Non il possesso della conoscenza, della verità
irrefutabile, fa l’uomo di scienza, ma la ricerca
critica, persistente e inquieta della verità.
K. Popper
In una ben nota intervista di Albert Einstein al Saturday Evening Post del 1929, il grande scienziato affermò che “L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata, l’immaginazione abbraccia il mondo, stimolando il progresso, facendo nascere l’evoluzione”. E solo la grande mente visionaria di Einstein poteva “immaginare” uno spazio-tempo curvo in un mondo dominato dalla meccanica classica di Newton. Gli esseri umani, e non solo, elaborano pensieri, apprendono continuamente, elaborano e riclassificano le informazioni, le ampliano, le contestano se è il caso. È un processo inscindibile dal nostro vivere senza il quale non ci sarebbe il progresso e l’evoluzione. Tuttavia come questo processo avvenga non è definitivamente chiaro. Lo diamo per scontato, non ci chiediamo perché “pensiamo” e come “apprendiamo”. Ma la Scienza esiste proprio per dare risposte “razionali” ai tarli della mente. E quindi il progresso scientifico del ‘900 ha investigato, analizzato, sperimentato come gli individui apprendono, elaborano e processano informazioni. Ed è un campo talmente vasto da non poter essere ricondotto in una sola disciplina. Dalla pedagogia alla filosofia, passando per le scienze sociali fino alla psicologia, alla psichiatria e alla cibernetica con le sue reti neuronali.
Nelle scienze sociali, il termine “capitale umano” (ormai abusato e direi consunto) si dice sia stato fondato dal sociologo ed economista americano Theodore Schultz, che, presiedendo l’annuale convegno della American Economic Association nel 1961, coniò questo termine per sintetizzare quella “variabile” non osservabile e quindi non misurabile, che permea una Società e quindi un sistema produttivo: l’insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi. I successivi 50 anni di pensiero socio-economico sono stati dominati dal ruolo del “capitale umano” quale fattore di crescita e sviluppo di una collettività in modo armonico ed egualitario, identificando nell’accumulazione di conoscenza, acquisita in primis nei sistemi formativi ma poi plasmata nella Società, il propulsore e il propellente per il progresso della civiltà umana.
Ma se gli scienziati sociali hanno esplorato il lato “efficientistico” del processo di accumulazione della conoscenza quale “input” primario di una meta funzione di produzione molto resta da esplorare sull’aspetto “micro” di questo processo, cioè su come l’individuo elabora e processa l’informazione che si tramuta in apprendimento e “immaginazione” o se si preferisce, in una consapevolezza umana e sociale più elevata.
La ricerca psico-pedagogica del ‘900 ne è un esempio, passando dal Comportamentismo (Pavlov e Skinner), al Cognitivismo (Piaget e Bruner come pionieristici contributi ma occorrerà attendere il volume di Neisser, Cognitive Psychology del 1967 e poi Gardner più recentemente) e quindi al Costruttivismo (Kelly tra i fondatori ma anche Maturana, von Glaserfeld negli anni ’80). Benché non sia un esperto della materia, e me ne scuso anticipatamente con il lettore e con i colleghi, credo che la visione “costruttivista” dell’apprendimento e del pensiero umano sia quella più vicina a quello che Einstein definiva “immaginazione”. Non è un caso infatti che alcune fonti vedano nell’epistemologia scientifica di Karl Popper, fortemente ispirato da Einstein benché spesso in polemica con lo stesso, i primi germi del costruttivismo. Nel pensiero razionalista di Popper, l’intuito e l’immaginazione sono alla base delle Scienze. La mente umana procede per schemi mentali applicati alla realtà osservata ma essendo detti schemi frutto di “opinioni” e non di “fatti” essi sono solo congetturali e suscettibili di modifiche attraverso la confutazione e la contraddizione indotta dall’esperienza (falsificazionismo). Grazie a questa continua opera di “apprendimento dall’errore” possiamo affinare gli schemi mentali e renderli sempre più aderenti ad una realtà che resta comunque ideale. Idee che portarono il matematico Godel a partorire il suo teorema di “incompletezza” (la logica non può spiegare il tutto attraverso il metodo induttivo, il vero e il non vero convivono) ed Heinseberg al suo teorema quantistico di indeterminazione (l’osservatore causa la realtà che osserva e ne è causato).
Esemplificando al massimo, l’approccio costruttivista mette al centro l’individuo e considera il sapere come qualcosa che non può essere ricevuto in modo passivo, ma come risultante di una continua interazione tra l’individuo e la realtà che lo circonda al punto che la realtà stessa si modella. Come nel principio di indeterminazione di Heisenberg, la realtà, in quanto oggetto della nostra conoscenza, sarebbe dunque creata dal nostro continuo “fare esperienza” di essa. L’interazione individuo-ambiente determina la realtà senza però che ci sia un nesso causale unidirezionale ma piuttosto circolare. Non una realtà predeterminata quindi, ma modellata dal processo di conoscenza individuale; come scrisse Heisenberg “per la prima volta nel corso della storia l’uomo ha di fronte a sé solo se stesso” (Das Naturbild Der Heutigen Phisik, 1956).
La “seconda rivoluzione industriale”, o come si preferisce “la rivoluzione digitale” che stiamo vivendo non fa che aumentare i livelli di interazione tra individuo e ambiente ed è per questo motivo che anche i tradizionali modelli pedagogici di apprendimento vanno riconsiderati. L’apprendimento non riguarda più l’aspetto “formale” legato al processo scolastico ma viene integrato, e spesso fagocitato, da quello informale legato alla facilità di reperire l’informazione attraverso il cyber spazio. Oggi la formazione “e-learning”, che sia formale o informale, scolastica o extra scolastica, accompagna l’individuo lungo tutto l’arco della sua esistenza, professionale o semplicemente “umana”. È in questo modo di “fare apprendimento” che la Scuola Istruzione a Distanza dell’Università di Roma “Tor Vergata” ha la sua naturale vocazione scientifica, didattica e pedagogica. Rendere la cultura un patrimonio universale, non confinato dallo spazio geografico né da barriere culturali, razziali e censuali dovrebbe essere il fine ultimo di ogni comunità accademica. A questo fine lo sviluppo tecnologico degli ultimi anni ben si adatta; attraverso tecniche di divulgazione scientifica sempre più coinvolgenti, grazie all’interazione multimediale e allo sviluppo della rete informatica, possiamo efficacemente veicolare una formazione di alta qualità a costi contenuti ed ad una platea di discenti potenzialmente vasta. Ciò consente un apprendimento continuo lungo tutto l’arco di vita dell’individuo, che sia finalizzato ad una professionalità o semplicemente al piacere della conoscenza offerta e fruita nei modi e nei tempi più congeniali all’individuo stesso. Egli cessa di essere un soggetto passivo per diventare egli stesso elemento centrale del suo processo di formazione, muovendosi in un cyber spazio che gli consenta di “plasmare” la sua realtà in modo personalizzato e di “aggiornare” continuamente i suoi schemi mentali, confrontandosi con la realtà stessa. Seguendo l’impronta costruttivista, il discente apprende dall’interazione continua con la Società e a sua volta concorre a determinarla, in un feedback circolare continuo. Dall’immaginazione alla conoscenza quindi ma in senso circolare e non unidirezionale.
La Scuola IaD ha da sempre creduto in questa visione, ed oggi si proietta decisamente in un futuro di sfida non facile. Molti sono gli attori sul panorama della formazione a distanza, alcuni con competenze adeguate altri meno. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di raccogliere il meglio della ricerca pedagogica, delle competenze disciplinari, delle esperienze professionali e della tecnologia e metterli a disposizione della comunità. Sperimentare metodologie didattiche nuove, sfruttare al meglio le tecnologie informatiche, per stimolare la curiosità e l’interesse del discente, metterlo nelle condizioni di valutarsi e di confrontarsi, anche mediante schemi apparentemente ludici. L’apprendimento deve essere innanzitutto “piacere del sapere”.
Non minore attenzione viene data alla ricerca scientifica e alla sua divulgazione, e in questo contesto la Rivista della Scuola rappresenta un momento di confronto importante con la comunità scientifica. I saggi che vengono proposti in questo numero ne sono un esempio; essi ripercorrono campi di applicazione del sapere vasti e apparentemente lontani ma uniti dal comune denominatore di una conoscenza “costruita” attraverso l’interazione e la condivisione: la comunicazione sociale, le competenze trasversali, l’uso intelligente delle reti e i loro effetti nell’organizzazione delle strutture, siano esse accademiche che operative, fino alle frontiere delle più moderne tecniche di apprendimento legate al contesto dei videogiochi. Sono tutte proiezioni di una unica funzione generatrice della conoscenza.
La Scuola IaD vuole essere un grande spazio di confronto tra tutti i ricercatori affascinati dal sapere e dalle sue molteplice forme di declinazione. Uno spazio comune in cui ritrovarsi e identificarsi, in cui crescere nella dialettica e nella condivisione dei saperi individuali. Il sapere collettivo è intimamente multidisciplinare; senza l’immaginazione il sapere non progredisce e senza sapere non c’è immaginazione.
Desidero sinceramente ringraziare tutti gli autori che hanno dato il loro contributo scientifico, mettendo a disposizione le loro esperienze, il loro sapere e la loro dedizione al mestiere più affascinante, quello del “fabbricante di sogni”. E un augurio che molti altri amici e colleghi vogliano unirsi al nostro “piccolo” (ma solo numericamente….) mondo ideale.
Infine un ringraziamento particolare all’amico e collega Ignazio Volpicelli che ha voluto ridare linfa alla rivista della Scuola, coordinando e stimolando i giovani colleghi ad essere sempre il cuore pulsante della Scuola IaD