Numero 13/14 - 2017

  • Numero 7/8 - 2013
  • Politics

Il pensiero di Tsunesaburo Makiguchi: una pedagogia dei valori per la cura dell’ambiente e per una cultura di pace

by Rossana Pensabene

Abstract

Questo articolo ha lo scopo di illustrare il pensiero rivoluzionario del pedagogista giapponese Tsunesaburo Makiguchi, ancora poco conosciuto nel mondo occidentale e di evidenziarne la  straordinaria attualità nel momento storico attuale in cui la scuola attraversa una globale crisi di senso. Autore di tre libri, Makiguchi elabora il proprio sistema pedagogico proponendo una riforma del soggetto conoscente, rivedendo le relazioni tra soggetto e oggetto e ricontestualizzando la conoscenza, per permettere all’individuo di far emergere il proprio potenziale in vista della realizzazione dell’interesse collettivo. Il prevalere del valore sulla verità, la felicità come fine dell’educazione, la proposta di “rivoluzione umana” intesa come processo di  trasformazione della propria vita, che inevitabilmente finisce per cambiare anche la società, sono caratteristiche del pensiero buddista, che possono essere trovate nel  pensiero pedagogico di Makiguchi.

This article aims to illustrate the revolutionary thought of Japanese educationalist Tsunesaburo Makiguchi – still not very popular in western countries – and to highlight how extraordinarily modern and topical it still is nowadays as school is experiencing a global crisis. Author of three books Makiguchi, elaborated his pedagogical system proposing a true reform of knowing subjects, reviewing the relation between subject and object, and recontextualising knowledge, so as to enable individuals to develop their own potential in view of collective interest fulfillment. Value prevailing over truth; happiness as the goal of education; the proposal of “human revolution” as a process of transformation of own life, which unavoidably ends up changing the society, too – they are all fundamental features of Buddhist philosophy, which also can be found in the  Makiguchi’s educational thought.

Frammenti di vita

Insegnante, pedagogista, riformatore religioso e filosofo dell’educazione, Makiguchi visse tra il  1871 e il 1944, nel periodo compreso tra la rivoluzione Meiji, in cui il Giappone si trasformava da paese agricolo a potenza industriale, e il periodo dell’espansionismo nel continente asiatico, culminato nell’escalation del nazionalismo militarista giapponese. Il sogno era di creare una Grande Asia all’interno della quale il Giappone avrebbe ricoperto un ruolo di primo piano sia dal punto di vista militare, che culturale. La Germania di Hitler e l’Italia fascista condivisero tale progetto e stipularono il famigerato Patto Tripartito. Il Giappone dell’epoca dette molta importanza all’educazione, improntata al confucianesimo, promuovendo una rapida scolarizzazione di tutta la popolazione, che già nel 1910 aveva raggiunto quasi il 100% dei giovani[1]. La scuola offriva la base più solida per radicare l’idea di nazionalismo nelle giovani generazioni, forgiando quindi dei bravi sudditi e promuovendo il consenso e l’obbedienza.

Il suo metodo educativo profondamente umanistico, elaborato nei lunghi anni di lavoro come  insegnante e direttore di scuola, il forte accento posto sulla necessità dell’allievo di sviluppare il proprio potenziale in maniera autonoma, misero Makiguchi contro l’autoritaria educazione del Giappone dell’epoca. A causa della sua audace e coraggiosa opposizione al militarismo, che aveva negato alle persone libertà di coscienza e di religione, proprio agli albori della seconda guerra mondiale, venne arrestato e morì in carcere nel 1944[2].

La vera preoccupazione di Makiguchi in tutta la sua vita fu sempre rivolta alla persona umana e ai suoi diritti naturali.

Una società deve essere attenta al benessere e alle necessità di ogni bambino: se dovesse semplicemente preoccuparsi di trarre profitto da coloro che educa, il risultato sarebbe disastroso per l’una e per gli altri. Essa quindi deve definire gli scopi dell’educazione in accordo con le esigenze e gli obiettivi dell’individuo in modo da non usare i giovani come strumenti per raggiungere i propri fini e viceversa. Sia i giovani che la società devono riconoscere la reciproca ragione di esistere[3].

La lontananza del Giappone dal resto del mondo aveva fatto nascere nelle persone un interesse per lo studio della geografia.  Il fascino per mondi lontani e sconosciuti, il legame delle persone con la terra di origine e l’influenza del territorio, furono il punto di partenza degli studi di Makiguchi, che nel 1903 culminarono nella pubblicazione dell’opera dal titolo Jinsei Chirigaru ovvero La geografia della vita umana. In questo libro, che fu un successo editoriale, sono già presenti gli aspetti salienti del suo pensiero pedagogico, che verranno sviluppati in seguito. Makiguchi non scrisse un manuale di geografia, bensì seppe riconoscere a questa disciplina la capacità di  fungere da punto di intersezione di tutte le materie del ciclo scolastico elementare.

Nel suo sentire la geografia principalmente si occupa delle relazioni complesse tra il territorio e gli individui che lo abitano.

La relazione fra gli esseri umani e la terra è molto complessa, ma non è qualcosa di distante dalla vita quotidiana. Più esattamente la relazione persona/pianeta è inserita in tutto quello che facciamo e riguarda tutti gli aspetti della nostra esperienza. Nei tempi moderni i maggiori problemi sorgono dalle azioni umane, perché siamo negligenti in questa relazione. Ammettendo questa complessità, possiamo riuscire a capire la nostra relazione col pianeta, portandola ad una più attenta consapevolezza. Seguendo i metodi razionali di ricerca scientifica io propongo di iniziare con l’osservazione dei fatti di mutua esistenza[4].

Il Giappone si stava preparando alla guerra contro la Russia. In quel periodo il clima generale era molto teso e lo Stato, da parte sua, cercava sempre più di inculcare nella popolazione l’entusiasmo per la guerra. Makiguchi, al contrario, nel suo libro promuoveva una cittadinanza globale che, affondando le proprie radici nella comunità locale, cercava di neutralizzare l’atteggiamento dilagante di esaltato nazionalismo.

Per aver più volte manifestato una profonda avversione nei riguardi di favoritismi e privilegi  riservati agli strati più alti della società giapponese, Makiguchi  venne ripetutamente  sospeso dal suo incarico, fino a quando non poté più esercitare la sua professione. Sopraffatto e abbattuto dalle difficoltà, si convertì nel 1929 al buddismo di Nichiren Daishonin. I principi buddisti gli fornivano le linee guida attraverso cui collegare le idee pedagogiche elaborate in quasi trent’anni d’insegnamento e soprattutto gli offrivano una nuova prospettiva per affrontare un problema su cui investigava da circa dieci anni: la discussione sul “valore” nel sistema filosofico classico occidentale[5].

Alcuni anni dopo la sua conversione al buddismo, Makiguchi stilò lo statuto che sanciva la nascita della Soka Kyoiku Gakkai, la Società per la creazione di valore[6]. Inizialmente lo scopo di questa associazione era quello di continuare le ricerche in campo pedagogico e promuovere la riforma del sistema educativo nazionale; solo successivamente essa divenne una vera e propria organizzazione di seguaci del Buddismo di Nichiren Daishonin. In questo periodo  la riflessione che Makiguchi aveva fatto sul valore, supportata dalla teoria buddista, sfociò nella pubblicazione di un altro libro La filosofia del valore, che poneva a confronto la sua teoria del valore  con quella della filosofia occidentale[7].

Leggendo con attenzione gli scritti di Makiguchi si possono riscontrare citazioni di scrittori giapponesi e soprattutto stranieri, alle cui idee egli faceva riferimento nel corso della stesura di tutti i suoi libri. A trapelare, in particolare, è l’influenza delle moderne discipline sociologiche. La proposta pedagogica di Makiguchi centrata sulla realizzazione dell’individuo e sulla felicità, evidenzia molte  similitudini  con il pensiero di Dewey. Entrambi vissero nello stesso periodo, affrontando problemi simili, pur abitando in due paesi diversi. Entrambi si ispirarono  a riformatori della pedagogia europea quali appunto Comenio, Rousseau, Pestalozzi, Herbart. Entrambi si dovettero confrontare con i loro contemporanei, e con le problematiche intellettuali dell’ottocento sulla natura della scienza e l’evoluzione e la loro relazione con la vita degli esseri umani. Entrambi andarono a caccia di un ordine costitutivo, di uno scopo, di un senso teleologico che andasse al di là dell’ordine materiale delle cose[8].

Idee di base sull’educazione

Da quanto detto finora, si evince come gli aspetti fondamentali del pensiero di Makiguchi siano sostanzialmente tre: educazione, valore, felicità. Si tratta di aspetti intimamente correlati, ma per ragioni di maggiore chiarezza verranno esaminati individualmente.

Il pensiero pedagogico di Makiguchi si esprime fondamentalmente nella sua opera Il sistema pedagogico della creazione di valore, che è frutto di una riflessione teorica sulla sua esperienza pratica di quasi trent’anni  in cui fu  maestro e direttore di scuola. Il libro è strutturato in quattro volumi pubblicati tra il 1930 e il 1934, anni cruciali nella storia del Giappone. La legge educativa del 1872 che aveva definito, nella sua prefazione, una filosofia educativa secondo la quale le persone avrebbero ricevuto un’educazione non per il bene dello Stato, ma per il proprio sviluppo, fu spazzata via dalla nascita del nazionalismo, che pose sempre più l’educazione al servizio degli interessi dello Stato. Nel 1925 si arrivò a inserire l’addestramento militare nelle scuole, attraverso il quale si iniziò la militarizzazione dell’educazione scolastica. Questa pratica si cristallizzò nel Decreto Imperiale sull’Educazione, che costituì la base ideologica dell’educazione giapponese, fino alla sua sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. L’ideologia del decreto, basata sul patriottismo, manifestato nella totale lealtà verso l’imperatore, poneva l’individuo al totale servizio dello Stato, centro della nazione. Tutta l’educazione, nei suoi obiettivi e nella pratica, era volta a produrre individui che non dubitassero nel sacrificare la vita per la propria patria[9], ideale questo manifestato, in forma tragica, dai kamikaze giapponesi.

Conoscendo questo scenario possiamo apprezzare la proposta di Makiguchi, assolutamente  rivoluzionaria: il centro erano le persone e non lo Stato, né l’imperatore, che egli vedeva come una persona comune.

Makiguchi identificava l’obiettivo fondamentale dell’educazione con quello della vita: la felicità.

Altri autori avevano collegato l’educazione alla felicità: Stuart Mill, che considerava come obiettivo dell’educazione la felicità propria e altrui; Spencer, che attribuiva  all’educazione il compito di preparare le persone ad una vita piena e felice. Anche A.S. Neill, educatore scozzese, conosciuto per l’esperienza di Summerhill, scuola collegio fondata nel 1921, considerava la ricerca della felicità come finalità primaria dell’esistenza e riteneva che la scuola avesse il ruolo di preparare i bambini a essere felici, liberandoli dalle paure e dai timori, attraverso la libera espressione e il gioco[10]. Probabilmente Makiguchi subì l’influenza dell’utilitarismo educativo della Gran Bretagna del secolo XIX.

Makiguchi, inoltre, mostra evidenti similitudini anche con il movimento educativo delle Scuole Nuove, ritenute, non a caso, il primo movimento riformatore della scuola tradizionale. Tale corrente educativa si associa, infatti, all’industrializzazione emergente, alla trasformazione della vecchia società rurale e della famiglia patriarcale, all’urbanizzazione e alla modernizzazione sociale e culturale delle città, che si convertiranno in centri propulsori delle riforme. Inoltre si associa anche allo sviluppo di nuove classi sociali come la borghesia liberale, di alto livello economico e all’espansione dei sistemi scolastici nazionali sempre più complessi e controllati dallo stato[11]. Alcune riforme educative elaborate da Makiguchi sono analoghe a quelle avanzate dal movimento delle Scuole Nuove: la necessità di cambiare la formazione dei maestri, l’urgenza di proporre nuovi materiali didattici, il cambiamento delle metodologie educative, la necessità di rimpiazzare l’apprendimento meccanico e mnemonico per centrare l’educazione  sull’insegnare ai discenti a divenire responsabili del proprio processo formativo. Le altre sono diverse e in gran parte condizionate dalle differenze sociopolitiche, come per esempio, la raccomandazione formulata da Makiguchi circa l’abolizione del sistema di ispezione scolastica. In relazione a questo, egli chiese di stabilire il diritto all’autonomia scolastica, per prevenire, così, un indebito controllo esterno da parte delle autorità politiche e per promuovere la partecipazione dei genitori all’educazione dei propri figli. Per incentivare quest’ultima Makiguchi propose che la durata delle lezioni non superasse la mezza giornata, anche per permettere agli studenti di passare il resto del tempo aiutando in casa e applicandosi in attività produttive per la comunità locale. Questo faceva sì che l’educazione fosse creativa e produttiva, allenando la parte mentale, ma anche quella fisica. Come si può notare, le proposte di Makiguchi sono basate su una prospettiva democratica, razionale, progressista e controcorrente, in quegli anni in cui il Giappone era sempre più dominato dall’ideologia fascista. Naturalmente gran parte di queste raccomandazioni non furono ben viste e vennero adottate solo al termine della seconda guerra, una volta morto Makiguchi, in un contesto liberal-democratico della società giapponese.

Makiguchi criticò la pedagogia fondata sul neokantismo tedesco, a cui attribuiva una rigida divisione dell’educazione tra la coltivazione dell’intelletto, la coltivazione della morale e l’educazione fisica. Egli era profondamente in disaccordo con questa divisione in compartimenti stagni che impediva di vedere l’educazione come un tutto unificato. Conobbe anche la pedagogia del nordamericano Dewey. Tra le altre considerazioni critiche queste pedagogie non offrivano, secondo lui, una risposta semplice, chiara, alla domanda di come educare i bambini. Erano troppo astratte e lontane  dalla realtà della classe. Riteneva che la pedagogia non dovesse avere un carattere deduttivo derivato dalla filosofia o dall’antropologia, ma essere un campo di conoscenza induttivo, così da raggiungere una sua dignità scientifica. Pensava che non si era ancora stabilita una metodologia per l’educazione, così la pratica comune risultava essere una massa di informazioni, che si valutava attraverso esami tipicamente mnemonici. L’alternativa era insegnare ai bambini come acquisire la conoscenza da soli[12], apprendere ad apprendere, idea molto amata dagli educatori delle Scuole Nuove. La relazione della pedagogia con la conoscenza induttiva era una delle principali idee di Wallon, eminente psicologo dello sviluppo, autore grazie al quale le Scuole Nuove acquisirono uno dei loro momenti di maggiore maturità. Wallon riteneva la pedagogia una scienza induttiva e lavorò per convertirla in una metodologia pratica[13].

Il divorzio dalla realtà è uno degli aspetti più criticati della scuola tradizionale da parte del movimento delle Scuole Nuove. Qui si incontra un’altra confluenza con il pensiero di Makiguchi, che pose in evidenza la necessità di avvicinare la conoscenza accademica, ritenuta   molto teorica, alla realtà e quindi alla vita. Tuttavia, si può osservare come la formazione accademica moderna, purtroppo, abbia mostrato una crescente tendenza verso la frammentazione delle conoscenze e l’astrazione, a causa delle quali il maestro in classe finisce per dare priorità alla preparazione degli alunni per gli esami. L’opera di Makiguchi appare in un contesto storico nel quale l’educazione scolastica si stava distaccando sempre più da una conoscenza basata sulla vita. Egli, insistendo nell’idea di associare l’apprendimento all’esperienza reale, intendeva far emergere nei discenti la sicurezza in se stessi, stimolando la ricerca spontanea della conoscenza che equivaleva a negare che questa fosse imposta dall’alto. Con questo Makiguchi intendeva negare il compito centrale di stampo autoritario del maestro, mettendo in evidenza l’importanza dell’acquisizione del sapere da parte degli alunni attraverso i propri sforzi. Questo maestrocentrismo autoritario fu un’altra delle grandi critiche indirizzate alla scuola tradizionale dalle Scuole Nuove, che di contro cercavano di porre al centro della vita scolastica il discente, con la sua vita e i suoi interessi. L’idea prese rilevanza pratica nell’importanza che Makiguchi attribuì agli studi comunitari. Egli li concepì non come una materia in più, ma come asse di un insegnamento integrato, orientato a sviluppare nei bambini la capacità di pensare ai temi sociali attraverso l’osservazione e l’interazione con le altre persone. Questa forma di apprendere inglobando la propria esperienza all’interno di quella del contesto in cui si vive, avrebbe facilitato l’apprendimento, sviluppato la motivazione e la partecipazione dell’alunno, promuovendo un tipo di conoscenza fondato e applicato alla vita quotidiana. Il piano di studi includeva un maestro che aiutava gli studenti, in forma spontanea, a diventare persone indipendenti, attive, che beneficiavano dell’apprendimento.

La felicità e la creazione di valore

Makiguchi ritenne urgente identificare e chiarire un obiettivo e un proposito specifico dell’educazione. La finalità dell’educazione non poteva essere distinta dalla vita. Il suo punto di partenza non fu il discorso filosofico, ma l’analisi delle sue stesse esperienze quotidiane, arrivando alla conclusione che il proposito della vita, e anche dell’educazione, fosse, come detto prima, la felicità. Questa concezione della felicità come traguardo finale risentiva dell’influenza esercitata su Makiguchi dall’utilitarismo britannico. E in cosa consisteva, secondo lui, vivere felici? Nel creare valore. Insomma, il proposito della vita e dell’educazione era la felicità, che si raggiungeva attraverso la creazione di valore. Makiguchi sottolineava che i bambini non dovevano essere utilizzati come mezzi. Emergono qui, in maniera inequivocabile, la sua inclinazione democratica e un profondo umanesimo. Questa sua particolare attenzione all’individualità potrebbe far pensare che la sua fosse un’ideologia liberale. In realtà, una tale interpretazione non è propriamente corretta e rischia di travisare il reale pensiero di Makiguchi. Infatti egli fu un feroce critico delle idee educative liberali, poiché  pensava che rispettare solamente le individualità senza incentivare nei bambini l’umanità universale, comune a tutte le persone, e la loro natura sociale, avrebbe dato come risultato l’anarchia.

Secondo Makiguchi l’uomo è felice e realizza il suo potenziale creando valori di varia natura: materiali, etici ed estetici. La felicità cui Makiguchi fa riferimento è, pertanto, una felicità pragmatica, che emerge dalla capacità dell’individuo di sapersi coinvolgere totalmente nelle vicende umane proprie, degli altri e della comunità, in una sorta di commistione di bene pubblico e privato. Egli propone una rivoluzione epistemologica che nasce dalla revisione dei legami, da lui visti come fondamentalmente creativi, tra soggetto e oggetto della conoscenza, non più considerati come due realtà tra loro separate. Tali legami permetterebbero all’individuo di far emergere il proprio potenziale e di realizzarsi appieno, sviluppando, in tal modo, un’etica di coesistenza pacifica e contributiva[14].

La radice dell’umanesimo di Makiguchi, che si mostra nella sua teoria del valore, si trova nella dignità della persona unita all’amore e all’umanità. Il valore nasce da una relazione tra l’essere umano e la vita. La vita, come valore assoluto, è la fonte del valore. Così il valore delle cose è giudicato secondo il grado in cui queste realizzano il proposito della vita. Qui entrano in gioco le idee pacifiste dell’autore. Nella sua teoria del valore, Makiguchi critica la teoria neokantiana, in cui il valore si trova conformato alla verità, al bene e alla bellezza. Makiguchi propone di capire il valore da una prospettiva empirica, introducendo un’ importante distinzione tra la verità e il valore. La verità non costituisce un valore in sé stessa. La verità è di natura trascendentale e universale e ha a che vedere solo con la relazione di un oggetto con se stesso e non con la relazione di un oggetto con un soggetto, vale a dire con un essere umano. I valori, tuttavia, sono sempre relativi e dipendono da una valutazione positiva o negativa da parte del soggetto. Attribuire valore a qualcosa per Makiguchi, significa abbracciare l’oggetto della ricerca, attraverso una relazione emotiva. La valutazione, così, risulta possibile solo come pratica di vita vissuta. L’oggetto che cambia (valore) non deve essere confuso con la sua esatta rappresentazione (verità). Il valore, in costante mutamento, rivela quanto profondamente le cose riescono a toccarci. La verità, al contrario, si discosta nettamente dall’attività discriminante[15].

In seguito Makiguchi rivide questa concezione del valore, attribuendo ad essa nuove sfumature di significato. Infatti finì con l’ammettere che la verità aveva anch’essa a che vedere con la relazione tra l’oggetto e l’essere umano, però mentre il valore implicava una relazione emozionale, la verità emergeva da una relazione intellettuale passiva tra soggetto e oggetto[16].

Come si può osservare, Makiguchi pensava ancora secondo il modello delle scienze naturali. Solo dopo, quando incontrerà le idee di Dilthey, egli modificherà, almeno temporaneamente, il suo modello di riferimento, giungendo a riconoscere che la vera natura della realtà (la verità) può essere colta soltanto considerando l’uomo nella sua globalità e le attività umane come il risultato congiunto di conoscenza, emozione e volontà[17].

Il secondo elemento costitutivo della teoria del valore di Makiguchi va ravvisato nella sostituzione della verità con il guadagno, inteso però in relazione al bene e alla bellezza. In altri termini, secondo l’autore, il guadagno non si può considerare su un piano meramente economico, ma va inteso in una prospettiva più ampia, in stretta correlazione con il bisogno di sopravvivenza degli esseri umani.

Dato che egli considerava gli esseri umani come creature sociali, la cosa  più importante per Makiguchi era la relazione tra l’individuo e la società. Il guadagno, invece, continua ad essere guadagno solo per l’individuo, separato dalla società, e non possiede il valore morale del bene. Makiguchi denominò “guadagno pubblico” il guadagno sociale che andava al di là del guadagno individuale e trovò in quello il valore del bene[18].

Makiguchi pensa che se il guadagno personale entrasse in conflitto con il bene pubblico, vista la nostra natura sociale, non potremmo raggiungere la realizzazione personale. Il bene pertanto deve essere bene pubblico, di tutti, e acquisire maggior valore rispetto al guadagno privato. Sul piano formativo, il guadagno non costituisce uno specifico oggetto di studio, ma rientra nella sfera dell’educazione morale, che Makiguchi considera l’obiettivo più grande cui la scuola dovrebbe mirare. L’educazione morale non si fonda, però, sulla mera assimilazione di concetti astratti di moralità, mira piuttosto alla formazione di una coscienza sociale. Essa si avvale, a tal fine, dell’insegnamento di discipline quali la storia e la geografia che consentono una disamina della società come entità  viva e in continua trasformazione. E’ importante quindi, attraverso una scuola a tempo parziale, permettere agli studenti di immergersi e osservare direttamente la relazione delle persone con la natura e la società.

Il terzo elemento costitutivo della teoria del valore di Makiguchi è la bellezza. Questa è legata ai valori sensoriali, alla dimensione estetica, all’esperienza relativa ai sensi nella sfera individuale, che permette di sperimentare il piacere e il gusto verso qualcosa. La sua importanza è solo marginale, poiché essa appartiene alla periferia dell’esistenza, sfiorando appena le facoltà percettive, senza mai intaccare la coscienza.

Il bene riguarda la dimensione collettiva, a cui l’individuo è indissolubilmente legato, che gli impedisce di isolarsi, chiudendosi in se stesso, rendendo possibile la sua interconnessione, come in una rete, con tutti gli individui e l’ambiente, alla ricerca del bene comune[19].

I fondamenti della sua pedagogia per la creazione di valore

Per comprendere l’origine e la natura delle opere makiguchiane, possiamo usare le parole del  principale studioso del pensiero di Makiguchi, Dayle M. Bethel, che afferma:

Non sono stato in grado di trovare niente negli scritti originari di Makiguchi , che sintetizzano i risultati di quarant’anni di attività in campo educativo, che sia  in contraddizione con la sua posizione pragmatica. Se ulteriori ricerche avvaloreranno questa mia tesi, significherà che, benché Makiguchi si fosse convertito alla Nichiren Shoshu nel 1928, non sembrano esserci prove  che la dottrina della Nichiren Shoshu abbia influenzato la compilazione della sua principale opera pedagogica: Soka Kyoikugaku Taikey, negli anni dal 1929 al 1933[20].

Sicuramente Makiguchi rintracciò una profonda consonanza delle sue idee educative primordiali  della pedagogia creatrice di valore,  con lo  spirito buddista esposto nel Sutra del Loto.

Proprio questa affinità indusse Makiguchi ad apprezzare e successivamente ad abbracciare la filosofia buddista, come espressione del più elevato umanesimo basato su un amore profondo e infinito per l’umanità, conosciuto come jihi cuya, la cui traduzione può essere sensibilità altruista libera da tutto l’egoismo[21]. Queste idee di amore e rispetto sono anche basilari per il movimento pacifista.

Makiguchi fondò la Soka Kyoiku Gakkai (La società Educativa per la creazione di valore) intorno al 1930. Cosa spinse un filosofo dell’educazione, legato al modernismo, a convertirsi in un leader religioso? Molte ragioni sono state addotte per spiegare questo avvicinamento al buddismo. Alla fine, in quell’ambiente sempre più rarefatto del Giappone, negli anni che precedettero la guerra mondiale, tutte le speranze che Makiguchi aveva riposto nell’educazione pubblica furono vanificate. Non vennero introdotti nel curricolo scolastico gli studi della comunità, come da lui proposto, né si presero in considerazioni le sue proposte educative espresse nella sua opera principale, Il Sistema Pedagogico della creazione di valore, che scrisse sapendo che sarebbe stato ignorato completamente. In mezzo a queste continue battute d’arresto, Makiguchi si ritirò dall’attività di insegnante.

Il suo contatto con il buddismo di Nichiren lo spinse verso l’ideale di condurre una vita dedita al gran bene, cioè al bene supremo. La creazione di valore richiede che le persone conducano una vita orientata verso il bene, in modo da trascendere la ricerca della conoscenza fondata sulla vita e sull’utilitarismo. La relazione di valore però ha a che fare con l’etica sociale. Ci sono due aspetti del valore di Makiguchi che trascendono l’utilità: l’enfasi sul valore sociale e gli insegnamenti buddisti di Nichiren Daishonin. Makiguchi mostrò una chiara posizione filosofica dalla quale non si separò mai: l’importanza della conoscenza fondata sulla vita che si collega con il concetto di responsabilità etica dell’individuo all’interno di una società democratica. Questo è  collegato con la libertà, i diritti umani e la ragione.

L’importanza educativa della consapevolezza nel rapporto individuo-società-ambiente

Per Makiguchi la vita è un’esperienza di apprendimento continuo. Per apprendimento egli intende l’essere totalmente immersi nella propria dimensione locale, cioè nella propria casa, nella propria famiglia, nel proprio quartiere, nella propria città. È attraverso questo totale coinvolgimento nel proprio mondo quotidiano che l’individuo comprende la sua universalità. È proprio percependo se stesso come una parte di un tutto, che egli stabilisce delle relazioni con il mondo, in grado di produrre valori positivi. Partendo dal locale per proiettarsi nell’universale, l’uomo riscopre la sua individualità, la sua appartenenza simbiotica al mondo, assumendo la responsabilità che questa consapevolezza comporta[22].

In questo suo concepire la vita umana come fortemente radicata e interconnessa al proprio habitat naturale, Makiguchi pone una forte enfasi sul senso di responsabilità che il singolo ha anche verso l’ambiente; una sorta di coscienza ambientale che emergerebbe nell’individuo in quanto cosciente della propria imprescindibile appartenenza e interdipendenza con l’ambiente circostante. Questo pensiero, di cui si trova ampia espressione già nella sua prima opera La geografia Umana, venticinque anni prima della sua conversione, trova conferma nel principio buddista  di esho funi.
La dottrina buddista dell’unicità tra la vita individuale e il suo ambiente (esho-funi) mette a fuoco l’essere umano come parte del vasto universo fisico. L’entità della vita soggettiva e il suo ambiente sono mutuamente interrelate e operano insieme, creativamente. Essi sono un’unità, o, come i caratteri originali cinesi indicano, sono ‘due ma non due’. Il vasto continuum spazio-temporale della vita spirituale di ogni individuo corrisponde all’universo esterno del mondo fenomenico. Esso pulsa con un’energia senza limiti, che si manifesta in molte forme differenti – compassione, amore, saggezza, ragione, emozioni, desiderio, pulsioni e così via. Ogni istante, questa energia si sprigiona ad interagire con l’universo circostante, creando un nuovo sé ed un nuovo mondo. Quando l’universo interiore esiste in armonia dinamica, l’energia vitale si trasforma creativamente in compassione, amore, saggezza e ragione. Ma quando l’universo interiore perde il suo ritmo essenziale, quella stessa energia diventa negativa, aggressiva, prende forme dispotiche come l’avidità e le pulsioni distruttive, che trasformano la vita interiore un deserto sterile. La desertificazione dell’ambiente naturale corrisponde esattamente alla desertificazione spirituale della vita interiore degli esseri umani(…). Le relazioni tra umanità e natura sono parte dei complessi nessi relazionali tra esseri umani e tra se stessi e la propria vita interiore. L’egoismo di esseri umani il cui ambiente interiore è inquinato e desolato(…) e inevitabilmente si manifesterà nella dominazione, deprivazione e distruzione dell’ambiente esterno. A completare il ciclo, un ambiente esterno impoverito e desolato rompe il ritmo della vita interiore dando così ulteriore spazio all’egoismo e all’avidità[23].

Il principio di esho funi rafforza l’importanza della comunità in quanto luogo in cui si sviluppa un’etica di creazione di valori umani positivi. Partendo da questo assunto Makiguchi pensa che lo scopo dell’educazione sia quello di utilizzare metodi che organizzino la conoscenza in forma auto-eco-dipendente, mettendo al centro di tutto il soggetto, visto in relazione al mondo in cui vive e attraverso cui si realizza. L’obiettivo di un sistema scolastico deve essere quello di formare degli individui completi, attraverso un percorso di auto-conoscenza dal quale scaturirà un interesse per l’altro e per l’ambiente. La vita umana è comportamento cosciente. Sviluppare l’auto-consapevolezza significa far emergere tutto ciò che si può definire umano in un uomo. Si deve lavorare quindi affinché emergano negli studenti maturi ed equilibrati principi, uniti a un chiaro scopo nella vita. Questi produrrebbero un rapporto sereno tra corpo e mente, un’armoniosa coesistenza di ogni parte con l’altra e di ogni parte col tutto, in un sano equilibrio psicologico. La solidità di questa unità nella vita individuale è l’elemento fondamentale che garantisce un sereno scambio con l’esterno e conduce ad una coerenza interiore che rappresenta il carattere della persona. Solo persone che possiedono questi attributi saranno in grado di creare valore. È compito dell’educazione fare in modo che si raggiunga questo obiettivo.

L’enfasi che Makiguchi pone nell’allievo, visto come soggetto inserito in un contesto, come il centro del processo educativo, allontana dal suo pensiero la minaccia di un apprendimento meccanico. Il prendere in considerazione la sottile rete di relazioni invisibili che lega la scuola col mondo, l’educazione con la vita, produce il rifiuto di saperi avulsi dalla realtà e il superamento della dicotomia tra teoria e pratica. La stessa felicità, che egli pone come fine dell’educazione, coincide con la visione di un uomo inteso come soggetto attivo. La ricerca della felicità proietta il giovane fuori dalle mura scolastiche e lo inserisce nella comunità, affinché compia la sua evoluzione, nell’interazione con gli altri e con il mondo[24].

L’educazione così concepita è un’arte complessa che richiede al docente competenze particolari. Quest’ultimo dovrebbe essere per i suoi allievi un orientatore, una guida e un sostegno, in altri termini, un facilitatore dell’apprendimento. Per Makiguchi non tutti sono in grado di esercitare una professione così importante e delicata. Solo persone dotate di una sensibilità da levatrice possono essere in grado di sostenere il delicato processo di autorealizzazione del discente, senza assumerne il controllo, né ostacolarne in alcun modo il percorso soggettivo; individui dotati di una personalità completa, evoluta, armonica, le cui azioni siano coerenti con i pensieri e le parole; risvegliati ad una consapevolezza e saggezza, che sono le doti che devono far emergere nei loro alunni. Esseri umani che sappiano volgere lo sguardo abbastanza lontano da poter prendere in considerazione la vita del proprio paese, della società e del mondo intero. Insomma veri e propri compagni di percorso per le nuove generazioni, lungo tutto il sentiero della loro vita[25].

iflessioni finali

Makiguchi espresse un pensiero che era in anticipo con i tempi. Come educatore che tema lo preoccuperebbe adesso? Come si sarebbe evoluto il suo pensiero, come lo avrebbe riformulato? Di sicuro appoggerebbe, in forma pratica e teorica, la dichiarazione universale dei Diritti Umani, ma i Diritti Umani di terza generazione, conosciuti come diritti di solidarietà o dei popoli. Questi contemplano questioni di carattere internazionale come il diritto alla pace e ad un ambiente sano. Ugualmente starebbe dalla parte della Carta della Terra[26] e della sua implementazione globale e proposta ad uso educativo da parte dell’UNESCO.  Cosa penserebbe dell’educazione attuale? Possiamo presupporre che sarebbe d’accordo sul fatto che abbiamo bisogno di ripensare l’educazione, ampliare il suo significato in quanto attività che fa crescere la persona, ne migliora la vita socio-economica e le sue relazioni con la natura. È normale rispondere che educare è umanizzare, sviluppando l’umano lungo tutto il cammino di una vita. Tuttavia, al di là del valore di questa concezione, la pratica educativa risulta in gran parte deficitaria. Le cause sono molte, alcune sono al di fuori del sistema educativo (politiche educative poco fortunate, contraddizioni tra i differenti valori che la società chiede si pratichino nella scuola, etc.) e altre sono endogene (riduzione dell’apprendimento al solo aspetto cognitivo; resistenza al cambiamento, ai processi d’innovazione; apprendimento di contenuti slegati dai loro contesti naturali e sociali, che impoveriscono l’effetto dell’educazione; metodologie poco innovative; insufficiente formazione del personale scolastico; scuola completamente staccata dal contesto; crescente livello di conflitto, che finisce con lo  sfociare in diversi tipi di violenza; professori e alunni demotivati ed esasperati). Possiamo dire che esiste un malessere profondo nell’educazione. Chiediamoci perché dobbiamo cambiare e come farlo per superare questo panorama. Da molto tempo si osserva un’enorme distanza tra i propositi e gli effetti dell’esercizio della pratica educativa, come hanno fatto a partire dagli anni Settanta del secolo scorso e con differenti prospettive Illich, Neill, o Freire[27].

La crisi dell’educazione non è una novità, per tale motivo ci domandiamo quale sia la causa del divario descritto e puntiamo a che, da un lato, il significato maggiormente condiviso dai responsabili e dagli attori dell’educazione si riferisca a qualcosa di più grande di un semplice fenomeno di socializzazione, d’istruzione o trasmissione. Siamo di fronte ad una cultura dimentica degli altri aspetti e dei valori, che rendano possibile parlare di un’educazione nel senso pieno del termine. Da un altro lato, il sistema educativo volta le spalle alla comunità. Le scuole non possono continuare a essere centri isolati, come segnala Hargreaves, soprattutto non possono non essere promotori di una personalità integrata[28].

Sempre Hargreaves evidenzia la necessità di un approfondimento del cambiamento educativo: l’educazione sino ad oggi si è centrata sull’aspetto cognitivo dimenticando le altre intelligenze (sociale, emozionale di Goleman, morale, quella degli stati dell’io di Loevinger, le intelligenze multiple di Gardner, come la visivo-spaziale, quella musicale, la corporale e cinestetica)[29]. La conseguenza di questa visione ridotta dell’educazione si ripercuote nell’esperienza quotidiana: «Nella scuola c’è più testa che cuore, molta più mente che corpo, molta più scienza che arte; molto più lavoro che vita, molti più esercizi che esperienze(…) molta più pesantezza e noia che allegria ed entusiasmo»[30]. Continuiamo ad avere molti dei problemi educativi che incontrò Makiguchi, ma adesso abbiamo anche più consapevolezza, nuove riformulazioni di antiche intuizioni, come l’etica della cura e le sue implicazioni in una pedagogia della cura, e la certezza che la crisi educativa non è che un aspetto delle crisi multiple in cui ci troviamo. La crisi della civiltà è una crisi etica, primariamente perché è una crisi spirituale. Abbiamo perso l’esperienza della connessione con gli altri, con la natura, con la vita e con noi stessi. La pedagogia della cura dovrebbe avere come obiettivo principale la riscoperta della nostra interdipendenza con la comunità della vita e dovrebbe farci diventare capaci di produrre un cambiamento di coscienza che ci ponga sul cammino di una cultura dell’interiorità.

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  4. T. Makiguchi, A Geografphy of Human Life, edito da Bethel D., San Francisco, Caddo Gap Press, 2002, p.19
  5. R.R. Voss, A pedagogia da felicidade de Makiguchi, Campinas, SP, Papirus, 2013, p. 38
  6. M. D. Bethel, La creazione di valore. Vita e pensiero di Tsunesaburo Makiguchi, Milano, Esperia, 2006, p. 82
  7. K. Miyata, «Principios básicos de la pedagogía para la creación de valor», en La creación de valor en las ideas de Tsunesaburo Makiguchi, filósofo y educador japonés. (a c. di K. Myata et al..), Caracas, Universidad Central de Venezuela, Ediciones de la Biblioteca Central, 2002, pp.130-131
  8. M. D. Bethel, op.cit, pp. 3-4
  9. K. Kumagai, Value-Creating Pedagogy and Japanese Education in the Modern Era, in «Journal of Oriental Studies», n. 10, 2000, pp. 29–45.
  10. A. Neill, Summerhill. Un punto de vista radical sobre la educación de los niños, Madrid, Fondo de cultura Económica, 1994.
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  12. K. Miyata, op.cit., pp. 121-147
  13. J. Palacios, La cuestión escolar, Barcelona, Laia, 1979
  14. R. De Cassia Ribeiro, Vida, Esperiencia e Conhecimento: a reforma do sujeito en Tsunessaburo Makiguchi, Tese de Doutorado , Universidade Federal do Rio Grande do Nord, 2006, p.14
  15. T. Makiguchi, Philosophy of Value, Overseas Bureau Translation Division, Edizione rivista e ampliata da Josei Toda, Tokyo, Seiko Press, 1964., pp. 92-123
  16. K. Miyata, op.cit., p.132
  17. Ivi, p.134
  18. Ibidem
  19. T. Makiguchi, 1964, op.cit., p.103
  20. M. D. Bethel, op.cit., pp.77-78
  21. K. Kumagai, «La pedagogía para la creación de valor y la educación japonesa en la era moderna», in op.cit. ( a c. di Miyata et al.), p 30.
  22. R. De Cassia Ribeiro, op.cit., p.15
  23. D. Ikeda, Vita e ambiente: una prospettiva buddista, in «Sgi Quarterly», Religion and Ecology, luglio 2010, p.20
  24. A. Santi, Pedagogia da Felicitade em Tsunesaburo Makiguchi (Conhecendo o pensamento do desconecido revolucionario pedagogo japones), in «Soka, Revista de Estudios sobre a Criação de Valor», n.1, SP, Brasil Seikyo, 2010, p.41
  25. M. D. Bethel, op.cit., p.56
  26. Si tratta di una dichiarazione di principi etici fondamentali per costruire una società globale giusta, sostenibile e pacifica. Cerca di ispirare in tutti i popoli un nuovo senso di interdipendenza globale e di responsabilità condivisa per il benessere della famiglia umana e il resto del mondo vivente (Segreteria Internazionale della Carta della Terra, San Jose, Costa Rica.. Web Carta della Terra). Il lancio ufficiale del TC è stata eseguita presso il Palazzo della Pace, L’Aia, 2000/06/29. Si tratta di una lettera d’amore, cura, ed empatia che include la natura. È una carta che ha sensibilità e cuore. E’ una mappa etica per l’umanità del ventunesimo secolo. La visione della Carta della Terra riflette la convinzione che la cura per le persone e cura per la Terra sono due dimensioni interdipendenti di una singola attività. La Carta della Terra ci invita esplicitamente a considerare noi stessi come cittadini del mondo. Considera la Terra sacra, così come gli animisti, induisti, giainisti e buddisti. La sua attenzione cade sul “tessuto” della comunità della vita della quale noi esseri umani siamo presumibilmente la fibra etica.
  27. Per Illich l’educazione entra in crisi a causa della problematica derivante dalla sua natura istituzionale; per Neill è stata la coercizione esercitata dai genitori e dai maestri ad aver distanziato i soggetti dagli obiettivi dell’educazione; mentre per Freire è l’educazione bancaria, attraverso l’esercizio di un apprendimento alienante, che impedisce il successo nel compito educativo
  28. Hargreaves, A., Replantear el cambio educativo. Un enfoque renovador, Buenos Aires, Amorrortu, 2003
  29. A. Fernández, G. Carmona, Re-hacer la educación. Los mapas del desarrollo humano, in «Teoría de la Educación», 21, 2, 2009, Salamanca, Ediciones Universidad de Salamanca, pp. 47-78.
  30. J.M. Toro, Educar con co-razón, Bilbao, Desclée De Brouwer, 2005, p.21