Pierre Macherey, La parole universitaire, Paris, La fabrique éditions, 09/2011.
I rapidi cambiamenti che investono il mondo universitario italiano, ben testimoniati da una lunga stagione di riforme che, pur nella loro sostanziale continuità, hanno comportato numerosi mutamenti nella vita accademica, trovano piena eco in pubblicazioni sempre più frequenti che hanno come loro oggetto l’istruzione superiore. Solo negli ultimi mesi, sono stati dati alle stampe diversi volumi che affrontano quella che, sempre più, può essere definita come la questione universitaria, da prospettive differenti e con finalità tra loro eterogenee. I temi trattati coprono un ampio ventaglio di problematiche, dai mutamenti inerenti al dottorato di ricerca [1] e al profilo dell’università [2] alla comparazione dei sistemi d’istruzione superiore [3], per giungere ad approcci più marcatamente critici [4]. Le vicissitudini e le prospettive dell’Accademia italiana, inoltre, sembrano trovare spazio o innervare con alta frequenza anche riflessioni più generali sulla situazione del nostro paese [5], ribadendo la centralità dell’istruzione superiore per l’identità dell’Italia, specie in un periodo di travaglio come l’attuale.
Come è noto, non è solo l’università del nostro paese a dover confrontarsi con una perigliosa ricerca d’identità, la conclusione della quale appare incerta e sembra poter corrodere le stesse possibilità della sussistenza di tale istituzione, così come si è configurata a partire dal XIX secolo in paesi quali Germania, Francia e Inghilterra; la pressione di fattori esterni al mondo accademico, infatti, come ben testimoniato da numerose letture critiche, paiono ora presentarsi, se non in modo quantitativamente più consistente, con un incedere più violento e spregiudicato, minando la possibilità di un dialogo che possa comprendere realmente i tanti soggetti oggi coinvolti nel ripensamento dell’istruzione superiore. In questo quadro, il volume di Pierre Macherey, La parole universitaire, si pone come un’interessante riflessione, poiché sceglie in modo programmatico di attraversare lo screziato panorama della questione universitaria seguendo traiettorie interdisciplinari ma fittamente intrecciate alla volontà di fornire strumenti per rinfocolare il dibattito sull’idea stessa di università.
I testi riuniti nel volume rappresentano il frutto del lavoro condotto dal gruppo di studio La philosophie au sens large dell’Université Lille-III, nel quadro dell’Unité Mixte de Recherche (UMR) del CNRS dal titolo Savoir Textes Langage. Tali precisazioni sono particolarmente utili poiché la maggior parte dei capitoli sono accessibili in maniera libera online [6]; inoltre, il medesimo sito contiene anche altri saggi, alcuni [7] assai prossimi alle tematiche approfondite nel volume. Questo si compone di un’introduzione e di tre capitoli, differenti per importanza e per spessore: l’introduzione (7-31), infatti, svolge l’importante funzione di delineare la prospettiva nella quale leggere i successivi capitoli, di cui il secondo e il terzo risultano retti dal più voluminoso e più teoreticamente impegnato primo capitolo, dedicato a L’Université des philosophes (33-189). Nell’introduzione, infatti, Macherey esplicita quanto l’attuale dibattito sull’università soffra di alcune tendenze che, pur con le loro differenze, rischiano di far girare a vuoto la discussione: tanto la volontà di ipostatizzare un’idea di Università, astorica e autoreferenziale, quanto la piena (e cieca) fiducia nella rivoluzione della didattica [8], nella quale il professore diventa un facilitatore e un tutor per gli studenti sciogliendo tensioni radicate in questa istituzione, sembrano, per l’autore, mancare un’interrogazione che possa dirimere la complessità del ruolo odierno dell’istruzione superiore [9].
I filosofi proposti da Macherey, sono scelti perché marcano la formazione, in Germania, di un’idea di università che ebbe e, in modo spesso superficiale, continua ad avere una grande risonanza internazionale. Il primo autore proposto è Immanuel Kant, presentato per il suo ultimo testo Il conflitto delle facoltà, pubblicato nel 1798. Nella prospettiva di Macherey, gli elementi rivoluzionari del pensiero di Kant furono la capacità di acquisire la struttura dell’università medievale, composta (e divisa) da tre facoltà superiori (Legge, Medicina e Teologia) e da una propedeutica o inferiore (Arti), ripensandola e rivoluzionandola. In particolare, un doppio movimento permise a Kant di svincolare, idealmente, la facoltà delle arti, nella quale la filosofia divenne la disciplina centrale, dal controllo dello Stato riguardo ai contenuti, poiché questi non avevano come primaria finalità quella della codifica di leggi di condotta pratiche, in pieno contrasto, quindi, con le finalità delle altre tre. Inoltre, ma non meno importante, le cesure che attraversavano l’università medievale erano così armonizzate dallo sguardo della filosofia, a cui era deputata la funzione di vegliare sui presupposti delle altre facoltà, non dando indicazioni stringenti, ma vere e proprie riflessioni per fornire il senso di qualsivoglia attività [10]. Questo approccio, foriero di una precisa volontà di forgiare un nuovo progetto di università, è messo in dialogo con la posizione, per più di un verso opposta, di Schelling, mediata, nel testo, dalla lettura che ne dà Derrida nel suo testo Du droit à la philosophie [11].
Gli altri due filosofi chiamati a colloquio nel testo sono Hegel e Heidegger, proposti per alcuni passi tratti da differenti lezioni inaugurali da loro tenute: in entrambi i casi [12], data l’impossibilità di entrare nel dettaglio delle posizioni presentate, è molto interessante sottolineare lo sforzo da parte dell’autore di costituire un continuo dialogo tra le tesi dei filosofi e gli snodi storici del loro paese. Ciò mostra la centralità della riflessione sull’università e, nel caso specifico, sul ruolo della filosofia quale disciplina in stretta relazione con il raggiungimento di un progetto di istruzione superiore che impegni direttamente i suoi membri. In questo senso, i testi analizzati mostrano un carattere che, pur radicato con forza nel contesto storico di appartenenza, possiede un respiro molto più ampio, in pieno dialogo con il ricco corpus delle opere dei due filosofi.
Il secondo capitolo, dal titolo L’idiome universitaire (191-269), è dedicato allo studio dell’atto di parola nell’ambito universitario riferito, innanzitutto, all’esercizio della professione docente. Tale capitolo propone due approcci differenti a tale tematica, quella di carattere psicanalitico di Lacan e quella di taglio sociologico di Bourdieu e Passeron [13]. In realtà, la distanza che separa questo capitolo dal precedente è di molto ridotta dalla particolare prospettiva di lettura posta in campo da Macherey: ciò che è posto in discussione, infatti, è sempre verso il delicato passaggio tra la produzione di conoscenza e la sua trasmissione in seno al sistema d’istruzione. L’atto di parola, come mezzo di trasmissione del sapere, nella riflessione degli autori proposti sembra comportare un inevitabile svilimento della conoscenza, svuotata della sua carica critica (Lacan) e reso opaca dall’utilizzo di una idioma caratterizzato e gestito dai paradigmi della neutralità, dell’autorità e della letterarietà (Bourdieu e Passeron).
L’ultimo capitolo, infine, è dedicato all’immagine dell’università nella produzione letteraria. Á l’épreuve de la littérature (271-337), infatti, propone un’ampia passeggiata attraverso testi davvero molto distanti tra loro, annoverando François Rabelais, Hermann Hesse, Thomas Hardy e Vladimir Nabokov. In questo caso, la rassegna risulta essere interessante ma maggiormente aneddotica, mostrando tanto le fulgide speranze di una Respublica litteraria nel suo pieno vigore, quanto la più tagliente disillusione di autori a noi più contemporanei. Una piccola conclusione (Pour conclure? 339-343), infine, chiude il volume che, nel suo complesso, rappresenta, proprio per la ricchezza delle fonti presentate, un utile contributo per continuare a interrogarsi sull’università, cercando di percorrere strade che possano beneficiare di una ricca tradizione di riflessione, salvifica rispetto allo scadimento del dibattito nei pertugi asfittici nei quali, purtroppo, troppe volte sembra essere rincattucciato da approcci dimentichi del passato e sordi al presente.
- Orefice P., Del Gobbo G. (a cura di), Il terzo ciclo della formazione universitaria. Un contributo delle Scuole e dei Corsi di dottorato di Scienze dell’Educazione in Italia, Milano, FrancoAngeli, febbraio 2012. Il volume registra una parte dei risultati ottenuti nell’ambito di un progetto PRIN “QUALFORED”. ↩
- Turri M., Università in transizione, Milano, Guerini e Associati, ottobre 2011 e Bologna C., Endrici G. (a cura di), Governare le università. Il centro del sistema, Bologna, Il Mulino, settembre 2011. ↩
- Triventi M., Sistemi universitari comparati, Milano, Bruno Mondadori, gennaio 2012. ↩
- Boffo S., Rebeggiani E., La Minerva ferita. Crisi e prospettive dell’Università in Italia, Liguori, dicembre 2011 e Moscati R, Regini M., Rostan M. (a cura di), Torri d’avorio in frantumi? Dove vanno le università europee, Bologna, Il Mulino, 2010. ↩
- Indicativo, in questo senso, il recente pamphlet di Mario Perniola, Berlusconi o il ’68 realizzato, Milano – Udine, Mimesis Edizioni, novembre 2011, nel quale è proprio l’università e, più in generale, il progetto educativo di una nazione a essere posti in discussione. ↩
- Ai due indirizzi: http://philolarge.hypotheses.org/programme-2009-2010 ehttp://philolarge.hypotheses.org/annee-2010-2011. ↩
- Si segnala la riflessione sulla posizione di Derrida riguardo all’università: Pierre Macherey, La profession de foi de Derrida, http://philolarge.hypotheses.org/68. ↩
- L’autore palesa una netta diffidenza verso il tipo d’utilizzo fatto delle competenze e dei crediti, volti verso un’utilità il cui concetto è tanto vago quanto sospetto. ↩
- Naturalmente, nel testo non mancano precisi riferimenti alla discussa riforma delle Grandes Écoles. ↩
- L’autore stesso, in questo quadro, ricorda quanto ciò sia fondamentale per il contributo di autori successivi quali Fichte, Schelling e Schleiermacher. ↩
- Jacques Derrida, Du droit à la philosophie, Paris, Editions Galilée, 1900. Macherey si riferisce, in particolare, alla conferenza tenuta alla Columbia University nel 1980. ↩
- I contesti storici, in questi casi, sono particolarmente significativi: Hegel pronuncia le sue lezioni dal 1816 al 1818, mentre i testi presi in principale considerazione di Heidegger sono quelli tratti dalle prolusioni del 1929, 1933 e 1937. Tutte queste date coincidono con importanti snodi nella storia tedesca. ↩
- Pierre Bourdieu, Jean-Claude Passeron, Les Héritiers – Les étudiants et la culture, Paris, Editions de Minuit, 1964 e Id., La reproduction. Eléments pour une théorie du système d’enseignement, Paris, Editions de Minuit, 1970. ↩