Nei mesi scorsi, poco dopo l’insediamento del governo ‘tecnico’ presieduto da Mario Monti, è circolata negli ambienti del Miur la voce che si stesse studiando l’ipotesi di ridurre la durata della istruzione secondaria superiore riducendola a quattro anni sia per i licei che per gli istituti tecnici e professionali.
Di questa voce non si è avuta conferma (non si sa cioè se sia stato realizzato, o almeno avviato, un organico studio di fattibilità). E’ certo, invece, che sia stato un membro del governo, il sottosegretario Marco Rossi Doria, a sollevare la questione, sia pure a titolo personale, come poi ha spiegato, anche se è sempre difficile per chi ricopre un incarico di governo fare una credibile distinzione tra ciò che è ‘personale’ e ciò che è ‘politico’.
La riflessione pubblicata da Rossi Doria sul suo blog (datata 10 gennaio 2012) riguardava l’opportunità di
riformare i percorsi scolastici in modo che – dalla prima elementare al diploma – durino in tutto non oltre 12 anni. In modo da far coincidere la maggiore età e la fine della scuola, come nei grandi paesi europei, in USA, in India, Cina e Brasile”.
Rossi Doria però non ha detto, neanche a titolo personale, come avrebbe realizzato la riduzione dagli attuali 13 a 12 anni: se utilizzando il modello Berlinguer (7+5), tagliando cioè un anno al primo ciclo, oppure quello proposto inizialmente dagli esperti nominati da Letizia Moratti alla fine del 2001 (Gruppo di lavoro presieduto da Giuseppe Bertagna) e subito ritirato, che prevedeva la riduzione del secondo ciclo a quatto anni (8+4) sia sul versante scolastico (‘Licei’) sia su quello formativo (percorsi regionali di ‘Istruzione e Formazione Professionale’). Una proposta alla cui origine c’era stata un’ipotesi formulata da Norberto Bottani, relativa alla creazione di un robusto sistema di formazione tecnica superiore a carattere non accademico in uscita da studi secondari di quattro anni.
Si può ritenere tuttavia, sulla base delle convinzioni di carattere generale e delle esperienze realizzate dal ‘maestro di strada’ Rossi Doria, che la sua preferenza sarebbe andata caso mai al secondo modello, anche perché più compatibile con il rafforzamento dell’istruzione di base e più vicino a quello adottato nella grande maggioranza dei Paesi sviluppati (in Francia la secondaria superiore dura 3 anni – 4 i licei professionali -, 4 negli USA, 3 in Giappone, 2 in Spagna, 3 in Finlandia, speso citata come modello esemplare di sintesi tra efficienza ed equità).
Le resistenze
L’ipotesi di ridurre la durata dell’istruzione pre-universitaria a 12 anni, ma soprattutto quella di togliere un anno al secondo ciclo, ha sollevano, o meglio ri-sollevato, una serie di critiche e opposizioni, in parte ideologiche, in parte corporative, per il momento vincenti.
Tra le prime si collocano quelle dei difensori ‘a priori’ della quinquennalità del liceo, a partire dal classico, che sostengono – come fecero anche nel 2001, con l’appoggio di alcuni partiti della stessa maggioranza protempore, AN e Udc – l’impossibilità di comprimere in quattro anni l’insegnamento/apprendimento di determinate materie (greco, latino, matematica allo scientifico). La stessa obiezione viene avanzata ora per gli istituti tecnici, che già con le recenti riforme Fioroni e Gelmini hanno visto ridurre lo spazio-tempo per alcuni insegnamenti e attività di laboratorio.
Di principio è apparsa anche l’opposizione di chi sostiene che anziché ridurre occorrerebbe caso mai aumentare il tempo scuola, soprattutto nel biennio iniziale, per combattere la dispersione. Di questo schieramento conservatore fanno parte anche coloro che ritengono – magari citando alcune recenti prese di posizione ‘continuiste’ del ministro Profumo – che dopo gli sconvolgimenti degli ultimi anni la scuola italiana abbia oggi bisogno di stabilità, non di ulteriori riforme.
Tra le resistenze di segno corporativo ci sono quelle dei movimenti, associazioni e sindacati vicini al mondo del precariato scolastico, che temono l’ulteriore taglio degli organici, valutabile in circa 40.000 posti in caso di ‘taglio lineare’, a scapito in primo luogo dei precari.
Anche i sindacati maggiori però esprimono forte contrarietà, soprattutto sul metodo (Pantaleo, Flc-Cgil: “Bisognerebbe evitare di annunciare ogni giorno possibili cambiamenti senza una verifica sulle possibilità reali di raggiungere risultati concreti perché così si crea molta confusione e incertezza”. Scrima, Cisl scuola: “Su temi come i percorsi di studio non si può improvvisare, né ripescare proposte che già hanno mostrato tutti i loro limiti”). Anche se da parte dei sindacati non si è manifestata un’opposizione di principio a discutere del problema.
Le possibili soluzioni
L’eventuale taglio di un anno della scuola secondaria superiore potrebbe essere realizzato nei modi più diversi: riducendo il biennio iniziale a un monoennio (1+3), riducendo il triennio a un biennio (2+2), o anche agganciando il quinto anno al percorso formativo ulteriore (2+2+1 o 1+3+1) con il riconoscimento di crediti (da 30 a 60) utili per gli studi universitari o post-secondari non universitari. In quest’ultimo caso l’esame di maturità potrebbe articolarsi in due fasi successive (come si fa in Francia), una alla fine del quarto anno e l’altra alla fine del quinto.
Una variante ingegneristica alla prima ipotesi (1+3), affacciatasi anche in passato, potrebbe essere quella di staccare il monoennio dalla scuola secondaria superiore aumentando di un anno la scuola secondaria di primo grado. In tal caso la scuola italiana assumerebbe una configurazione assai simile a quella francese (5+4+3).
Tutte queste ipotesi comporterebbero, naturalmente, una profonda revisione dei piani di studio, che acquisterebbe forza e senso, però, solo nel quadro di un’operazione di rafforzamento della formazione di tutti i giovani italiani fino ai 18 anni e di sensibile riduzione dell’attuale tasso di dispersione scolastica (19,2% nel 2009). La Flc-Cgil ha già fatto le sue proposte: cancellazione della riforma Gelmini, obbligo scolastico (non di istruzione) fino a 18 anni, nessun ulteriore taglio degli organici, da utilizzare per intero per combattere la dispersione e l’evasione scolastica.
E’ verosimile che l’attuale governo non sia in grado di affrontare una questione di tale rilevanza anche perché, per quanto tecnico, è sostenuto in Parlamento da una maggioranza politica che difficilmente troverebbe il modo di sciogliere il nodo della scelta tra obbligo scolastico e obbligo di istruzione. Però la libera discussione e l’approfondimento anche tecnico del modo di allineare la scuola italiana agli standard di durata, e magari anche di qualità, dei più avanzati Paesi del mondo è senza dubbio utile, e merita un approfondito dibattito pubblico.
Bibliografia
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Bottani N. et al., Un giorno di scuola nel 2020. Bologna, il Mulino, 2010
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