commissione di un reato (theCommunity/Family Group Conferencing); la prestazione di un’attività lavorativa a favore della vittima stessa (Personal Service to Victims) o a favore della collettività (Community Services); la mediazione tra l’autore del reato e la vittima dello stesso (Victim-Offender Mediation).
  11. Mazzuccato, C., “Mediazione e giustizia riparativa in ambito penale. Fondamenti teorici, implicazioni polito –criminali e profili giuridici”, in: Lo spazio della mediazione, (a cura di Cosi, Foddai),  Milano, Giuffré, 2003.
  12. Deutsch, M., “Educating for a peaceful world”, in American Psychologist, San Francisco, 1993, 48. Deutsch, M., Coleman, P. T., & Marcus, E. (Eds.). The handbook of conflict resolution: Theory and practice (2nd ed.). San Francisco, CA: Jossey-Bass, 2006.
  13. Rumiati, R., Pietroni, D., La negoziazione, Milano, Raffello Cortina, 2001.
  14. Cives, G., La mediazione pedagogica, Firenze, La Nuova Italia, 1973. L’autore, riflettendo sul concetto di ‘mediazione pedagogica’ lo connota in una prospettiva di grande interesse, sia in quanto “la pedagogia è mediazione per eccellenza anche per un altro motivo distintivo: poche altre discipline, o se si vuole pochi altri complessi di discipline, richiedono una così diretta saldatura tra prospettiva filosofica, ricerca delle scienze, arte come abilità pratica, applicativa (l’insostituibile perizia dell’insegnante)” e ancora: “nella dimensione della mediazione pedagogica vi era l’affermazione sul piano personale dello sforzo vissuto di equilibrazione e armonizzazione critica” (Cives 1973,). Non si può non pensare alla mediazione come elemento-ponte fra prospettive teoriche e strumenti applicativi, dove necessita la capacità di facilitazione insostituibile (‘perizia’) dell’insegnante o del mediatore.
  15. Il dibattito con Angelo Broccoli è riportato dallo stesso Cives, in diverse fonti: “Dominava allora una riflessione, senza dubbio brillante, ma tendenzialmente pure incline a farsi unilaterale ed esasperata, che vedeva in una libera lettura marxiana la pedagogia (e l’educazione) tutta in chiave sovrastrutturale, orientata a mascherare, mistificare la realtà. La mediazione della pedagogia era allora sostanzialmente considerata un imbroglio. Se pure in ciò era colta storicamente una parte di vero, l’esito ultimo era esiziale: ed era la morte della pedagogia, di qualunque pedagogia.  Io sostenni invece una visione in positivo della mediazione pedagogica. Non di una pedagogia purchessia, ma di una certa pedagogia orientata in senso democratico, tesa a realizzare attraverso un paziente lavoro costruttivo individui più completi, più liberi, inseriti in un’attiva collaborazione e in una realtà sociale e ambientale via via arricchita, in un contesto di sapere, in primo luogo ma non solo, di scienze dell’educazione, operativamente comunicante e reciprocamente sostenuto <…> Una linea di rafforzamento dell’identità e specificità dei singoli soggetti, delle singole realtà, dei singoli tipi di sapere, ma insieme del loro scambio, rapporto fecondo e sostegno scambievole.” In: Una vita tra scuola e pedagogia. Intervista a Giacomo Cives (a cura di A. Mariani). Firenze, Roma. 2008.
  16. Cives, G., “Un saluto e un augurio”, in: La mediazione pedagogica, Rivista on-line, Anno 1, n.1.
  17. Cosi , G.,  Foddai, M.A. (a cura di), Lo spazio della mediazione,  Milano, Giuffré, 2003
  18. Dewey, J., (1916). Democrazia e Educazione. Firenze, La Nuova Italia, (tr.it. 1970), p.53
  19. Cfr. la Raccomandazione Europea R(99) 19, che sostiene l’introduzione della mediazione penale quale strumento di risoluzione dei conflitti, adottata dal Comitato dei Ministri in data 15.9.1999.
  20. Morineau, J., Lo spirito della mediazione. Prefazione di Adolfo Ceretti. Milano, Franco Angeli, 2000.
  21. Ivi, p.40.
  22. Montessori, M., Educazione e Pace.  Milano, Garzanti, 1949, p.23. In alcune scuole montessoriane, ampliandone il metodo, viene incoraggiata la mediazione – o l’arbitrato – per la risoluzione dei diverbi.
  23. Ceretti, A., ‘Progetto per un ufficio di mediazione penale’, in  G.V. Pisapia (a cura di), La sfida della mediazione, Padova, Cedam, 1997, pp. 94-95.
  24. Cfr. la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei bambini, emanata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, che chiede agli Stati parte (art. 13) di incoraggiare l’attuazione della mediazione per raggiungere l’accordo nei casi appropriati al fine di prevenire o risolvere i conflitti ed evitare procedimenti giudiziari riguardanti bambini e la Raccomandazione (9919) del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che obbligava i Paesi membri dell’UE ad adottare la mediazione penale entro il 2006. Fra i Paesi europei, per tutti, si evidenziano la Francia, che ha celebrato il decennale dall’istituzione della legge sulla mediazione familiare, e la Spagna, dove sono state varate, anche di recente, leggi regionali in materia. In alcuni Paesi alla mediazione penale è stato riconosciuta la dignità di procedura alternativa, e non solo complementare, al tradizionale percorso giudiziario
  25. La possibilità di fare ricorso ad esperienze di mediazione in campo penale minorile, è ritagliata in alcuni specifici spazi normativi, individuabili nel codice di procedura penale per i minorenni (D.P.R.448/88) e, in particolare, nell’ambito delle indagini preliminari (art.9), durante l’udienza preliminare o nel dibattimento (art.27), nell’attuazione della sospensione del processo e messa alla prova (art.28), nell’applicazione delle sanzioni sostitutive della semidetenzione o della libertà controllata. La mediazione penale può essere inoltre realizzata in fase di esecuzione penale, nell’ambito della misura alternativa alla detenzione riferita all’art. 47 della L.354/75, mentre il concetto di riparazione è stato introdotto nel recente Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario e delle misure privative della libertà personale (D.P.R. 230/2000). In alcuni Paesi alla mediazione penale è stato riconosciuta la dignità di procedura alternativa, e non solo complementare, al tradizionale percorso giudiziario
  26. Tra le altre iniziative in materia di mediazione penale, il Dipartimento Giustizia Minorile – un osservatorio privilegiato che da alcuni anni, seppure in via sperimentale, ha inserito la mediazione fra gli strumenti idonei ad  intervenire sui casi di propria competenza, sviluppando scambi sempre più sistematici con magistrati, giuristi e operatori del terzo settore – ha realizzato un progetto, in collaborazione con l’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali-IPRS, che ha dato l’avvio ad un’ampia azione formativa, rivolta ad operatori ed esperti del mondo della Giustizia Minorile, della scuola, degli enti locali, dell’associazionismo. Tale attività è stata supportata da strumenti informatici per la formazione a distanza, tramite e-learning, che hanno introdotto elementi innovativi nelle modalità di apprendimento e scambio di conoscenze, favorendo lo sviluppo di una comunità dialogante on-line, attraverso la costruzione di uno spazio collaborativo e progettuale per la condivisione di linguaggi, saperi e strategie di mediazione.