Numero 13/14 - 2017

  • Numero 7/8 - 2013
  • Saggi

La pedagogia dinanzi alla sfida della complessità

di Mirko Di Bernardo

Abstract

Mantenendo come orizzonte teorico di riferimento la contemporanea teoria della complessità, nonché le recentissime ricerche nel campo delle neuroscienze, la presente disamina intende mostrare come l’allontanamento dall’originaria matrice computazionale che orienta gli attuali studi sulle funzionalità del cognitivo costituisca una vera e propria sfida per la pedagogia sempre più orientata a considerare la mente come situata, incarnata e distribuita. Una sfida che induce a ripensare in chiave interdisciplinare e sistemica l’approccio al problema mente-corpo, un approccio vale a dire in grado di tenere insieme, mantenendo al contempo ben distinti i piani di riferimento, l’olismo delle scienze dello spirito ed il riduzionismo metodologico proprio delle scienze naturali. In quest’ottica, la parte finale del lavoro è dedicata all’indagine antropologica di alcuni aspetti della persona umana (definita come “vivente spirituale”) che trascendono l’empirico (la dimensione organismica intesa come sintesi dialettica o unità sistemica di bios e psiche) e che non sono interamente riducibili a causazioni di natura esclusivamente fisico-chimica. È a questo livello che l’atto educativo, inteso in senso fenomenologico, come “prendersi cura dell’altro”, vale a dire un atto non spontaneo bensì consapevole e libero in quanto segnato da un “perché”, diviene di fatto l’espressione di una dimensione specifica dell’umano oltre l’organismo psicofisico.

Introduzione

Negli ultimi anni la ricerca nel campo delle scienze dell’educazione si è andata via via orientando verso un recupero della dimensione biologica nella relazione insegnamento-apprendimento. Il binomio pedagogia-neuroscienze è divenuto, pertanto, un punto di passaggio ineludibile nei processi di progettazione, gestione e sviluppo delle dinamiche formative. Tali sviluppi teorici sono ben presto giunti ad innestarsi sulle problematiche del cognitivismo e del connessionismo: di qui la possibilità reale di un nuovo approccio al problema del delineamento del percorso relativo alla costruzione della conoscenza, un approccio capace di tener conto, in modo significativo, di quel particolare intreccio tra incomprimibilità, da un lato, e significato dall’altro, che costituisce il tessuto connettivo della mente umana[1]. Tale approccio ha contribuito, in parte, a determinare negli anni Novanta la nascita di una versione specifica della teoria della complessità[2] in grado di prendere in considerazione il problema della costituzione stessa, lungo il corso della evoluzione naturale e di quella culturale, delle operazioni mentali che caratterizzano la conoscenza umana[3] le quali consentono oggi di leggere l’apprendimento (l’assimilazione dell’informazione) come un complesso e stratificato processo di morfogenesi[4].

L’idea di una possibile sinergia tra la pedagogia e le neuro-scienze ha preso le mosse dal superamento di alcuni tradizionali approcci squisitamente riduzionistici al mind/body problem come, ad esempio, l’allontanamento da posizioni di pensiero funzionaliste – per le quali le funzioni della mente possono prescindere dal proprio substrato biologico essendo implementabili in qualunque dispositivo informatico[5] – ed il riconoscimento del carattere di correlazione che media l’entanglement mente-cervello al di là delle semplicistiche interpretazioni di coincidenza tra le attivazioni cerebrali e gli stati mentali secondo cui la mente viene considerata semplicemente come epifenomeno del cervello.  Il binomio pedagogia-neuroscienze si è consolidato, dunque, andando ben oltre ogni visione che non sia “pluriprospettica” e “multidimensionale”, dove, cioè, la mente è condivisa, distribuita e situata, eppure, non per questo, il suo potenziale espressivo è mai considerabile slegato dal cervello[6].

Stando così le cose, dunque, le attuali direzioni di ricerca sulle funzionalità del cognitivo, in senso lato, tendono ormai, già da oltre un ventennio, ad allontanarsi dalla matrice computazionale che le ha originariamente generate per accostarsi, sempre di più, ad una interpretazione della mente come un fenomeno emergente legato a processi profondi e distribuiti di auto-organizzazione[7]. Una mente che in se stessa non è più analizzabile separatamente, mediante il ricorso a modelli standard basati su procedure algoritmiche, ma in modo sempre integrato considerando l’unità dinamica delle sue parti che la correlano al cervello-corpo, rendendola altresì “organismo, così come organismica è da considerarsi la sua situazione sinergica e interattiva con l’ambiente, che la include, la comprende e, nello stesso tempo, la specifica e la distingue”[8]. Di conseguenza l’idea che un agente cognitivo sia qualcosa di centralizzato e unificato è stata sostituita dal concetto di un sé disunificato[9]. I moduli, infatti, sono privi di possibilità di accesso alla consapevolezza e all’introspezione poiché non sono comprensibili all’esperienza cognitiva[10]. Di qui l’emergere di un sé cognitivo non rappresentato da una totalità, bensì da una serie di unità emergenti di una rete disunificata[11]. Alla luce di tutto ciò, dunque, possiamo affermare che il processo formativo si pone ora come “emergenza di forma” o morfogenesi e non più come messa in forma. In altre parole si tratta di un processo imprevedibile di sofisticazione crescente non più riducibile ad una semplificazione di natura procedurale o algoritmica[12]. Seguendo le linee di ricerca tracciate da Frauenfelder e da altri studiosi, un’ipotesi formativa deve andare dunque nella direzione di una globalità in cui non prevalga il cognitivo sul relazionale ma in cui, viceversa, il canale relazionale si faccia matrice ad arco per operazioni strategiche, di organizzazione e di selezione della massa informativa. Mai come oggi, infatti, “il problema della conoscenza è un problema altamente educativo”[13]>.

Prospettiva organismica e approccio multidisciplinare

Il campo di ricerca delle scienze bioeducative, inteso come “possibile ambito di studi che ricomprenda in sé la pedagogia, le neuroscienze e il post-cognitivismo”, punta alla realizzazione di una visione sinergica capace di assicurare “approcci pedagogici non riduttivi” e di interpretare l’essere umano nella sua intrinseca caratteristica di complessità[14]. Questo è il nuovo ambito di ricerca che comprende al suo interno differenti coordinate (epigenetiche, biodinamiche e sinergiche) fra le quali spicca quella biodinamica preferenzialmente rivolta allo studio dell’affascinante questione riguardante il rapporto di interazione fra mente e corpo, fra stati fisici ed eventi mentali, fra dimensione strutturale e dimensione cognitiva (processuale) del soggetto[15]. La linea prospettica biodinamica, quindi, recentemente ridefinita ancor più compiutamente come una delle coordinate basilari nel discorso bioeducativo, comprende in sé anche il riferimento a una concezione organismica (organismic perspectives) del soggetto[16] attraverso la quale la relazione mente-cervello diventa relazione circolare mente-cervello-organismo laddove, cioè, la costituzione biologica dell’individuo, i fenomeni neurali e i circuiti neuroregolatori vengono costantemente considerati ed esplorati senza tralasciare il riferimento all’organismo nella sua complessa e irriducibile totalità sistemica[17]. E’ in questa prospettiva che il cervello umano e il resto del corpo sono considerati come costituenti un unico e indissociabile organismo integrato da processi biochimici[18]. L’organismo, totalità integrata e complessa, si sviluppa come un sistema aperto in continua relazione con l’ambiente, attraverso scambi continui di materia, energia ed informazione, ossia tramite forme di interazione che non si realizzano né solo mediante il corpo, né solo con la mente: è, infatti, l’organismo nella sua totalità auto-organizzantesi (meaningful complexity) ad incontrare la variabilità contestuale (significato ambiente) e la pressione selettiva[19].

In questa prospettiva organismica, quindi, la mente è nel corpo, oltre ad essere correlata al cervello; ma questo corpo cambia continuamente, si trasforma, si sviluppa seguendo direzioni che possono essere differenti da individuo a individuo, eppure possono condividere caratteri di invarianza. La mente è nel corpo, ma è proprio attraverso il corpo che riesce a selezionare, interpretare e produrre ordini di conoscenza complessa; la mente può elaborare teorie, può riconoscere il carattere implicito, oltre che esplicito, del pensiero, può generare conoscenza in modo produttivamente autonomo, eppure lo fa sempre sulla base di strutture e di funzioni biologicamente radicate, strutture e funzioni che giustificano il pensiero anche se i processi della conoscenza non salgono necessariamente dai dati percettivi alle rappresentazioni mentali, non sono predefinibili e conservano caratteri adattivi[20].

In quest’ottica, infatti, la sinergia struttura-funzione si rivela come il nucleo regolativo delle possibili interazioni tra l’organismo e 1′ambiente[21] in continua coevoluzione all’interno di una rete di relazioni interconnesse – in modo distribuito e stratificato – non più esemplificabili nella tradizionale visione dicotomica natura/cultura[22]. La conoscenza, quindi, non può essere più considerata come un semplice “immagazzinamento” di dati in uno spazio mentale statico (prodotto computazionale), bensì si configura come un processo dinamico e profondo di ricostruzione e connessione di operazioni di autoriflessione interna, vale a dire, di processi di sintesi (unificazione) in reciproca evoluzione capaci di investire al contempo la corporeità organismica e le rappresentazioni che il cervello attiva riguardo all’organismo durante lo svolgersi comportamentale delle azioni[23].

Così, gli studi della mente in vitro diventano studi della mente in vivo, e attraverso questo nodo epistemologico si passa, gradualmente, da una immagine computazionale, astorica, decontestualizzata, razionale e astratta della mente al concetto di embodiment, di corporeità, di posizionamento della mente dentro il corpo, di conoscenza “incarnata”, e da qui al concetto di embeddedness, di radicamento, letteralmente, della mente dentro la situatività spaziale e temporale[24].

Tutto ciò ha reso inevitabile l’identificazione di uno specifico ambito di ricerca che, segnando il passaggio dal rapporto pedagogia-biologia al rapporto pedagogia-neuroscienze, individua, di fatto, un nuovo territorio di indagine, un territorio, vale a dire, che appare agli occhi della comunità scientifica come una delle sfide più significative vissute oggi nel mondo della formazione[25].

Questa sfida si propone di definire le possibilità epistemologiche, le coordinate interpretative e le metodologie operative di uno spazio scientifico in cui educatori, formatori, pedagogisti e ricercatori possano “lavorare” insieme, collaborare, discutere, confrontarsi per la costruzione di percorsi a doppia valenza, pensati per lo sviluppo della ricerca sul funzionamento della mente e, nello stesso tempo, progettati per la costruzione, la gestione e il trasferimento di metodologie e didattiche per la formazione, in generale, e per il mondo della scuola, in particolare. […] Si rende sempre più necessaria, pertanto, una crescente individuazione di quei percorsi indagativi che possono contribuire ad avvicinare due mondi tradizionalmente considerati distanti, la pedagogia, le scienze umane e le neuroscienze, scienze della natura o meglio, come si direbbe oggi, scienze della mente[26].

La scientificità di questo nuovo ambito di ricerca, dunque, non coincide con la definizione di una prospettiva d’indagine univoca, bensì nella dinamicità di questa, soggetta a variabili che scaturiscono dai molteplici apporti metodologici e contenutistici provenienti dalle diverse discipline in gioco. La forte vocazione pluridisciplinare, infatti, rende le scienze bioeducative sempre aperte a più scelte interpretative e la costante disponibilità a riformulare i parametri della ricerca ne stabilizza l’identità inter-disciplinare. Tuttavia, l’indagine sul potenziale apprenditivo e sulla funzionalità del mentale nei processi di costruzione e gestione della conoscenza è riconducibile, secondo Frauenfelder, ad alcuni semantemi definibili come “giunti cardanici” delle problematiche formative, fuochi teorici che sottolineano l’interazione tra alcune categorie trasversali alle diverse discipline coinvolte, quali ad esempio le coppie  quantità/qualità, continuo/discontinuo, generale/specifico, innato/acquisito, stabile/variabile e forma/funzione, nonché la stimolazione esperienziale e la disponibilità individuale ad apprendere[27]. Di qui alcune considerazioni generali secondo cui ogni individuo ha un potenziale genetico da accrescere, quantitativamente (aspetto sintattico del bios) e qualitativamente (aspetto semantico del bios) differenziato. Il potenziale biologico di ogni essere umano non è totalmente modificabile nell’epigenesi, tuttavia il sistema cognitivo individuale gestisce l’attuazione di una pluralità di “modalità elaborative” individualmente diversificate (a seguito del processo dialettico di canalizzazione e di assimilazione dell’informazione) da cui scaturisce il gioco accoppiato di invarianza e plasticità proprio del funzionamento del sistema cognitivo individuale[28], di un sistema, vale a dire, intimamente correlato alla dimensione affettivo-emozionale[29].

La complessità del nostro sistema nervoso è affascinante, anche l’aspetto emotivo e relazionale della vita umana è regolato da strutture neuroanatomiche e da processi biochimici. E’ la stessa chiave biologica a garantire anche la struttura emotiva e relazionale ed è proprio attraverso l’analisi del meccanismo biologico che è possibile valorizzare ed esaltare l’incidenza dell’elemento emozionale nello sviluppo e nella crescita della specie e dell’uomo[30].

Le scienze bioeducative pongono, dunque, quale focus della propria ricerca l’individuazione di possibili relazioni significative tra la pedagogia, le scienze biologiche e le neuroscienze esercitando una funzione di trasversalità e di trasferibilità nell’individuazione di un “senso pedagogico” condiviso da più discipline in grado di analizzare dinamiche sinergiche quali, ad esempio, i processi di adattamento evolutivo a livello ontogenetico e filogenetico e la dimensione condivisa, situata ed incarnata del conoscere[31]. Pertanto, il senso delle scienze bioeducative all’interno del paradigma delle scienze dell’educazione “si esprime nella costruzione sinergica del concetto di educabilità, verso l’ambito interpretativo della pedagogia dello sviluppo”[32], con importanti risvolti nelle scienze della formazione.

Nella ricerca pedagogica contemporanea si fa dunque centrale il concetto di educabilità; se ne individuano i caratteri distintivi e le linee di sviluppo, se ne coglie l’intreccio con le più generali (o specialistiche) problematiche formative, se ne interpreta il senso pedagogico e regolativo nella pluralità dei saperi, se ne affrontano le significative ricadute nelle molteplici sinergie formative[33].

La necessità pedagogica che sembra profilarsi alla luce di tali considerazioni è quella di realizzare percorsi formativi rispettosi delle specificità cognitive e delle configurazioni multisistemiche e stratificate dei soggetti sensibili alle sfumature più sottili e sfuggenti che pure fortemente connotano le prassi formative. Si pensi in tal senso ai saperi impliciti o ai piani prossemici della comunicazione, che agiscono nei processi di costruzione delle architetture cognitive individuali[34].

Al di là dell’organismo psicofisico

Se è vero che la gestione delle comunità di apprendimento deve puntare alla valorizzazione delle specificità cognitive e delle attitudini che i diversi soggetti presentano[35], è anche vero che la formazione come processo paidetico e globale può tendere ad offrire al soggetto in formazione continue occasioni di crescita, sofisticazione e complessificazione delle proprie modalità elaborative del pensiero, occasioni favorite anche dall’opportunità, che il formatore può offrire, di affiancare e implementare i canali preferenziali individuali di cui si dispone con l’acquisizione, l’attivazione e l’appropriazione di nuovi e differenti canali di memorizzazione[36]. La costruzione di qualsiasi progetto formativo, quindi, non può prescindere dall’eidos della persona umana. Questa prospettiva, dunque, ci spinge a ripensare l’educazione e più in generale le scienze umane in virtù di un modello antropologico che vada oltre la frammentazione dei saperi, un modello, vale a dire, capace di offrire alla comunità scientifica degli spunti di riflessione nuovi e difficilmente classificabili in un’unica disciplina. Le domande riguardanti l’essenza della pedagogia e delle scienze dell’educazione, infatti, ci costringono immediatamente a ripensare l’orizzonte antropologico in una prospettiva filosofica in cui la responsabilità diviene la cifra autentica dell’umano[37]. Non c’è dubbio che l’apporto della filosofia alla pedagogia riguarda le finalità generali dell’educazione. In modo particolare, la filosofia dell’educazione si occupa degli aspetti epistemologici e assiologici della formazione[38]. Il termine “educazione” è polisemico e può indicare un sistema filosofico, un’istituzione, un prodotto, un atto politico, un sistema di gestione e altro ancora. Ma che cosa significa educare? Il termine “educazione” presenta un’etimologia duplice: dal latino educere (condurre fuori, trarre fuori) ed educare (formare, allevare, istruire). Inoltre, educare nel senso di formare rimanda anche al prendersi cura dell’altro. La cura dell’anima, intesa come evento d’essere e di senso che consente all’io la riappropriazione del sé autentico, così come il tema della corporeità, connesso con la questione concernente il rapporto tra materia e forma, costituiscono alcune delle prerogative del pensiero occidentale, un paradigma che risale ai tempi dell’antica Grecia culla dell’ontologia e luogo di nascita di uno specifico modello educativo. La paideia, in vigore nell’Atene classica, prevedeva che l’educazione dei giovani si articolasse secondo due rami paralleli: la therapeia, comprendente la cura del corpo, e l’epimeleia, comprendente la cura dell’anima volta a garantire una socializzazione armonica dell’individuo nella polis[39]. In questa parte finale del saggio prenderemo brevemente in considerazione entrambi gli aspetti. Per quanto riguarda il primo, ad esempio, rimandiamo alle recentissime tecniche di neuroimaging funzionale (FMRI, EEG[40]) o agli effetti terapeutici delle tecniche BCI (Brain Computer Interface), le quali rappresentano un’ampia gamma di soluzioni per acquisire ed elaborare i comandi impartiti dal cervello per mezzo di strumenti computerizzati, su pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza. La definizione più accreditata di BCI è stata formulata da Wolpaw: “a direct brain-computer interface is a device that provides the brain with a new, non-muscular communication and control channel[41]. I sistemi attuali utilizzano per lo più elettroencefalografi (EEG) che rilevano il segnale elettrico presente sullo scalpo dell’utente ed estraggono diversi segnali fisiologici quali il potenziale evocato P300 o l’attivazione volontaria relativa al mental imagery. Attraverso una fase di classificazione in real-time, questi segnali vengono riconosciuti, discriminati e associati a comandi per controllare applicazioni/attuatori esterni, con i quali l’utente è in grado di interagire attivamente, senza utilizzare le normali vie d’uscita fisiologiche costituite dai nervi periferici e dai muscoli. Nonostante l’impiego di questa tecnologia sia ancora in fase sperimentale o comunque circoscritta ad ambienti clinici, negli ultimi anni si è sviluppato un crescente interesse nel portare la BCI nella vita quotidiana degli utenti. Diversi progetti europei sono stati avviati col fine di raggiungere questo obiettivo. Sebbene tale campo di ricerca sia fertile e ricco di idee e di implementazioni, rimangono comunque questioni aperte relative alla metodologia, all’etica, ai costi e a soluzioni ingegneristiche stabili per un uso in larga scala di questa nuova tecnologia.

Per quanto concerne l’epimeleia, invece, rimandiamo il lettore all’analisi di quella che Bellingreri definisce come antropologia pedagogica di stile empatico, prospettiva, quest’ultima, che ha il suo orizzonte adeguato in una visione filosofica della vita e del mondo come “anamorfosi personale dell’essere”[42]. L’Universo è qui interpretato come un immenso congegno pedagogico che può preparare l’avvento della forma più alta d’esistenza. Questa è prefigurata dall’“amore pedagogico” di un educatore autentico: egli sa offrirsi, donarsi e dirsi senza nulla voler trattenere per sé. A questo livello l’analisi fenomenologica coglie l’empatia innanzitutto come un “atto motivato”, ovverosia come atto non spontaneo, bensì consapevole e libero in quanto segnato da un perché. Su questo aspetto è ancora attuale quanto E. Stein ha scritto nel volume Il problema dell’empatia, dove viene messo in luce il fatto che l’empatia non riguarda solo una questione gnoseologica, bensì interessa il più vasto mondo della comunicazione umana, ovvero il costituirsi di senso di un’esistenza personale e di una comunità di persone. L’empatia in quanto vissuto della coscienza non è solo un sentimento vitale, ma atto psichico. Tuttavia, a differenza della psicologia, la fenomenologia lo studia come atto intenzionale, ossia un atto non solo psichico ma razionale[43]. Tra gli atti intenzionali, l’empatia è atto “originario” che comprende l’altro da sé come “tu” al cui mondo il mio “io” ha parte; così come, di converso, questo “tu” ha parte al mio mondo. Nell’atto empatico, secondo E. Stein, l’altro si offre ed è riconosciuto come “corpo vivente”, in quanto è un soggetto attorno al cui sguardo un mondo di oggetti e di altri soggetti si dispone. Ora, ciò che l’altro vive e di cui fa esperienza è il suo proprio vissuto, che come tale non coincide con il mio proprio vissuto. Allora, veramente originario per me è sentire che l’altro sta vivendo il suo sentire. Io, ad esempio, che non posso vivere la gioia ed il dolore dell’altro, posso però percepire empaticamente tale gioia e tale dolore nella mia esperienza che comprende, per immedesimazione, ciò che l’altro sta vivendo[44]. Ecco dunque che giunge a delinearsi la possibilità di “co-sperimentare il mondo”, ossia di avere un mondo comune mediante la conoscenza e la comunicazione empatica che consente di integrare le esperienze personali del mondo in una prospettiva “che vede il differente come differente modo di intendere l’identico[45]. L’empatia, infine, in accordo con Bellingreri, apre per le persone la possibilità di vivere come “noi”, di essere una comunità. L’altro è inteso come un tu-per-un-altro-tu; oppure, come un tu-con-me. Ed è proprio in virtù di questa possibilità che, al contempo, l’empatia si rivela esperienza essenziale per la costituzione di senso del mio stesso io[46].

Stando così le cose, dunque, come ha rilevato Baccarini, educare significa prendersi cura dell’allievo; pertanto, la scienza della formazione può essere interpretata come una relazione di aiuto o meglio come la scienza del prendersi cura[47]. Una scienza dello spirito, aggiungiamo noi, che non può essere però più considerata indipendente tout court dal paradigma organismico così come divisato dalla teoria della complessità e successivamente dalle scienze bioeducative. I soggetti in quanto tali, infatti, si trovano al di là della dicotomia soggetto-oggetto[48]. Tuttavia, rispetto alla datità del corpo che mi si presenta, a livello filosofico e antropologico, è possibile rilevare la presenza di un plus: il processo formativo, in senso lato, dovrebbe tener conto anche di questa interiorità eccedente e non determinabile in modo oggettivo e fenomenico. Pertanto, chi educa deve aver cura dell’interiorità, della spiritualità del soggetto che ha di fronte (o meglio con il suo significato originario). Nel gesto terapeutico allora passa qualcosa che va oltre il linguaggio verbale: tra i due volti che si incontrano con lo sguardo, infatti, accade qualcosa che non può essere riconducibile ad una misura informazionale (in senso algoritmico), qualcosa che rinvia ad altro, ad un significato la cui ri-velazione (o trasmissione) è già una dissimulazione nel continuo processo di incarnazione dell’intenzionalità a livello delle monadi-menti. Appare chiaro, a questo punto, che la crisi educativa corrisponde a una crisi antropologica e che tale crisi coincide con la crisi del senso inteso come direzione (verso dove vado?) e significato (chi sono?), ovvero con un totale disorientamento. L’orientamento, la direzione da seguire, che è inscindibilmente legata al progetto dell’essere umano, dovrebbe indicarla l’educazione, riempiendo di senso, altresì, la stessa dimensione spirituale dell’uomo. Nella definizione greca di uomo come vivente spirituale è già inscritto, infatti, anche il suo telos[49]. Il termine “spirituale”, invero, implica una tensione all’assoluto che trascende l’empirico (la dimensione organismica intesa come sintesi dialettica o unità sistemica di bios e psiche) e che è stata, a nostro giudizio, esplorata, a livello antropologico, in modo magistrale dallo psichiatra austriaco V. Frankl che in Dieci tesi sulla persona, lavoro breve ma intenso in cui traspare il valore ed il senso dell’esistenza umana, così scrive:

L’uomo in quanto persona non è un essere fattuale, ma un essere facoltativo; egli esiste in accordo alle sue proprie possibilità, a favore delle quali o contro le quali può decidersi. Ecco perché Jaspers ha definito l’uomo come un essere che decide. Egli, infatti, decide sempre che cosa vuole essere nel prossimo istante. E in quanto essere che decide si colloca in posizione diametralmente opposta a quanto viene affermato dalla psicoanalisi, che evidenzia l’essere spinto. Essere-uomo è prima di tutto un profondo e radicale essere responsabile. Il che vuol anche dire che è più del puro esser libero: nella responsabilità, infatti, è indicato il perché cosa della libertà umana, ossia ciò per cui l’uomo è libero e per cui o contro cui egli si decide.[…] la persona non è determinata dai suoi impulsi, ma è orientata verso un senso. Mentre per la prospettiva psicoanalitica la persona aspira al piacere, nell’ottica dell’analisi esistenziale essa punta ai valori[50].

La libertà che costituisce la dimensione propria della persona è in realtà, secondo il padre della logopedia, la risposta a qualcuno o a qualcosa; la vita autentica è quel momento in cui la persona realizza pienamente se stessa riconoscendo che l’esistenza umana è guidata da una volontà di significato. La persona, quindi, è anche inconscia, ma quella dimensione misteriosa assume ora una sfaccettatura nuova: nell’inconscio affonda le sue radici lo spirituale. La fonte della persona, agli occhi di Frankl, rappresenta la realtà spirituale dell’uomo, luogo della libertà e del rivelarsi della trascendenza. In quest’ottica, quindi, l’idea di persona va ad integrare, mettendola in questione dall’interno della stessa indagine scientifica, la concezione utilitaristica secondo cui la persona è ridotta esclusivamente ad organismo, ossia all’insieme degli organi (dispositivi strumentali) che si limitano a svolgere alcune funzioni specifiche. La persona, in accordo con Frankl, si trova al di là dell’organismo psico-fisico: essa è fine. La persona spirituale sostiene l’organismo, ma ha bisogno di esso per esprimersi ed agire[51].

Stando così le cose, l’organismo costituisce un mezzo per un fine: la realizzazione della dignità umana. Così per lo psichiatra austriaco:

La persona fonda l’unità e la totalità psico-fisico-spirituale, che rappresenta l’essenza uomo. Una tale unità e totalità viene costituita, fondata e garantita dalla persona e solo attraverso essa. Noi uomini conosciamo la persona spirituale unicamente in coesistenza con il suo organismo psico-fisico. L’uomo, allora, rappresenta un punto di intersezione, un crocevia dei tre livelli di esistenza: quello fisico, quello psichico e quello spirituale. Questi livelli di esistenza non possono comunque essere separati l’uno dall’altro […] sarebbe perciò falso affermare che l’uomo è composto di fisico, psichico e spirituale: egli infatti è unità e totalità[52].

Alla luce di tutto ciò, quindi, a livello filosofico, è possibile inferire che ogni progetto formativo non può prescindere dall’avere come fine lo sviluppo della forma specifica della persona umana, uno sviluppo, vale a dire, che non può prescindere dalla sua essenza (eidos): realizzare ciò che l’uomo già è nella struttura e non nella costituzione. In tal senso, il concetto di forma è dinamica processualità di crescita e ciò che soprattutto interessa l’indagine bioeducativa può evidenziarsi come forma del pensiero. Il pensiero, infatti, a nostro giudizio, non è solo meccanismo biologico, potenzialità genetica, ma è anche e soprattutto intenzionalità che si incarna nel linguaggio simbolico umano creando così sempre nuovi significati[53].

Tutto ciò porta alla radicale ridefinizione del concetto di adattamento che nella definizione tradizionale considerava l’ambiente come origine dei cambiamenti del sistema; in questa accezione lo schema input-output è dominante e l’adattamento viene definito come una risposta del sistema alle esigenze dell’ambiente. Nella nuova accezione, invece, ciò che diviene primario nell’adattamento è la conservazione dell’autonomia del sistema, cioè la conservazione dei cicli vitali che definiscono la sua organizzazione. È interessante notare come in questa luce la logica di un evoluzionismo legato all’ambiente è tanto poco espressa da mettere in crisi lo stesso concetto di isomorfismo che collega la specie e l’ambiente ad un armonico sincronismo[54].

In effetti queste considerazioni ci riconducono all’ipotesi fondamentale di Maturana e Varela, per quanto riguarda le caratteristiche dei sistemi viventi, all’idea, vale a dire, secondo cui questi siano sistemi autopoietici, cioè in grado di produrre la propria identità; di conseguenza i sistemi autopoietici, anche se si modificano concretamente, risultano autonomi, nel senso che subordinano ogni cambiamento al mantenimento della propria organizzazione[55]. Questa progressiva maturazione dell’idea di autonomia e di chiusura organizzazionale da parte della ricerca biologica costituisce un aspetto estremamente interessante del contesto scientifico contemporaneo che, attualmente, sposta le riflessioni sulla forma verso impostazioni che vanno dal mondo delle strutture date al mondo delle ipotesi potenziali del codice del DNA nella sua informazione di profondità (aspetto semantico del bios)
[56]. In tal senso, un comportamento che prende forma è sempre legato ad una caratteristica biologica (la plasticità del sistema nervoso), ma si realizza solo in funzione di un’esperienza a contatto con l’ambiente e, comunque, non risulta determinata dal progetto genetico[57]. Anche in questa ultima interpretazione viene, infatti, riconosciuta l’incidenza, nei processi di formazione, dell’esterno, dell’altro da sé[58].

Stando così le cose, la comparazione tra l’approccio neuroscientifico e quello filosofico-antropologico anche in ambito pedagogico, dunque, costituisce una delle sfide più importanti che dovranno affrontare le scienze bioeducative per quanto attiene in modo specifico la prospettiva biodinamica[59], una prospettiva, vale a dire, che, sulla base del nuovo paradigma legato alla scienza della complessità, ci addita oggi più di ieri la necessità di fare riferimento ad una circolarità nuova in grado di avvicinare una filosofia che scopre sempre più in profondità il ruolo di analisi per quel che riguarda le grandi domande relative al senso della vita ad una scienza che a sua volta gradatamente giunge a divenire consapevole della necessità di non smarrire mai, lungo il corso della ricerca, i profondi interrogativi concernenti il significato e l’intenzionalità[60].

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  • Stein, E., Il problema dell’empatia, Studium, Roma, (1998).
  • Varela, F. J., Thompson E., Rosch, E., The Embodied Mind: Cognitive Science and Human Experience, MIT Press, Cambridge, (1991).
  1. Il cui orizzonte teorico di riferimento va ravvisato nell’ambito epistemologico ed in particolare nella rivisitazione ad opera, innanzitutto, di J. Hintikka del concetto di informazione semantica, così come delineato originariamente da Carnap e Bar Hillel nel 1952, tramite il delineamento, negli anni Sessanta e Settanta, di una teoria dell’informazione profonda che amplia, in modo significativo, l’orizzonte degli originari assunti carnapiani giungendo sino ad affrontare lo stesso problema della determinazione possibile del contenuto di informazione semantica a livello delle strutture poliadiche. Pressoché contemporaneamente, negli anni Settanta ed Ottanta, la teoria dell’informazione algoritmica, sulla scorta degli studi originari di Kolmogorov e Chaitin, veniva delineando le sue connotazioni teoriche con particolar riguardo alle tematiche della incompletezza e della incomprimibilità giungendo, infine, ad una accurata rivisitazione delle originarie scoperte goedeliane. Si veda in particolare: H. Atlan, Self-organizing networks: weak, strong and intentional, the role of their underdetermination, in A. Carsetti (a cura di), Functional models of cognition. Self-organizing dynamics and semantic structures in cognitive systems, Kluwer, Dordrecht 1999, pp. 127-142.
  2. In senso generale la teoria della complessità consiste nello studio interdisciplinare dei sistemi complessi adattativi (sistemi naturali e biologici) e dei fenomeni emergenti ad essi associati. L’accezione cui facciamo riferimento nel presente lavoro riguarda, invece, una sua versione specifica divisata, sia pure con articolazioni differenti, da Atlan e Carsetti. Non ci si riferisce più, cioè, alla semplice disamina di fenomeni dissipativi di stampo markoviano, bensì si giunge a considerare fenomeni di elaborazione e di trasformazione accoppiata dell’informazione presenti al livello del costituirsi successivo di un sistema biologico caratterizzato dall’elaborazione dell’informazione stessa. I sistemi viventi, infatti, come affermano Atlan e Carsetti, sono caratterizzati dal fatto che ciò che si auto-organizza al loro interno è la funzione stessa che li determina con il loro significato. Ma è appunto nella misura in cui il sistema si costituisce come realtà autonoma che l’origine del significato relativo all’auto-organizzazione del sistema stesso può giungere a rivelarsi, sul piano oggettivo, come una proprietà emergente. Qui possiamo riconoscere con esattezza quel particolare intreccio di complessità, auto-organizzazione, intenzionalità ed emergenza che caratterizza le forme naturali dell’attività cognitiva di ogni sistema vivente. In questo contesto, dunque, lo studio dei meccanismi di trasmissione dell’informazione necessita di nuove misure della complessità, misure (nuovi sistemi assiomatici), vale a dire, che non possono riguardare solo la  rarità statistica (Shannon) o la incomprimibilità computazionale (Kolmogorov-Chaitin), al contrario esse dovrebbero anche essere in grado di tener conto della connessione accoppiata tra la sorgente e l’agente vivente (o cognitivo), l’evoluzione di questa connessione, nonché la costituzione successiva di veri e propri processi di riorganizzazione continua a livello semantico. Cfr. A. Carsetti, Knowledge construction, non-standard semantics and the genesis of the mind’s eyes, in Id. (a cura di), Causality, Meaningful Complexity and Embodied Cognition, Springer, Berlin 2009, pp. 283-300; H. Atlan, op. cit.
  3. Cfr. A. Carsetti, The embodied meaning: self-organisation and symbolic dynamics in visual cognition, in Id. (a cura di), Seeing, thinking and knowing. Meaning and self-Organisation in Visual Cognition and Thought, Kluwer, Dordrecht 2004, pp. 307-330; G. Minati et al. (a cura di) Systemics of emergence, Research and development, Springer, Berlin 2006; H. Atlan, Le vivant post-génomique ou Qu’est-ce que l’auto-organisation?, Odile Jacob, Paris 2011.
  4. Cfr. E. Frauenfelder, Pedagogia e biologia. Una possibile alleanza, Liguori Editore, Napoli 2001; F. Santoianni, Sviluppo e formazione delle strutture della conoscenza. Tendenze di ricerca nella pedagogia contemporanea, Edizioni ETS, Pisa 2003.
  5. Cfr. E. Frauenfelder et al. Introduzione alle scienze bioeducative, Laterza, Roma-Bari 2004.
  6. Cfr. E. Frauenfelder, F. Santoianni, Nuove frontiere della ricerca pedagogica tra bioscienze e cibernetica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1997; Id. (a cura di). Le scienze bioeducative. Prospettive di ricerca, Liguori, Napoli 2002.
  7. Cfr. F. Varela et al. The Embodied Mind: Cognitive Science and Human Experience, MIT Press, Cambridge 1991; W.J. Freeman,  Come pensa il cervello, Einaudi, Torino 2001; .
  8. C. Sabatano, Come si forma la memoria. Ipotesi sperimentali di ricerca bioeducativa, Carocci, Roma 2004, pp. 11-12. Cfr. E. Frauenfelder, Pedagogia e biologia. Una possibile alleanza, cit.; F. Santoianni, Sistemi biodinamici e scelte formative, Liguori, Napoli 1998.
  9. In A. Carsetti, «Processi epigenetici e strutture riflessive nel sistema nervoso centrale», La Nuova Critica, 69-70, 1984. Cfr. S. Zeki, La visione dall’interno: arte e cervello, Bollati Boringhieri, Torino 2003; C. Sabatano, op. cit.
  10. Cfr. J.A. Fodor, La mente modulare, Il Mulino, Bologna 1998; E. Frauenfelder, op. cit.; in M. Di Bernardo, «Memoria, coscienza e plasticità sinaptica. Esplorazioni epistemologiche», Informacion filosofica, 9 (19), pp. 90-125.
  11. Cfr. F. Santoianni, op. cit.
  12. Cfr. E. Frauenfelder, Apprendimenti di nuovi codici e sottocodici: un’ipotesi biopedagogica, in A. Piromallo (a cura di), Luoghi dell’apparenza, Milano, Unicopli 1993.
  13. E. Frauenfelder, Introduzione, in F. Santoianni, op. cit., pp. 3-4. Cfr. E. Frauenfelder, Pedagogia e biologia. Una possibile alleanza, cit.; E. Frauenfelder et al. op. cit.
  14. Cfr. E. Frauenfelder, F. Santoianni, op.cit.; F. Santoianni et al. Modelli teorici e metodologici dell’apprendimento, Editrice Laterza, Roma-Bari 2003.
  15. Nel dibattito italiano il nesso tra la pedagogia e la biologia resterà in nuce sino all’inizio degli anni Ottanta e prenderà corpo nel corso degli anni Novanta, fino ai primi del 2000 – trovando sempre maggiori conferme nel percorso dei lavori di Laporta, Frauenfelder, Orefice e Santoianni –, sino a quando, cioè, non sarà completamente accettata dal punto di vista culturale l’esistenza di un nuovo campo di studi, con una propria identità e con uno specifico statuto epistemologico, quale si era già profilato in ambito internazionale dove, ad esempio, il termine “biopedagogia” compare a partire dalla fine degli anni Sessanta negli scritti di Debese e Mialaret per sottolineare la possibile relazione tra la biologia e le scienze pedagogiche. Per un approfondimento si veda: R. Laporta, La difficile scommessa, La Nuova Italia, Firenze 1975; E. Frauenfelder, La prospettiva educativa tra biologia e cultura, Liguori, Napoli 1983; Id. (a cura di), Le scienze bioeducative. Prospettive di ricerca, Liguori, Napoli 2002; P. Orefice, I domini conoscitivi. Origine, natura e sviluppo dei saperi dell’Homo sapiens sapiens, Carocci, Roma 2001; F. Santoianni, Educabilità cognitiva. Apprendere al singolare, insegnare al plurale, Carocci, Roma 2006; Id. La fenice pedagogica. Linee di ricerca epistemologica, Liguori, Napoli 2007.
  16. Cfr. E. Frauenfelder et al., Introduzione alle scienze bioeducative, cit.; F. Santoianni, C. Sabatano (A cura di) Brain Development in Learning Environments. Embodied and Perceptual Advancements, Cambridge Scholars Publishing, Cambridge 2007; A. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 1995; Id., Il sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente, Adelphi, Milano 2012.
  17. Cfr. F. Santoianni, Sistemi biodinamici e scelte formative, cit.; E. Frauenfelder, Pedagogia e biologia. Una possibile alleanza, cit.
  18. Cfr. G. M. Edelman, Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007; A. Damasio, op.cit.
  19. In M. Di Bernardo, «Complessità e informazione in biologia», in Medic, 20, 2, pp. 47-71. Cfr. F. Santoianni et al. Immagini e teorie della mente, Carocci Editore, Roma 2000.
  20. E. Frauenfelder et al., Introduzione alle scienze bioeducative, cit., p. 60.
  21. Cfr. E. Frauenfelder, Educazione e processi apprenditivi: elementi per una pedagogia dell’apprendimento, tecnodid, Napoli 1986.
  22. Cfr. E. Jablonka, M. J. Lamb, L’evoluzione in quattro dimensioni, UTET, Torino 2007; E. Fox Keller, The Mirage of a Space between Nature and Nurture, D[23. Cfr. C. Sabatano, Formare al senso di sé. Percorsi e problemi pedagogici, Edizioni ETS, Pisa 2005.
  23. Cfr. C. Sabatano, Formare al senso di sé. Percorsi e problemi pedagogici, Edizioni ETS, Pisa 2005.
  24. E. Frauenfelder et al. op.cit., p. 61.
  25. Per le scienze della formazione può essere rilevante una ricerca di questo tipo poiché risente profondamente del contributo che le neuroscienze hanno offerto all’interpretazione della morfologia strutturale e funzionale del sistema apprenditivo interpretato come sistema adattivo, in quanto emergente dalla complessa e inscindibile interazione tra la dimensione cognitiva e quella emozionale nella “trasversalità elaborativa del pensiero”, tra l’espressione esplicita e l’attivazione implicita delle potenzialità infinitarie della mente (sinergia struttura-funzione). Gli elementi che compongono le architetture dei sistemi adattivi, infatti, e ne regolano la complessità strutturale e funzionale (si pensi alla ricerca sul controllo metariflessivo, sulla meta conoscenza e sui sistemi gerarchici) sono molteplici e di natura differente, tuttavia, sono interagenti nella misura in cui si intersecano svolgendo il proprio ruolo (strutturale o funzionale) nel “sofisticato ingranaggio della cognizione” (Cfr. E. Frauenfelder et al., Introduzione alle scienze bioeducative, cit.). In questa ipotesi, sembra essere particolarmente significativo, in accordo con Santoianni, parlare della sinergia struttura-funzione come chiave regolativa dei processi adattivi del potenziale apprenditivo della mente, nucleo generativo del quale il focus interpretativo innato-acquisito può rappresentare una delle possibili potenzialità espressive (cfr. F. Santoianni, Sviluppo e formazione delle strutture della conoscenza. Tendenze di ricerca nella pedagogia contemporanea, Edizioni ETS, Pisa 2003).
  26. E. Frauenfelder et al., op. cit., p. 6.
  27. Cfr. E. Frauenfelder, Pedagogia e biologia. Una possibile alleanza, cit.
  28. Cfr. E. Frauenfelder et al. op cit.; E. Kandel et al, Principi di Neuroscienze, Casa Editrice Ambrosiana, Milano 2003; E. Kandel, Psichiatria, Psicoanalisi e nuova biologia della mente, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007.
  29. Cfr. D.J. Siegel, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001.
  30. E. Frauenfelder et al. op. cit., p. 9.
  31. Cfr. F. Varela et al., The Embodied Mind: Cognitive Science and Human Experience, MIT Press, Cambridge 1991; H. Maturana, F. Varela, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Marsilio, Venezia 2001.
  32. Cfr. F. Santoianni, Educabilità cognitiva. Apprendere al singolare, insegnare al plurale, cit.
  33. E. Frauenfelder et al. op. cit., p. 45.
  34. Cfr. C. Sabatano, Come si forma la memoria. Ipotesi sperimentali di ricerca bioeducativa, cit.
  35. Cfr. E. Frauenfelder, Educazione e processi apprenditivi: elementi per una pedagogia dell’apprendimento, cit.; E. Frauenfelder, F. Santoianni (a cura di). Le scienze bioeducative. Prospettive di ricerca, cit.
  36. Cfr. C. Sabatano, Come si forma la memoria. Ipotesi sperimentali di ricerca bioeducativa, cit.; Id. Formare al senso di sé. Percorsi e problemi pedagogici, cit.
  37. F. Miano, Dimensioni del soggetto, AVE, Roma 2003.
  38. In M.R. Strollo, «Intenzionalità e processo educativo. Appunti per una lettura neuro-fenomenologica», in Semiotiche, linguaggi, fenomenologie e scienze cognitive, Ananke, Torino 2004; Cfr. Id. Laboratorio di epistemologia e di pratiche dell’educazione. Un approccio neuro fenomenologico alla formazione pedagogica degli educatori, Liguori Editore, Napoli 2008.
  39. Cfr. E. Baccarini, La persona e i suoi volti, Anicia, Roma 2003.
  40. Per Neuroimaging funzionale (Functional Neuroimaging) si intende l’utilizzo di tecnologie di neuroimmagine in grado di misurare il metabolismo cerebrale al fine di analizzare e studiare la relazione tra l’attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni cerebrali. Si tratta di uno strumento di primaria importanza nelle neuroscienze cognitive e in neuropsicologia. Oltre alle classiche applicazioni di ricerca sperimentale sui processi neurocognitivi, le tecniche di neuroimaging funzionale stanno acquisendo una sempre maggiore importanza nella clinica e nella diagnostica neurologica, per lo studio delle alterazioni encefaliche in seguito a patologie traumatiche, oncologiche, vascolari e neurodegenerative. I metodi utilizzati più comunemente includono la Tomografia ad emissione di positroni (PET), la Risonanza magnetica funzionale (fMRI), l’Elettroencefalogramma multicanale (EEG), la SPECT, la Magnetoencefalografia (MEG) e la spettroscopia ad infrarossi (NIRSI) (In D. Cruse, A.M. Owen, «Consciousness revealed: new insights into the vegetative and minimally conscious states», in Curr Opin Neurol, 23(6), 2010, pp. 656-60).
  41. In F. Cincotti et al., «Non-invasive brain-computer interface system: towards its application as assistive technology», in Brain Res Bull., 75, 6, 2008, pp. 796-803.
  42. Cfr. A. Bellingreri, Per una pedagogia dell’empatia, Vita e Pensiero, Milano 2005; Id., Il superficiale il profondo. Saggi di antropologia pedagogica, Vita e Pensiero, Milano 2006.
  43. Cfr. A. Bellingreri, op. cit.; M. Armezzani et al. (a cura di), Intenzionalità ed empatia. Fenomenologia, psicologia e neuroscienze, Edizioni OCD, Quaderni dell’AIES, Roma 2008.
  44. Cfr. E. Stein, Il problema dell’empatia, Studium, Roma 1998, pp. 148-163; A. Bellingreri, op. cit., p. 62.
  45. A. Bellingreri, op. cit., p. 63. Cfr. M. Callari Galli et al., Formare alla complessità, Carocci Editore, Roma 2005.
  46. Cfr. A. Bellingreri, op. cit.; Id. Per una pedagogia dell’empatia, cit.
  47. Cfr. E. Baccarini, op.cit.
  48. Cfr. J.W. Freeman, op. cit.; D.J. Siegel, op. cit.; E. Frauenfelder, Pedagogia e biologia. Una possibile alleanza, cit.
  49. Cfr. E. Baccarini, La soggettività dialogica, Aracne, Roma 2002.
  50. V. Frankl, Dieci tesi sulla persona, in Id., La sfida del significato. Analisi esistenziale e ricerca di senso, D. Bruzzone e E. Fizzotti (a cura di), Erickson, Trento 2005, p. 36.
  51. Qui il concetto di natura si allarga fino a considerare il fisico e lo psichico come referenze dello spirituale e la persona come sintesi dialettica delle complesse relazioni che intercorrono tra tre diversi livelli esistenziali: corporeo, mentale e spirituale (Si veda anche E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Volume 2, libro secondo e terzo, Einaudi, Torino 2002). E’ a questo livello che è possibile pensare, in accordo con Hegel, all’esistenza di una seconda natura. Tale concetto in ambito neuroscientifico è stato approfondito da: C. McGinn, Knowledge and Reality: Selected Essays, Oxford University, New York 1999; G. M. Edelman, op. cit. In ambito filosofico, invece, rimandiamo a S. Semplici, «Il vissuto della mente e la sfida della neuroetica», in Idee, n. 70, pp. 153-67.
  52. V. Frankl, op. cit., p. 38.
  53. Occorre specificare che il concetto di significato biologico qui usato implica la nozione di causazione intenzionale, dove la nozione di “intenzionalità”, così come divisata da Freeman (che a sua volta la riprende da Tommaso d’Aquino), non si riferisce solo alla coscienza, ma alla capacità di ogni sistema vivente di agire (cambiando se stesso e l’ambiente che lo circonda) per realizzare un fine preciso: l’auto-conservazione (cfr. J.W. Freeman, op. cit.). Il concetto di significato, quindi, nell’ambito della teoria della complessità – nella sua versione specifica -, viene inteso come un processo profondo (capacità potenzialmente infinite) di “produzione di forme” (nel senso che “ritaglia” in modo creativo forme) e, in accordo con Carsetti e Atlan, si applica in più ambiti disciplinari (In A. Carsetti, «Linguistic structures, cognitive functions and algebraic semantics», in Id. (a cura di), Functional models of cognition. Self-organizing dynamics and semantic structures in cognitive systems, Kluwer, Dordrecht, pp. 253-286; H. Atlan (1998), Intentional self-organization. Emergence and reduction. Towards a physical theory of intentionality, in «Thesis Eleven», 52, pp. 5-34). Come il significato delle parole è connesso con un universo di funzioni altamente dinamiche e di processi funzionali che operano sintesi, cancellazioni, integrazioni (un universo che possiamo soltanto descrivere in termini di dinamica simbolica), allo stesso modo, a livello della biologia dei sistemi, vengono continuamente svelati e costruiti schemi assimilati e resi disponibili per la selezione che si dà tramite l’informazione coordinata che penetra dalla realtà esterna (a livello matematico i modelli non standard che interpretano tali processi, nonostante gli ambiti disciplinari differenti, sono praticamente gli stessi). Tutto ciò, infine, perviene ad intrecciarsi con i meccanismi della selezione interna lungo un “viaggio” nelle regioni dell’ intenzionalità. L’auto-organizzazione, caratteristica fondamentale del bios, in tal senso, è il processo di iscrizione, ricostruzione, assimilazione e riduzione realizzato nelle condizioni della doppia selezione ed in accordo con sofisticate procedure cognitive. Essa, in altre parole, appare necessariamente plasmata dalle forme e dai moduli matematici che la determinano e le danno forma.  La vita (quindi la cognizione), pertanto, agli occhi di Carsetti, appare come l’incarnazione del metodo relativo al processo di canalizzazione dei flussi-principi informazionali in atto: se adeguata essa realmente costituisce la via in vista di permettere, sia pure parzialmente, il dispiegamento effettivo del contenuto proprio della informazione profonda in accordo con differenti e successivi livelli della complessità (In A. Carsetti, «Teoria algoritmica dell’informazione e sistemi biologici», in La Nuova Critica, 3-4, pp. 37-66). A questo livello abbiamo che in un sistema naturale autopoietico ciò che realmente si auto-organizza è la funzione insieme con il suo significato. Nel caso, ad esempio, del linguaggio naturale l’origine del significato nella organizzazione complessa del sistema è nient’altro che una proprietà emergente (In H. Atlan, Y. Louzoun, «Emergence of intentional procedures in self-organizing neural networks», in La Nuova Critica, 49-50, pp. 67-81).
  54. E. Frauenfelder et al., op. cit., p. 90.
  55. Cfr. H. Maturana, F. Varela, op. cit.
  56. In M. Di Bernardo, op. cit.
  57. Cfr. Id. I sentieri evolutivi della complessità biologica nell’opera di S.A. Kauffman, Mimesis, Milano 2011.
  58. Cfr. F. Santoianni et al. Immagini e teorie della mente, cit.
  59. Cfr. E. Frauenfelder et al. op.cit.
  60. Per un ulteriore approfondimento si veda: M. Di Bernardo, Neuroplasticity, Memory and Sense of Self. An Epistemological Approach, Davies Group, Aurora 2013.