La diagnosi delle crisi che investono la nostra società, la nostra economia, la nostra scuola è sempre a fosche tinte e la prognosi è infausta.
Il significato e le implicazioni che la crisi della scuola presenta oggi sono cose ampiamente dibattute, come è oggetto di analisi quasi quotidiane la più ampia crisi economica e come questa abbia impatto anche sulla scuola. Ne parla tanto “uomo della strada” che l’ “addetto ai lavori” e dai loro discorsi parrebbe che la scuola oggi fosse destinata a percorrere, senza freni, una strada in discesa, con curve pericolose, sempre sull’orlo del precipizio.
Se dovessimo dare ascolto alle diagnosi ed alle prognosi, non troveremo alcuna terapia in grado di offrire alla scuola italiana ed ai suoi utenti alcun futuro. Il pessimismo si trasforma in depressione e la risposta prevalente è improntata all’immobilismo.
La “crisi” che attraversa la scuola ha anche un altro segno: la sua coerenza, quindi, adeguatezza, con le richieste dalla società contemporanea.
Una tra le tante battute che circolano a proposito della scuola è: Nella scuola d’oggi, insegnanti di ieri insegnano a studenti di domani. Un’impietosa fotografia di come la società vede la scuola.
Le evidenze del mutato ruolo della scuola sono numerose: la scuola non è più il solo, e, forse, neppure il principale, luogo dell’apprendimento e della socializzazione per le nuove generazioni; i curricoli scolastici sono ingessati su discipline e contenuti di decenni fa; la classe insegnante è tra le più anziane d’Europa; il “cliente” della scuola è anch’esso cambiato: sempre meno “studente” e sempre più “giovane” con l’irruzione a scuola di tutte le problematiche giovanili; i modelli culturali sono cambiati ed il principio di autorità è venuto meno o si è fortemente indebolito; i modelli prescrittivi su cui si è sempre fondata la scuola non funzionano più.
Ecco, allora, emergere le “patologie” che vengono attribuite alle nuove generazioni di studenti: la mancanza del senso del dovere, del rispetto dell’autorità, del decoro, la propensione alla violenza, per citarne alcune, le più gettonate. O il venir meno di importanti caratteristiche cognitive che hanno sempre caratterizzato lo studente-modello: perdita di attenzione, di concentrazione, della capacità di approfondire le questioni; una elevata propensione ad approcci estesi, superficiali, pieni di … buchi (la così detta “sindrome del groviera”), tutte “perdite” attribuite al dilagare delle tecnologie digitali.
Una scuola svalorizzata dai politici e prosciugata di risorse, sbeffeggiata da tanta stampa e con una immagine sociale sempre più negativa. Per non parlare degli insegnanti la cui identità sociale, culturale e professionale è sempre più incerta e debole. Insegnanti ridotti, secondo alcuni, ad “amministrativi della conoscenza”.
Vista così, la scuola sembrerebbe un’istituzione priva di speranza, pronta ad implodere su sé stessa realizzando la profezia, di quasi 100 anni fa, rimasta sempre a mezz’aria di Giovanni Papini: “Chiudiamo le scuole” [1]. Senza risorse, senza energie, senza progetto che guardi al futuro.
Fortunatamente, la situazione, anche se è così, non solo così. Se c’è una scuola che funziona a dispetto di tutto e di tutti è dove gli insegnanti non si sono fatti alibi di mancanze altrui, hanno smesso di aspettare interventi istituzionali e si sono organizzati cogliendo l’esprit du temps: le tecnologie digitali ed internet.
Se ci fosse una persona che non conoscendo la situazione della scuola italiana, facesse un’esplorazione, anche rapida, delle presenza della scuola e degli insegnanti in rete, si costruirebbe l’immagine di una realtà moderna, attiva, efficace; si accorgerebbe di quanti insegnanti partecipano convintamente ad attività di aggiornamento professionale anche se condotte secondo modalità non tradizionali.
L’aggiornamento professionale dell’insegnante oggi si sviluppa in modo significativo su base volontaria, nel tempo libero, senza costo per la collettività.
Un numero sempre maggiore di insegnanti ha un proprio account su Facebook e su altri social media, ha attivo un blog personale o di classe, condivide esperienze, risorse, cerca ed offre aiuto. Per alcuni la rete è diventata un palcoscenico, ma gli utilizzi professionali della rate sono, anche per gli insegnanti, una pratica diffusa.
Paradossalmente, quelle che sono ritenute essere la causa di tanti mali della scuola, le tecnologie digitali, internet, i social network, rappresentano la scialuppa di salvataggio della scuola italiana e lo fanno mettendo a disposizione una serie di ambienti che, oltre a favorire l’aggiornamento degli insegnanti, contribuiscono alla costruzione ed al consolidamento del senso di appartenenza ad una classe intellettuale importante per il Paese.
La presenza degli insegnanti in rete, che ai benpensanti potrebbe sembrare un’ulteriore dimostrazione di quanto gli insegnanti siano “fannulloni”, di quanto amino chiacchierare e spettegolare, è, invece, un’esperienza autentica di apprendimento significativo, è un fenomeno innovativo non solo sul piano sociologico (le nuove modalità di aggregazione), ma anche su quello pedagogico e didattico.
Non si tratta, infatti, di un apprendimento che utilizza le modalità convenzionali attraverso cui si apprende: una persona che insegna e tante che la stanno ad ascoltare ed imparano. L’apprendimento in rete si sviluppa attraverso i canali informali della condivisione di esperienze, di conoscenze e lo fa su specifici problemi, su specifiche situazioni, quando il bisogno di conoscenza emerge e deve essere soddisfatto in breve tempo. Ed è proprio così che la formazione diventa utile.
Modalità di apprendimento tra insegnanti che aprono interessanti prospettive anche per la didattica a scuola.
Strade nuove per l’apprendimento le sta cercando anche il social network di insegnanti “La scuola che funziona” [2] attraverso il progetto “Storie di didattica – La scuola che si racconta”[3] . Con questo progetto, l’apprendimento si attiva, si sostiene e si sviluppa attraverso la narrazione di pratiche di didattica. La narrazione è l’azione vista da dentro. Narrando si fa emergere il buon insegnamento. Descrivere, per contro, è l’azione vista da fuori.
La “formazione continua” dell’insegnante, in questo progetto (autogestito, su base volontaria, gratuito, in rete) non viene fatta attraverso formazione “formale” (corsi, letture) tipica di un approccio alla conoscenza di tipo deduttivo, ma attraverso un approccio induttivo partendo dalla considerazione delle pratiche reali di insegnamento, il loro racconto in formato narrativo (storie) e il loro riesame.
Si tratta di un approccio allo sviluppo professionale dell’insegnante che fa leva sulla riflessione intorno alla propria (ma anche altrui) pratica. Attraverso la narrazione l’insegnante “studia” sé stesso (non un libro) ed “insegna” a sé stesso (non “è insegnato” da terza persona).
Il progetto è, anche, un progetto di ricerca proponendosi, infatti, di fare ricerca qualitativa (ad orientamento fenomenologico) con lo scopo di identificare “teorie” dell’insegnamento alle quali agganciare metodi e strumenti estraendole dalle pratiche reali, teorie “estratte” e non teorie “astratte”. Ricerca e formazione professionale dovrebbero in questo modo conferire all’insegnamento dinamicità e apertura riparandola da standardizzazioni e da pratiche routinarie.
Agli insegnanti partecipanti al progetto si chiede di raccontare situazioni ed episodi della propria vita professionale: la relazione educativa, i metodi e strategie dell’agire didattico, storie di empatia ma anche di conflitto”. Narrazioni che costruiscono l’esperienza, che trasferiscano l’ esperienza, che rielaborino e ritrasformino l’esperienza attraverso l’osservazione. Narrazioni coraggiose e fedeli, che siano il riconoscimento dell’altro e del sé, che costruiscono una comunità, per lasciare traccia, che possono essere per sé strumento di ricerca, che uniscono il rigore scientifico del dire al coinvolgimento emotivo del raccontarsi.
Le prime narrazioni pervenute sono pubblicate in rete nell’ “Antologia di storie di didattica”. [4]
La scuola italiana nelle crisi. La scuola italiana essa stessa una componente delle crisi, oppure una opportunità per superarle?
Da quel che possiamo vedere, nella scuola italiana ci sono tanti insegnanti che sono attivi per dare responsabilmente un proprio contributo al recupero di immagine e di efficacia della scuola stessa. Lo fanno percorrendo strade nuove, attivando nuove pratiche di interazione, utilizzando le nuove tecnologie, mobilitando orgoglio e passione professionale. A dispetto di un clima poco favorevole.
Che siano proprio queste nuove pratiche sociali ed il supporto delle nuove tecnologie ad aiutare la scuola ad uscire dalla crisi? Io ci conto.
- G. Papini, Chiudiamo le scuole, Millelire, 1992 ↩
- www.lascuolachefunziona.it ↩
- www.storiedididattica.it ↩
- www.storiedididattica.it/blog ↩