Numero 13/14 - 2017

  • Numero 6 - 2012
  • Politiche

Le competenze trasversali nella certificazione dell’obbligo scolastico

di Fabio Di Pietro

Da un’esperienza di ricerca-azione all’elaborazione di spunti teorici per l’analisi dei processi culturali e comunicativi della certificazione scolastica

Abstract

Il contributo parte da un’esperienza di ricerca-azione svolta nel Liceo Azuni di Sassari, in relazione all’obbligo di certificare le competenze trasversali nel primo biennio della scuola secondaria di secondo grado, per proporre una visione integrata dell’idea di competenza, che si avvale dalla definizione linguistica-comunicativa di competenza, del punto vista sociologico e mediologico, delle complesse definizioni istituzionali, nonché dell’esperienza condotta nel progetto “La scuola che vorrei”; dall’insieme di queste dimensioni di analisi emerge il carattere di costruzione sociale del concetto di competenza.

Premessa

L’idea centrale del presente contributo consiste nel considerare le competenze trasversali, partendo dal certificato delle competenze di base per l’assolvimento dell’obbligo scolastico alla fine del primo biennio del secondo ciclo di istruzione.

Le esigenze del mutamento in atto nel primo biennio della scuola secondaria di II grado, avviate con la certificazione delle competenze, richiedono, prima ancora dell’individuazione dei contenuti, la definizione di rubriche valutative precise, che declinino i contenuti non come fini, ma mezzi per le competenze.

In estrema sintesi, il docente e lo studente del biennio deve con certezza avere costantemente richiamata la dimensione delle competenze in ciascun punto/snodo del processo formativo, condividendo una terminologia determinata [1] ed un impianto scientificamente controllato e sperimentato di valutazione. Le prove, gli esercizi, le verifiche devono essere strettamente correlati con i contenuti e questi con le competenze di riferimento.

Se ci si sofferma anche solo ad alcune esemplificazioni relative all’asse dei linguaggi ed alla sola lingua italiana, si rileva subito come quest’ultima implichi una trasversalità che tocca altri punti del certificato delle competenze.

Prendendo spunto dall’esperienza di costruzione delle rubriche svolta nell’ambito del Progetto «La scuola che vorrei» finanziato dalla Provincia di Sassari e realizzato presso il Liceo Classico «D. A. Azuni» di Sassari, si svilupperà un’analisi parziale, ma a nostro avviso significativa, delle possibilità di “esplosione” delle potenzialità insite in tale lavoro.

L’esperienza di ricerca-azione del liceo Azuni ha portato nell’anno scolastico alla produzione di una certificazione di fine anno, quale esito finale di un’attività preliminare di ricerca già raccolta e pubblicata in volume[2].

La particolarità di tale Progetto sta nell’ulteriore acquisizione della certificazione di conformità, da parte di ente terzo accreditato, del processo di gestione del sistema di certificazione delle competenze.

Una competenza può realmente essere certificata, solo se declinata in dimensioni, ciascuna delle quali ha un peso rispetto alle altre della stessa competenza, dei criteri e degli indicatori, dei livelli e delle “àncore” (esemplificazioni).

Un’attività didattica che non sia strutturata per competenze è di fatto completamente inutile per il lavoro del “docente certificatore”[3], tanto quanto per la corretta individuazione delle effettive competenze acquisite dall’allievo alla fine del percorso.

Le competenze ed il quadro normativo europeo ed italiano

Le competenze del primo biennio della secondaria definiscono il 2° livello del quadro europeo delle qualifiche e sono il fondamento per giungere, con il conseguimento del diploma liceale, al 4° degli 8 livelli dell’EQF. Le competenze di base degli assi culturali sono acquisite con riferimento alle competenze chiave di cittadinanza di cui all’allegato 2 del Decreto MIUR 139/2007, ma solo recentemente[4] si è prodotta una cornice ben precisa di referenziazione rispetto alle definizioni dei descrittori di “competence”.

Nella Raccomandazione 2008/C 111/01/CE del Parlamento Europeo del 23 aprile 2008 all’Allegato I e II, si precisano rispettivamente le definizioni di termini altrimenti suscettibili di eccesso interpretativo (es. competenza) e i risultati di apprendimento dei seguenti livelli:

  1. 2 EQF (conoscenza pratica di base in un ambito di lavoro o di studio)
  2. 4 EQF (conoscenza pratica e teorica in ampi contesti in un ambito di lavoro e di studio).

Secondo il quadro sinottico di referenziazione delle qualificazioni pubbliche nazionali, il 2° livello EQF è così definito come «lavoro o studio sotta la supervisione con un certo grado di autonomia» (contesto di lavoro o studio determinato e strutturato), mentre il 4° come «sapersi gestire autonomamente, nel quadro di istruzioni in un contesto di lavoro o di studio, di solito prevedibili, ma soggetti a cambiamenti. Sorvegliare il lavoro di routine di altri, assumendo una certa responsabilità per la valutazione e il miglioramento di attività lavorative o di studio» (contesto di lavoro o studio prevedibile, ma soggetto a cambiamenti). L’obiettivo, in definitiva, è il Profilo educativo, culturale e professionale dello studente (PECUP), così come declinato ad esempio per i percorsi liceali dal DPR 89/2010 con riferimento al descrittore del livello 4° EQF.

La storia della progressiva costruzione dell’EQF (European Qualification Framework) ha il suo punto di partenza nel Consiglio europeo di Lisbona (marzo 2000), la cosiddetta strategia di Lisbona, e si è tradotto in Italia nel Primo rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al quadro europeo EQF (giugno 2012), che riassume nel seguente modo il percorso compiuto nell’arco di un decennio:

«Per la definizione di un “approccio comune per il trasferimento dei risultati dell’apprendimento” si comincia a lavorare dal 2002, con la prima Proposta della Commissione europea su un sistema di trasferimento di crediti per l’istruzione e la formazione professionale (ECVET). L’ECVET, ispirato all’impianto ECTS (European credit transfer system) già in uso in ambito accademico (HE), deve consentire il trasferimento e la capitalizzazione dei risultati dell’apprendimento in caso di transizione da un contesto di apprendimento ad un altro o di passaggi fra sistemi VET diversi. Il processo di costruzione del sistema ECVET si consolida con la Raccomandazione del 18 giugno 2009. Dal 2009, con modalità diversificate tra Paesi, si sta operando per l’implementazione del Sistema ECVET, sia sul fronte della mobilità geografica degli studenti, sia sul fronte del riconoscimento di competenze (attraverso la struttura tecnica dell’Unità di LOs) dei lavoratori. In vista dell’obiettivo di realizzare un “codice di riferimento comune per i sistemi di istruzione e formazione”, obiettivo ampio e inclusivo di tutti gli altri finora descritti, viene istituito il Quadro europeo EQF (Raccomandazione 2008).

È già nel marzo 2005 che viene promossa e poi avviata una consultazione tra gli Stati membri, per valutare la prospettiva di istituzione del Quadro europeo EQF e riflettere sul possibile impatto sui vari sistemi nazionali di una meta-struttura di referenziazione delle diverse qualification nazionali. Sulla base delle conclusioni del processo di consultazione, il 5 settembre 2006 è stata poi presentata dalla Commissione una Proposta di Raccomandazione sulla realizzazione dell’EQF, per poi arrivare alla definitiva Raccomandazione dell’aprile 2008.

EQF, coerentemente con l’EHEA Framework of qualifications of the European Higher Education (adottato a Bergen nel maggio del 2005 nel solo contesto dell’Istruzione superiore) è la risposta, traversale a tutti i sistemi, messa a punto in Europa per:

  • semplificare la comunicazione fra gli attori coinvolti nei processi di istruzione e formazione dei diversi Paesi e all’interno di ciascun Paese;
  • permettere la traduzione, il posizionamento e il confronto tra differenti esiti dell’apprendimento, consentendo il trasferimento e la spendibilità di titoli, qualifiche e competenze anche al di fuori del Paese in cui sono stati conseguiti;
  • facilitare il matching tra i bisogni espressi dal mercato del lavoro e le opportunità di istruzione e formazione offerte nei diversi Paesi;
  • sostenere i processi di validazione dell’apprendimento non formale e informale;
  • fungere da riferimento comune per la qualità e lo sviluppo di istruzione e formazione;
  • contribuire allo sviluppo di qualifiche a livello settoriale;
  • stimolare e guidare riforme e sviluppo di nuove strutture nazionali di Qualificazione (MLPS, MIUR, ISFOL, 2012, 4-5)»

Il rapporto di referenziazione parte dall’assunto, già stabilito con la Raccomandazione 2008/C 111/01/CE del Parlamento Europeo del 23 aprile 2008 all’Allegato I e II, che competenza sia la:

«comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia (Allegato I).»

La Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio 2006/962/CE del 18 dicembre 2006 (Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 30.12.2006, L. 394/10-18), stabilisce le competenze chiave UE per l’apprendimento permanente:

  1. comunicazione nella madre lingua;
  2. comunicazione nelle lingue straniere;
  3. competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia;
  4. competenza digitale;
  5. imparare ad imparare;
  6. competenze sociali e civiche;
  7. spirito d’iniziativa e imprenditorialità;
  8. consapevolezza ed espressione culturale.

Le competenze di base degli assi culturali (DM 9 27 gennaio 2010) sono acquisite con riferimento alle competenze chiave di cittadinanza di cui all’allegato 2 del Decreto MIUR 139/2007, che si ispirano al precedente elenco, pur con evidenti scostamenti:

  1. Imparare a imparare
  2. Progettare
  3. collaborare e partecipare,
  4. comunicare,
  5. agire in modo autonomo e responsabile,
  6. individuare collegamenti e relazioni,
  7. risolvere problemi,
  8. acquisire e interpretare l’informazione.

La certificazione delle competenze di base del primo biennio del 2° ciclo

Nel riquadro che segue riportiamo il modello di certificato all’allegato del DM 9 del 27 gennaio 2010.

Schermata 2012-10-29 a 10.42.32Schermata 2012-10-29 a 10.42.45

Un’esemplificazione della trasversalità delle competenze: l’italiano e gli altri assi

Alla luce del modello si può procedere ad un’esemplificazione della trasversalità delle competenze, scegliendo di privilegiare uno dei percorsi possibili, che si vengono a creare partendo da un asse o sotto asse, che attraversa le competenze nel loro insieme. Nell’esempio che andiamo a sviluppare prenderemo come punto di partenza l’italiano.

La trasversalità delle competenze può essere intesa in questo senso come la rappresentazione di un asse o sotto asse[5] del certificato, nel momento in cui si pone in relazione ciascuna competenza con le altre interne all’asse ed esterne ad esse (altri assi o sotto assi), costituendo così incroci di trasversalità.

Esemplificando tale procedura nell’italiano, si possono sostanzialmente individuare quattro aree di trasversalità. Le prime due interne allo specifico linguistico e letterario dell’asse dei linguaggi e le altre due da intendersi come incroci trasversali con gli altri assi, in coerenza con le competenze chiave di cittadinanza (es. problem solving = competenza 3 dell’asse matematico). La sintesi che segue è una rielaborazione sintetica e parziale delle rubriche valutative elaborate dal Liceo Azuni[6].

1. Area

Asse dei linguaggi: lingua italiana

  • competenza 1 – espressione ed argomentazione nell’interazione comunicativa
    • dimensione 1: sintassi / morfologia / lessico / linguaggio specifico / registro linguistico
    • dimensione 2: ascolto / comprensione ed elaborazione messaggio
    • competenza 2 – leggere, comprendere, interpretare
      • dimensione 1: analisi frase e periodo / campi semantici / denotazione e connotazione / nuclei tematici / sintesi / riassunto / parafrasi /commento / individuazione e selezione informazioni / comprensione globale
      • dimensione 2: collegamenti storici culturali / contestualizzazione / relazioni autore-testo testo-destinatario
      • competenza 3 – produzione scritta
        • dimensione 1: espressione scritta (livello morfosintattico)
        • dimensione 2: espressione scritta (livello lessicale e di registro stilistico)
        • dimensione 3: selezione concetti fondamentali / concettualizzazione e suo sviluppo
        • dimensione 4: rispetto consegne tipologie testuali

2. Area L’italiano e gli altri linguaggi (letterari, artistici, multimediali)

Asse dei linguaggi: Altri linguaggi

  • competenza 1 – strumenti per una fruizione consapevole del patrimonio letterario ed artistico
    • dimensione 1: sensibilità storico-letteraria,
    • dimensione 2: sensibilità stilistica e di contestualizzazione per generi ecc. / retorica / confronto fra testi ed autori / competenza linguistica disciplinare / senso critico
    • dimensione 3: valorizzazione culturale del testo rispetto al contesto / fruizione di strumenti ed istituzioni culturali territoriali (es. biblioteca) / senso del valore anche materiale del testo e della sua conservazione e trasmissione
    • competenza 2 – utilizzo e produzione di testi multimediali
      • dimensione 1: comprensione dei linguaggi multimediali
      • dimensione 2: consultazione strumenti multimediali e risorse web
      • dimensione 3: produzione testi multimediali

3. Area: L’italiano e gli incroci con l’asse matematico e con l’asse scientifico-tecnologico

Asse matematico

  • competenza 3 – strategie di problem solving
    • dimensione 1: selezione elementi fondamentali di un problema e loro relazioni / organizzazione dati
    • dimensione 2: divisione di un problema in sotto problemi / strategie di risoluzione
    • dimensione 3: esplicitazione passaggi logici e giustificazione scelte / congruenza tra problema e soluzione

Asse scientifico-tecnologico

  • competenza 3 – osservazione, descrizione, concetti di sistema e complessità
    • dimensione 1: utilizzo TIC / attendibilità fonti
    • dimensione 2: produzione ed elaborazione attraverso le TIC
    • dimensione 3: valorizzazione dei processi tecnologici come strumento di conoscenza ed organizzazione

4. Area: l’italiano e gli incroci con l’asse storico sociale

Asse storico-sociale

  • competenza 1 – comprensione del cambiamento: dimensione diacronica e sincronica
    • dimensione 1: connessioni spazio-temporali / decodifica di rappresentazioni spazio-temporali
    • dimensione 2: relazioni tra eventi, fenomeni e realtà / uso di fonti / individuazione di analogie e differenze / logica delle cause e degli effetti
    • competenza 2 – esperienza personale e sistema di regole, diritti (persona, collettività, ambiente)
      • dimensione 1: esprimere il proprio punto di vista (tesi) e comprendere quello altrui / lavoro di gruppo
      • dimensione 2: prospettiva politica, economica e sociale / riconoscimento valori e diritti
      • competenza 3 – sistema socio-economico e capacità di orientamento
        • dimensione 1: sensibilità nel contestualizzare le conoscenze rispetto alla propria esperienza ed al contesto di riferimento
        • dimensione 2: approccio geo-storico nella riflessione culturale

Se si procede allo sviluppo delle dimensioni, attraverso una declinazione degli indicatori ad esse riferibili, si può bene visualizzare le trasversalità dell’italiano nel biennio come dallo schema che elaboriamo:

Schermata 2012-10-29 a 10.31.40Schermata 2012-10-29 a 10.31.48Schermata 2012-10-29 a 10.31.59Schermata 2012-10-29 a 10.32.06Schermata 2012-10-29 a 10.32.18Schermata 2012-10-29 a 10.32.29Schermata 2012-10-29 a 10.32.41Schermata 2012-10-29 a 10.32.48


La rappresentazione consente di generare una varietà di incroci notevole. Seguiamone uno, quello multimediale-tecnologico: il sotto asse degli altri linguaggi è un grande contenitore, che può essere ampiamente considerato dalla prospettiva dell’italiano (lingua italiana), come necessario complemento della progettazione di attività di studio del testo letterario (fruizione consapevole del patrimonio), senza escludere quella seconda competenza (utilizzare e produrre testi multimediali), che così diventa trasversale, rispondendo così direttamente alla competenza digitale UE che però non risulta esplicitata nel dettato italiano delle competenze chiave di cittadinanza. Il certificato delle competenze di base però, richiamando in nota il quadro europeo, permette di interpretare nel “comunicare” e nel “problem solving” del quadro italiano l’implicito riferimento alle competenze digitali.

D’altronde, nel momento in cui un docente di italiano sollecita gli studenti a realizzare artefatti cognitivi multimediali, si trova a collaborare trasversalmente con altri docenti nel definire la competenza trasversale multimediale-tecnologica.

Questa competenza trova una sua ulteriore specificazione nella terza area con le strategie matematiche di problem solving e con l’asse scientifico-tecnologico, che si sviluppa nella terza area, quando la consapevolezza dei limiti e delle potenzialità della tecnologia si declina in conoscenze ed abilità che consentono l’effettiva costruzione di tale consapevolezza.

Nella quarta area, ad esempio, la decodifica di rappresentazioni spazio-temporali, l’uso di fonti, gli strumenti personali di comprensione del reale, insieme a quelli conoscitivi, socio-culturali ed economici di orientamento del sé rispetto al contesto sono convergenti anche con l’applicazione di una competenza multimediale-tecnologica, che si sviluppa nel complesso della certificazione come trasversalità complementare ed integrativa.

La breve esemplificazione consente così di riflettere, in definitiva, su quello che dovrebbe essere un ripensamento del concetto di competenza e sulle sue modalità di accertamento[7].

Spunti teorici per l’analisi dei processi culturali e comunicativi della certificazione scolastica

Competenza è termine la cui formazione linguistica, verbo più suffisso in “-enza”, è significativa. Almeno come definizione essenziale e preliminare dovrebbe essere ampiamente condivisile e non soggetta a particolari dubbi interpretativi – quali invece sorgono dal momento in cui le connotazioni di questo sostantivo astratto si prestano a declinazioni teoriche le più varie.

Partire dal grado zero della parola, quello della determinazione data dal suffisso, permette di attribuire un primo livello che prescinde dai significati del verbo da cui è composta. Il suffisso in “-enza”, pur con tutte le irrilevanti differenze osservabili in altre lingue europee, di fatto indica un agire visto nella sua fase finale: una condizione, uno stato, qualcosa di acquisito. In questo senso, quale che sia il dibattito sul verbo “competere”, resta indubbio che il suo declinarsi alla formazione del sostantivo astratto fa sì che la condizione che esso significa è vista come punto di arrivo.

La sociologia della scienza, nella prospettiva teorica rappresentata da Bruno Latour [8], ha suggerito di osservare i fenomeni dati come acquisiti (le verità scientifiche) anche dall’altra parte della medaglia, quella coperta, dove la verità è il prodotto sociale di prove, errori e ripensamenti.

La scatola nera (boîte noire) della scienza, nel suo farsi all’interno di laboratori e centri di ricerca, è come il retroscena di cui ci parla Goffman[9] nelle interazioni microsociologiche della vita quotidiana, in cui i soggetti si trovano a “rappresentare” una propria parte, una ribalta, nelle diverse definizioni o cornici (frames) delle situazioni relazionali e comunicative[10]. Dietro ciascuna ribalta vi è un retroscena; nella scuola, per esemplificazione, può essere quella dell’aula professori dove il docente dice e fa cose che sono retroscena della situazione di classe oppure quella degli allievi che parlano dei docenti prima che essi entrino nell’aula.

La metafora teatrale aiuta a comprendere bene anche il problema della competenza, che si costruisce attraverso un insieme di processi. Scatola nera o retroscena nel laboratorio o durante le prove per uno spettacolo teatrale o il “dietro le quinte” della vita scolastica: la situazione, per quanto diversa, non cambia.

L’assunto metodologico è che nell’industria delle competenze (un fare dentro, di nascosto) spesso non si accede veramente, se non con approcci etnometodologici o progetti che mirino all’autoriflessione sul fare scuola e/o formazione, per pervenire al dato della competenza. L’autovalutazione o la valutazione esterna, quando si limita a registrare dati di fatto e procedure, ben poco può contribuire ad una visione completa di qualche utilità.

Latour [11]propone l’immagine del Giano bifronte per esemplificare la distinzione tra la scienza nel suo farsi in laboratorio o sul terreno (prima faccia: la scatola nera) e il suo rivelarsi all’opinione pubblica solo nel momento in cui la “scoperta” è certa, comunicata come obiettivo raggiunto e che, nell’ambito tecnologico in particolare, si traduce nella presa d’atto che la macchina funziona davvero (seconda faccia).

Il problema delle competenze prima che essere teorico è dunque preliminare e di metodo.

Quando si parla di competenza s’intende la prima o la seconda faccia? Oppure, e non è raro, le si confonde? Una terza via, quella proposta da questo contributo, consiste nel considerare il fenomeno complesso delle competenze trasversali, proponendo una progressiva esplicazione dei passaggi che lo definiscono ed un’ipotesi di competenza, che si traduca in una visione complessiva capace di tenere insieme l’una e l’altra faccia del concetto.

Se la competenza è un obiettivo raggiunto, occorre distinguere con cura la processualità culturale e sociale che la definisce come costruzione, non esente peraltro da alcune insidie o difficoltà o incertezze che si incontrano nel percorso quando si mette mano al quadro di riferimento normativo fin qui prodotto al livello europeo ed italiano.

Il percorso di analisi dovrebbe dunque prevedere la seguente articolazione:

  1. definizione dell’obiettivo e competenza;
  2. modalità, strumenti e forme di costruzione progressiva di ciò che infine si rivelerà competenza;
  3. forme di monitoraggio in itinere dei molteplici processi comunicativi e culturali attivati nel sistema d’insieme e nel quadro di riferimento che lo esprime e giustifica;
  4. certificazione della qualifica raggiunta e livelli di competenza ad essa corrispondenti.

Il cammino verso le competenze, “nel mezzo” della loro costruzione, non vuole essere una mera allusione dantesca. Che cosa c’è in mezzo tra una faccia e l’altra è domanda che non dovrebbe escludere il ruolo rappresentato da quel “mezzo”, non solo inteso come tramite, ma mediazione materiale e simbolica del messaggio che si vuole trasmettere[12].

Un esempio può chiarire la differenza di approccio: nella diffusione della LIM (lavagna interattiva multimediale), che si sta imponendo in una certa misura nelle politiche scolastiche sulla didattica, chi vede il mezzo come tramite lo vive da un punto di vista puramente strumentale per raggiungere un obiettivo didattico di contenuto; chi invece lo vede come attore di processo, punta lo sguardo sull’attore in quanto parte integrante sostanziale del messaggio e dunque del fatto che la costruzione socio-culturale di una competenza non può essere realmente registrata e misurabile, senza tenere conto di ciò che ne è parte integrante: i microprocessi formativi delle competenze in azione con attori non solo umani, ma anche non-umani ovvero le tecnologie utilizzate. Una scuola digitale cambia la formazione nella misura in cui si verifica all’interno dell’organizzazione scolastica un’effettiva e concreta operazione di ripensamento della formazione d’aula verso un’idea di didattica aperta[13] ed integrata in competenze trasversali. Così come peraltro è già emerso anche al livello di alta formazione nel parlare di «università delle reti»[14].

La sociologia delle pratiche lavorative[15] ha messo in luce la natura relazionale dell’infrastruttura tecnologica ed il fatto che essa spesso definisca l’ambiente di lavoro. Inoltre la ricerca su contesti in cui è intensa l’interazione uomo–macchina (ad esempio agenzie di stampa come l’ANSA) ha proposto addirittura la metafora un po’ estrema del cyborg, per rappresentare il desk di lavoro come un luogo virtuale e l’infrastruttura come «i non-umani che lavorano lo stesso»[16]: i giornalisti sarebbero dei cyborg (integrazione uomo e non umano) e la conoscenza collettiva indispensabile richiede l’uso di una stessa lingua sia sul piano organizzativo che produttivo.

Sono infatti due i processi fondamentali, che richiedono una forte condivisione di ciò che la lingua significa nel contesto di lavoro: 1) l’organizzazione dei “testi”: nel caso della scuola da intendersi nel senso più ampio possibile (dalla lezione alla sua rappresentazione, fino al linguaggio comunemente condiviso o auspicalmente condivisibile tra i soggetti); 2) organizzazione della produzione, che in ambito scolastico dovrebbe appunto tradursi in produzione di competenze come fase finale di un processo organizzativo complessivo e progressivo. Parole chiave come “connettività” e “circolarità” riassumono bene quella “conoscenza delle regole del gioco”[17] che si incontrano nello studio delle pratiche lavorative, siano esse di una redazione giornalistica o di un contesto d’aula scolastica.

L’ambiente scuola è in questo senso piuttosto complesso da osservare, vista la peculiare natura relazionale del rapporto asimmetrico docenti e studenti, nonché il sistema di interazioni tra territorio e famiglie.

Un approccio sociologico e mediologico all’analisi delle competenze deve partire dunque dalla definizione linguistica-comunicativa di competenza, da una tabula rasa teorica, che favorisca una riflessione libera su che cosa concretamente significhi comunicare il senso del “competere”. Solo in seconda battuta la prospettiva teorica, ricchissima di spunti e suggestioni[18] può aiutare a complessificare il concetto, alla luce anche di ciò che, negli allegati della Raccomandazione 2008/C 111/01/CE del Parlamento Europeo costituisce un punto di riferimento imprescindibile terminologico (competenza, risultati di apprendimento, livelli raggiunti).

Alla base del presente contributo c’è l’analisi del progetto “La scuola che vorrei”.

Si tratta di un lavoro che è stato svolto nel corso dell’anno scolastico 2011-12 e che ha prodotto risultati tanto più interessanti, se si considera che l’arco temporale durante il quale esso si è sviluppato non è particolarmente ampio (dall’8 febbraio 2012 al 15 giugno 2012). I docenti coinvolti (58 ovvero più della metà dell’intero corpo insegnanti) sono stati impegnati nella realizzazione di rubriche valutative per la certificazione delle competenze di base acquisiste nell’assolvimento dell’obbligo di istruzione e con la progettazione e sperimentazione di prove congruenti con la certificazione.

Il senso di “competenza” in azione, vale a dire del “competere” nel suo farsi e poi nel suo tradursi in valutazione per livelli e in certificazione conclusiva, è emerso dal progetto suddetto, dove si è intesa infatti per competenza un macro processo formativo ed auto formativo, prima elaborato come costruzione di senso, sensemaking, da parte dei docenti[19] e poi testato e condiviso con gli alunni in diverse sperimentazioni di prove per competenze, dove è risultata bene evidente l’idea che le competenze siano innanzitutto delle costruzioni sociali, piuttosto che dei fatti dati per acquisiti ed obiettivamente definibili a priori rispetto al contesto[20].

Inoltre, occorre rilevare come l’idea di un docente certificatore, rispetto ai modelli già proposti dalla sociologia della scuola e della formazione (magister, pedagogo, animatore)[21], vada costituendo un nuovo profilo dell’insegnante; mentre le figure organizzative emergenti (coordinatori di dipartimenti, collaboratori del dirigente scolastico, funzioni strumentali), restano deboli nell’organizzazione del complesso sistema di certificazione delle competenze, in mancanza di un spirito collaborativo ampiamente condiviso al livello collegiale[22].

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Normativa essenziale

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MIUR Allegato DM 9 27 gennaio 2010

MIUR DM 9 27 gennaio 2010

MLPS, MIUR, ISFOL, 2012, Primo rapporto di referenziazione delle qualificazioni al quadro europeo EQF [Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, MIUR, Dipartimento delle Politiche Sociali, ISFOL] – Dati – testuali elettronici [S.I. s.n.], 2012 (http://www.isfol.it/news/rapporto-nazionale-di-referenziazione-ad-eqf)

Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio (Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 30.12.2006, L. 394/10-18) del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente 2006/962/CE

Raccomandazione UE 2008/C 111/01/CE del Parlamento Europeo del 23 aprile 2008 all’Allegato I e II

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  1. Cfr. M. Castoldi, Valutare le competenze, Roma, Carocci, 2009.
  2. F. Di Pietro (a cura di), La scuola delle qualità, “I Quaderni dell’Azuni”, Edes, Sassari, 2012.
  3. Ivi., pp. 20-24.
  4. Primo rapporto di referenziazione delle qualificazioni al quadro europeo EQF (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, MIUR, Dipartimento delle Politiche Sociali, ISFOL) – Dati – testuali elettronici (S.I. s.n.), 2012. In particolare si vedano le seguenti pagine: 14, 80s., 85, 94, 121s (http://www.isfol.it/news/rapporto-nazionale-di-referenziazione-ad-eqf).
  5. L’asse dei linguaggi è l’unico ad articolarsi nel certificato in 3 sotto assi: lingua italiana; lingua straniera; altri linguaggi.
  6. F. Di Pietro, op. cit., pp. 65-99.
  7. Cfr. B. Rey, Ripensare le competenze trasversali, Milano, Franco Angeli, 2012.
  8. Cfr. B. Latour, La scienza in azione, Torino, Einaudi, 1998.
  9. Cfr. E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, 1969.
  10. Id., Frame analysis. L’organizzazione dell’esperienza, Armando, Roma, 2001.
  11. B. Latour, op. cit.
  12. Cfr. R. Debray, Introduction à la médiologie, Paris, PUF, 2000; Id., Cours de médiologie générale, Paris, Gallimard, 1991.
  13. Cfr. P. Ferri, La scuola digitale. Come le nuove tecnologie cambiano la formazione, Milano, Bruno Mondadori, 2008; R. Maragliano (a cura di), Pedagogie dell’e-learning, Laterza, Roma-Bari, 2005; R. Orazi, Il contributo delle nuove tecnologie nella didattica: e-learning, Perugia, Morlacchi Editore, 2004; A. Sasso, S. Toselli, La scuola nella società della conoscenza. Formazione, tecnologie, informazione, modelli di vita, Milano, Bruno Mondadori, 1999 (Atti del Convegno Nazionale promosso dal CIDI e dalle Edizioni Bruno Mondadori a Palermo il 13-14-15 marzo 1997).
  14. Cfr. G. Ragone, A. Ceccherelli, E. Ilardi, L’università delle reti, in «Scuola Democratica»– n. 3 nuova serie, Milano, Guerini e Associati, 2012, pp. 91-114.
  15. Cfr. A. Bruni, S. Gherardi, Studiare le pratiche lavorative, Bologna, Il Mulino, 2007; A. Strati, L’analisi organizzativa, Bologna, Il Mulino, 2004.
  16. B. Czarniawska, Ansa. Analisi etnografica di un’agenzia di stampa, Roma, Carocci, 2009, p. 31.
  17. Ivi, p. 101.
  18. Cfr. M. Castoldi, op. cit; A. Cavalli, A. Argentin (a cura di), Gli insegnanti italiani: come cambia il modo di fare scuola. Terza indagine dell’Istituto IARD sulle condizioni di vita e di lavoro nella scuola italiana, Bologna, Il Mulino, 2011.
  19. Cfr. K. E. Weick, Senso e significato nell’organizzazione, Milano, Cortina, 1997.
  20. Cfr. D. Jonassen, «Objectivism versus constructivism: Do we need a new philosophical paradigm?», in Classic Writings on Instructional Technology (a cura di D.P. Ely e T. Plomp), Englewood, Libraries Unlimited, 2001 pp. 53-65.
  21. Cfr. L. Fischer, 2011, «L’immagine della professione di insegnante», in Gli insegnanti italiani: come cambia il modo di fare scuola. Terza indagine dell’Istituto IARD sulle condizioni di vita e di lavoro nella scuola italiana (a cura di A. Cavalli e A. Argentin), Bologna, Il Mulino, 2011; Id., Lineamenti di sociologia della scuola, Bologna, Il Mulino, 2007.
  22. L. Fischer, M.G. Fischer, M. Masuelli, Le figure organizzative emergenti fra gli insegnanti della scuola italiana, Torino, L’Harmattan Italia, 2006.