Numero 13/14 - 2017

  • Numero 9/10 - 2014/2015
  • Politiche

La competenza interculturale: uno dei principali risultati attesi della mobilità studentesca

di Mattia Baiutti

«Viaggiare è una scuola di umiltà; fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicare un’altra».

Claudio Magris, L’infinito viaggiare

Abstract
La mobilità studentesca – centrale all’interno del processo di internazionalizzazione della scuola – pone diverse sfide al sistema scolastico italiano. Una di esse è ravvisabile nella difficoltà per il Consiglio di classe italiano di valutare e assegnare il credito scolastico all’alunna/o che per un anno ha frequentato un percorso di studi parzialmente o totalmente diverso da quello italiano. Il presente contributo analizza tale questione proponendo di considerare nella valutazione non solo le competenze disciplinari, ma anche la competenza interculturale. Per fare ciò, inizialmente si presenteranno le stime degli studenti e delle studentesse che hanno partecipano a un programma all’estero negli ultimi anni fornendo, così, una fotografia generale del fenomeno. Successivamente, si considererà la cornice normativa in cui tale fenomeno è inserito ponendo particolare attenzione alle ultime note ministeriali. In seguito, si evidenzierà che, secondo la principale letteratura internazionale, uno dei principali risultati attesi dalla mobilità studentesca è lo sviluppo della competenza interculturale. Si problematizzerà, quindi, il concetto di competenza interculturale qui inteso come il comunicare appropriatamente ed efficacemente durante un incontro interculturale. A conclusione dell’articolo si offriranno alcuni suggerimenti generali per iniziare a immaginare la valutazione della competenza interculturale delle studentesse e degli studenti che rientrano da un programma annuale all’estero.

Student mobility – one of the key points within the process of school internationalisation – challenges the Italian school system in various ways. One of these challenges is represented by the fact that the Italian Class Council has the duty to assess and assign school credits to a student who, for a year, has attended a school program which is partially or completely different from the Italian program. The present article intends to analyse this particular issue and suggests that not only disciplinary competence, but also intercultural competence, should be assessed. To do this, estimates of number of students who participated in a program abroad during the past few years will be initially presented, providing in this way an overall picture of the phenomenon. Secondly, the legal framework within which this phenomenon is situated will be considered, with special reference to the latest ministerial documents. Subsequently, the article will underline that, according to the main international literature, one of the main expected outcomes of student mobility is the development of intercultural competence. The concept of intercultural competence, here understood as the ability to communicate appropriately and effectively during an intercultural encounter, will then be problematized. Finally, some general suggestions will be provided for beginning to conceptualize the assessment of returnees’ intercultural competence after a year abroad.

1. Introduzione
Nel crescente processo di internazionalizzazione della scuola, la mobilità studentesca rappresenta un punto centrale[1]. Questo fenomeno, tuttavia, pone diverse sfide al sistema scolastico italiano. Una di queste sfide consiste nel fatto che, sebbene una studentessa o uno studente abbia frequentato per un anno scolastico una scuola straniera, rimane responsabilità del Consiglio di classe d’origine il valutarlo e l’assegnargli il credito scolastico[2]. Il problema che si pone è che la studentessa o lo studente, durante il periodo trascorso all’estero, potrebbe non aver seguito alcune discipline previste dal piano di studio italiano e/o averne seguite delle altre. Allo stesso tempo, potrebbe aver studiato materie in comune fra i due sistemi scolastici ma trattate con una didattica diversa o aventi programmi differenti. Il Consiglio di classe, pertanto, si trova a fronteggiare il difficile compito di riconoscere, comparare e valutare gli studi svolti all’estero all’interno della cornice italiana.

La delicata questione della valutazione delle studentesse e degli studenti rientrati da un periodo di mobilità studentesca di lunga durata è stata oggetto d’indagine di uno studio[3] commissionato dalla Fondazione Intercultura e condotto dalla SICESE (Sezione Italiana della Comparative Education Society in Europe). Tale studio[4], mediante una ricerca etnografica svoltasi in scuole secondarie di secondo grado del Lazio e del Friuli Venezia Giulia, suggerisce che la personale sensibilità dell’insegnate, nonché la propria posizione rispetto alla mobilità studentesca, giochi un ruolo cruciale nel momento valutativo. Allo stesso tempo, tale sensibilità individuale si deve confrontare con la “cultura dell’istituto”. Infatti, come afferma Paolone,

dopo l’introduzione dell’autonomia scolastica i singoli istituti scolastici, specie se posti in regioni d’Italia lontane tra loro, tendono a sviluppare una “cultura d’istituto” idiosincratica e diversa da quelle degli altri istituti, specialmente con riferimento a questioni come la valutazione dei returnees[5].

Preso atto di questa complessa situazione, e seguendo la letteratura scientifica internazionale[6], nel presente contributo si desidera proporre una concezione di valutazione della studentessa o dello studente rientrato da un programma annuale all’estero che consideri, non tanto – o non solo – le conoscenze disciplinari, ciò che lo studente non ha svolto all’estero, quanto, piuttosto, le competenze acquisite in ambito di educazione formale, informale e non formale. In particolare, si porrà l’accento su quella competenza che alcuni esperti chiamano “competenza interculturale”.

Per fare ciò, inizialmente si presenteranno le stime degli studenti e delle studentesse che hanno partecipano a un programma all’estero negli ultimi anni fornendo, così, una fotografia generale del fenomeno (§ 2). Successivamente, si considererà la cornice normativa in cui tale fenomeno è inserito focalizzandosi sulle ultime note ministeriali (§ 3). In seguito, si problematizzerà il concetto di competenza interculturale intesa in questa sede come una delle competenze centrali da considerare all’interno del processo valutativo (§ 4). A conclusione dell’articolo (§ 5) si proporranno alcuni suggerimenti connessi all’importanza di iniziare a immaginare, all’interno della scuola secondaria di secondo grado in Italia, una valutazione della competenza interculturale contestualizzata per le studentesse e gli studenti che partecipano alla mobilità individuale internazionale.

2. Il fenomeno della mobilità individuale internazionale nella scuola secondaria di secondo grado in Italia
La migrazione per motivi di studio non è un fenomeno nuovo[7]. Fin dal Medioevo, infatti, è possibile rintracciare un movimento intraeuropeo di studenti e professori che si spostavano temporaneamente da un’università a un’altra. Oltre ai molti pellegrini religiosi,

pilgrims or travellers (peregrini) of another kind were also a familiar sight on the roads of Europe. These were the university students and professors. Their pilgrimage (peregrination) was not to Christ’s or a saint’s tomb but to a university city where they hoped to find learning, friends, and leisure[8].

Lo sviluppo della mobilità accademica e scolastica, tuttavia, non è stato né lineare né omogeneo. I fatti della storia macro, come le guerre mondiali e la guerra fredda, hanno sempre influenzato gli atteggiamenti politici nei confronti della mobilità studentesca, a volte promuovendola, a volte osteggiandola. Questi atteggiamenti erano essenzialmente guidati da dinamiche che andavano dalla promozione dell’immagine nazionale all’estero alla non contaminazione con altre culture intese in senso nazionale.

Con il passare del tempo ai governi si sono affiancate anche le Organizzazioni Non Governative che concepivano la mobilità studentesca come uno strumento per «diffondere uno spirito di pace e comprensione reciproca e per placare il clima di ostilità e intolleranza che aveva caratterizzato i primi decenni del ventesimo secolo»[9].

Oggi la mobilità studentesca è un fenomeno in continua crescita[10]. Come sostengono Byram e Feng «the tradition of the 19th century “grand tour” for the children, usually the sons, of the aristocracy is now accessible, it is hoped, to all»[11]. Pertanto, la mobilità studentesca, che era solitamente riservata a pochi studenti, è cresciuta e si è espansa[12] al punto da essere concepita come una delle strategie chiave per l’internazionalizzazione dell’educazione[13].

Negli ultimi decenni molti sono i documenti nazionali[14] e internazionali[15] che incoraggiano la migrazione temporanea degli studenti. Progetti come l’Erasmus, oggi Erasmus Plus, hanno permesso agli studenti di oltrepassare i confini nazionali per un periodo temporaneo di studio all’estero. L’Erasmus, però, è solo uno dei molti programmi di mobilità studentesca. Già nel 1987 i partecipanti al “Meeting of Governmental and non Governmental Officials Responsible for Programmes of Youth Exchange[16] indicavano quattro approcci per analizzare le diverse tipologie di scambi giovanili:

  • Il primo approccio è quello che considera la modalità dello scambio (ad esempio, scambi scolastici, un anno ospiti di una famiglia, scambi universitari, scambi linguistici, gemellaggi, scambi fra organizzazioni religiose).
  • Il secondo approccio è quello che categorizza la mobilità come scambi di gruppo o scambi individuali.
  • Il terzo approccio è quello che prende in considerazione le organizzazioni (ad esempio, organizzazioni non governative, organizzazioni governative, organizzazioni regionali).
  • L’ultimo approccio considera la lunghezza dello scambio (ad esempio, settimanale, mensile, trimestrale, semestrale, annuale).

Preso atto della lunga storia e dell’eterogeneità degli scambi giovanili, si ritiene ora utile concentrarsi sulla mobilità delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria di secondo grado in Italia. Secondo le stime dell’Osservatorio Nazionale sull’Internazionalizzazione delle Scuole e la Mobilità Studentesca[17] (da ora Osservatorio) nel 2014 le studentesse e gli studenti italiani all’estero con un programma annuale, semestrale o trimestrale erano 7300 (stima 6800-7800) contro i 4700 (stima 4400-5000) del 2011 (+55% fra il 2011 e il 2014) e i 3500 (stima 3200-3900) nel 2009 (+ 34% fra il 2009 e il 2011). Se si guarda in particolare l’andamento dei programmi annuali si vedrà che nel 2009 la stima variava fra i 2200 e i 2500 studenti, nel 2011 c’erano 3300 studenti e nel 2014 erano 4100 (si veda Tab. 1).

Tab. 1 Stime studenti all'estero

Tab. 1 Stime studenti all'estero

Questi dati evidenziano un trend in continua crescita. Ma chi sono le studentesse e gli studenti che partono per andare all’estero per un periodo di studio? Chi sono quelli che invece non vogliono partire? L’Osservatorio classifica la popolazione delle studentesse e degli studenti italiani in sei cluster: i Determinati, i Globetrotter, i Basici, gli Individualisti, i Conservatori e i Demotivati[18]. Entrando nello specifico:

  • I Globetrotter sono tendenzialmente sedicenni liceali del Centro Italia con buone valutazioni scolastiche. Eccellono nelle lingue, hanno amicizie con persone straniere, hanno viaggiato sia concretamente che virtualmente. Alle spalle hanno una famiglia che ha piena fiducia in loro.
  • I Determinati sono tendenzialmente diciasettenni provenienti dal Centro Italia con ottime valutazioni scolastiche. Il mondo estero fa parte della loro vita quotidiana grazie alla visione di film e alla lettura di libri in lingue straniere. Hanno viaggiato molto e per loro l’estero è qualcosa di interessante e utile per il proprio futuro. Sono giovani, aperti mentalmente, preparati e sicuri di sé. Anche loro hanno pieno appoggio della famiglia.
  • I Basici sono tendenzialmente diciasettenni liceali del Sud e delle Isole. Sono curiosi e motivati a conoscere il mondo ma devono investire maggiormente in competenze digitali e linguistiche. Hanno una certa mancanza di autonomia nell’intraprendere strade internazionali. La famiglia, anche in questo caso, è fonte di fiducia.
  • Gli Individualisti tendenzialmente sono sedicenni di istituti tecnici del Nord Est. Hanno una curiosità limitrofa rispetto a ciò che non sia “Italia” e questa curiosità è soprattutto motivata dalle lingue straniere. Difficilmente lascerebbero il Bel Paese, sono concentrati su se stessi e hanno un approccio alla vita molto razionale piuttosto che istintuale. Anche nel loro caso c’è il sostegno della famiglia.
  • I Conservatori tendenzialmente sono diciasettenni degli istituti tecnici. Sono chiusi al mondo esterno, legati a una visione focalizzata esclusivamente sull’Italia. Non sono particolarmente interessati, a volte perfino refrattari, allo studio delle lingue straniere. La famiglia accentratrice non li ha cresciuti in una dimensione di libertà e autonomia.
  • I Demotivati tendenzialmente quindicenni e sedicenni degli istituti professionali del Nord Est e del Sud Italia. Non sono molto bravi a scuola e sono disinteressati al mondo che li circonda, che sia l’Italia o l’estero. Sebbene riconoscano l’importanza dell’apprendimento delle lingue straniere, non agiscono per acquisirle. Sembrano studenti smarriti, probabilmente anche perché la famiglia è pressoché assente[19].

Basandosi su questi sei profili, l’istituito di ricerca Ipsos ha fatto degli studi che rappresentassero l’intera popolazione delle studentesse e degli studenti in Italia dai quali:

ne deriva che il 27% dei ragazzi che frequentano una classe italiana tra il secondo e l’ultimo anno delle superiori sono i rappresentanti dello zoccolo duro dei Conservatori e dei Demotivanti (rispettivamente 17% e 10%). Lontanissimi da loro si collocano i Determinati e i Globetrotter (11% e 14%). Nel mezzo stanno i Basici (22%) e gli Individualisti (26%) pronti a propendere da una parte o dall’altra, ma mai per decisione propria[20].

Questi cluster sono un tentativo di descrivere, mediante un processo di generalizzazione, le studentesse e gli studenti della scuola secondaria di secondo grado italiana rispetto alla dimensione dell’internazionalizzazione. Evidentemente, vista la complessità umana, hanno semplicemente un valore indicativo (non prescrittivo). Ulteriori ricerche, in particolari di matrice qualitativa, potrebbero essere di aiuto a precisare meglio queste categorie.

Preso atto del trend in crescita delle studentesse e degli studenti italiani della scuola secondaria di secondo grado che decidono di partecipare a un programma individuale all’estero, si desidera comprendere ora come tale esperienza sia concettualizzata all’interno della cornice normativa della scuola.

3. La dimensione normativa italiana in materia di mobilità studentesca
In questo paragrafo si presenterà succintamente un’analisi storico-critica della normativa italiana degli ultimi quindici anni concernente la mobilità studentesca, focalizzandosi in particolare sulla dimensione valutativa. In questo modo sarà possibile comprendere la cornice in cui si inserisce il fenomeno della mobilità giovanile.

Da un punto di vista normativo, la mobilità individuale delle studentesse e degli studenti italiani frequentanti la scuola secondaria di secondo grado è disciplinata dal Regolamento dell’autonomia scolastica (DPR 275/1999). All’art. 14, c. 2 si legge che:

le istituzioni scolastiche provvedono a tutti gli adempimenti relativi alla carriera scolastica degli alunni e disciplinano, nel rispetto della legislazione vigente, le iscrizioni, le frequenze, le certificazioni, la documentazione, la valutazione, il riconoscimento, degli studi compiuti in Italia e all’estero ai fini della prosecuzione degli studi medesimi, la valutazione dei crediti e debiti formativi, la partecipazione a progetti territoriali e internazionali, la realizzazione di scambi educativi internazionali.

In precedenza, la mobilità studentesca trovò la sua prima disciplina organica[21] nella Circolare Ministeriale n. 181 del 17 marzo 1997 avente per oggetto la Mobilità studentesca internazionale. I punti salienti della Circolare sono: (i) la mobilità studentesca non può superare l’anno scolastico, (ii) l’anno all’estero è legalmente riconosciuto, (iii) la riammissione dell’alunno alla classe d’origine spetta al Consiglio di classe competente, (iv) la valutazione dell’esperienza all’estero è basata sulla coerenza con gli obiettivi didattici previsti dai programmi di insegnamento italiani. Quest’ultimo punto è fortemente riaffermato dalla Circolare Ministeriale n. 236 dell’8 ottobre 1999 avente per oggetto Mobilità studentesca internazionale ed esami di Stato quando, per «ragioni di equità e di parità di trattamento», si afferma che lo studente al rientro deve essere sottoposto dal Consiglio di classe ad un accertamento sulle materie non previste nel piano degli studi compiuti all’estero.

Sulla base dell’esito delle prove suddette, il Consiglio di classe formula una valutazione globale, che tiene conto anche della valutazione espressa dalla scuola estera sulle materie comuni ai due ordinamenti, che determina l’inserimento degli alunni medesimi in una delle bande di oscillazione del credito scolastico previste dalla vigente normativa.

Il Ministero, pertanto, riconosce legalmente l’anno scolastico compiuto all’estero, dato importante questo perché non comune a tutti i sistemi scolastici, ma il reinserimento dell’alunno nella classe d’origine è subordinato a una verifica relativa agli apprendimenti di quelle materie previste dai programmi italiani e non frequentate all’estero, in aggiunta al recepimento della valutazione effettuata dalla scuola ospitante. Va rilevato che la Circolare n. 236/1999 introduce il concetto di “valutazione globale”, senza, tuttavia, chiarirne il significato: è dubbio, infatti, se per valutazione globale si debba intendere una valutazione che rimanga comunque circoscritta alle conoscenze (educazione formale) o se, la predetta locuzione, apra alla possibilità di una valutazione che consideri anche l’esperienza nella sua componente di educazione non formale ed informale.

A questo riguardo, un tentativo di precisazione può essere rintracciato nella Comunicazione n. 2787 /R.U./ U del 20 aprile 2011 intitolata Titoli di studio conseguiti all’estero. Il contributo chiarificatore, e allo stesso tempo innovativo, di questa Comunicazione, almeno per quanto concerne la materia presa in esame, si trova sotto il titolo V, Soggiorni di studio all’estero. In quella sede, dopo aver richiamato la Circolare Ministeriale 181/1997, si afferma che

considerato il significativo valore educativo delle esperienze di studio compiute all’estero e l’arricchimento culturale della personalità dello studente che ne deriva, si invitano, le istituzioni a facilitare per quanto possibile, nel rispetto della normativa del settore, tale tipologia educativa.

Pur rimanendo ancora vago e generale[22], il Ministero inizia a porre attenzione non più alle sole conoscenze formali che lo studente deve acquisire, ma anche a quegli aspetti che riguardano maggiormente le dimensioni dello sviluppo personale e dell’arricchimento culturale dello studente. Tale spostamento di prospettiva è probabilmente da associare all’accoglimento del concetto di competenza nei documenti ministeriali[23] nei quali viene definita come

la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termine di responsabilità e autonomia.

L’introduzione del concetto di competenza impone una direzione nuova la quale, dall’esclusiva idea di conoscenza, che comunque rimane un tassello fondamentale del concetto stesso di competenza, muove verso altri aspetti come quello di abilità e capacità personali. In questo senso, la nozione di competenza dovrebbe rappresentare una rivoluzione copernicana[24] della scuola italiana.

Con la Nota ministeriale n. 843 del 10 aprile 2013 avente per oggetto Linee di indirizzo sulla mobilità studentesca internazionale individuale, si assiste a una netta presa di posizione politica[25] del Ministero rispetto all’esperienza di studio all’estero considerata come «parte integrante dei percorsi di formazione e istruzione». Nella Nota si legge che la mobilità studentesca individuale, all’interno del processo di internazionalizzazione, è «un fenomeno strutturale in progressivo aumento»: si assiste a un crescente «flusso continuo e rilevante» di giovani che «sono sempre più interessati ad acquisire e rafforzare le competenze che il crescente contesto globale richiede».

Oltre a evidenziare la posizione del Ministero, la Nota rileva e offre indicazioni operative rispetto alle problematicità connesse alla mobilità studentesca, come ad esempio:

  • Di inserire la mobilità studentesca nel Piano dell’offerta formativa (POF).
  • Di armonizzare, all’interno del medesimo istituto, le pratiche di competenza del Consiglio di classe (come, ad esempio, le pratiche valutative).
  • Di valorizzare le esperienze all’interno delle classi e dell’intera scuola.
  • Di individuare figure dedicate come dei referenti o dei tutor.
  • Di prevedere attività di informazione/formazione e orientamento così che genitori e studenti/studentesse possano ricevere una corretta informazione sulle diverse opportunità.
  • Di pensare un contratto formativo o Learning Agreement prima della partenza dell’allievo.

Questo elenco non esaurisce la ricchezza della Nota però, ai fini del presente contributo, è apparso conveniente porre l’attenzione su due punti in particolare: (i) la concettualizzazione dell’esperienza all’estero; (ii) la sua valutazione. Per quanto concerne il primo punto, la Nota asserisce che:

è importante essere consapevoli che partecipare ad esperienze di studio o formazione all’estero significa mettere alla prova risorse cognitive, affettive e relazionali riconfigurando valori, identità, comportamenti e apprendimenti. Essere “straniero” in una famiglia e in una scuola diverse dalle proprie contribuisce a sviluppare competenze di tipo trasversale, oltre a quelle più specifiche legate alle discipline. Imparare a leggere e a utilizzare altri codici, saper riconoscere regole e principi diversi, imparare a orientarsi al di fuori del proprio ambiente umano e sociale utilizzando “le mappe” di una cultura altra esigono un impegno che va ben oltre quello richiesto dalla frequenza di un normale anno di studio.

Le righe soprariportate riconoscono che la mobilità studentesca non può essere considerata solo nel suo aspetto di educazione formale (conoscenze disciplinari). Quest’esperienza, infatti, coinvolgendo lo studente da un punto di vista cognitivo, affettivo e relazionale, deve essere concettualizzata nella sua unità di educazione formale, informale e non formale. Tale concettualizzazione comporta, conseguentemente, che la valutazione della studentessa o dello studente rientrato non può limitarsi alla dimensione disciplinare, ma dovrebbe prendere in considerazione anche quelle competenze che il Ministero chiama “trasversali”.

Il problema che si pone successivamente, e con il quale si affronta il secondo punto, è il seguente: come valutare, a fini scolastici, questo tipo di esperienza? Sulle questioni valutative, la Nota riafferma che è competenza del Consiglio di classe «riconoscere e valutare le competenze acquisite durante l’esperienza all’estero considerandola nella sua globalità e valorizzandone i punti di forza». Per fare ciò il Consiglio di classe acquisisce i documenti valutativi prodotti dalla scuola straniera, e qualora lo ritenesse necessario, può sottoporre lo studente a un «accertamento[26], che si sostanzia in prove integrative al fine di pervenire ad una valutazione globale»[27]. Quest’ultima consentirebbe di determinare il credito scolastico dell’alunno/a. La Nota continua rimarcando che:

oltre alle conoscenze e competenze disciplinari, gli istituti dovrebbero essere incoraggiati a valutare e a valorizzare gli apprendimenti non formali ed informali, nonché le competenze trasversali acquisite dagli studenti partecipanti a soggiorni di studio o formazione all’estero.

Il Ministero sottolinea, coerentemente con quanto affermato prima, che la mobilità studentesca, concretizzandosi in uno spazio che va oltre quelli della scuola, deve essere considerata nella sua globalità. In particolare, la Nota pone l’accento sul concetto di competenze trasversali[28] come uno dei risultati attesi da un’esperienza all’estero.

Pare pertanto ragionevole dedurre che il concetto di “valutazione globale” sia da interpretare, almeno in quest’ultima Nota, come una valutazione d’insieme che non consideri esclusivamente i contenuti fondamentali (educazione formale) necessari ad affrontare l’anno successivo, e nella maggior parte dei casi, l’Esame di stato, ma anche quegli apprendimenti informali e non formali che rappresentano la parte più arricchente di un’esperienza all’estero.

Se, come si è già detto, questa Nota ha il merito di chiarire l’orientamento politico del Ministero e fornire alcuni suggerimenti pratici, permangono, ciononostante, delle problematicità. Una di queste è strettamente legata alla dimensione valutativa. Nella Nota il Ministero non chiarisce il peso che la valutazione delle competenze trasversali dovrebbero avere, in particolare in relazione all’assegnazione del credito, lasciando la questione interamente all’arbitrio, se non addirittura alla creatività, dei Consigli di classe. Uno dei rischi è, evidentemente, un diverso trattamento delle studentesse e degli studenti, non solo fra i diversi istituti, ma anche all’interno del medesimo istituto[29]. Rischio, quest’ultimo, che nell’ultima Nota il Ministero dichiara esplicitamente di voler scongiurare.

Con questa breve carrellata normativa, si è tentato di mettere in luce come negli ultimi quindici anni l’atteggiamento del Ministero nei confronti della mobilità studentesca sia significativamente mutato. In particolare sono state rilevate differenze in materia di concettualizzazione e di pratiche valutative dell’esperienza all’estero: da una valutazione focalizzata esclusivamente sugli obiettivi didattici delle singole discipline si è passati ad una valutazione globale dell’esperienza che prende in esame anche le competenze trasversali. Di seguito si vedrà che fra quest’ultime, all’interno di una cornice europea, è compresa anche la competenza interculturale.

4. La competenza interculturale
In questo paragrafo si esaminerà e problematizzerà la competenza interculturale, qui compresa come una delle principali competenze trasversali attese dalla mobilità studentesca. Per fare ciò, in primis, si presenterà la concettualizzazione della competenza interculturale all’interno della cornice istituzionale europea (§ 4.1). Secondariamente, si problematizzerà tale concetto seguendo la letteratura internazionale (§ 4.2).
4.1 La competenza interculturale all’interno della cornice dell’Unione Europea
All’interno dell’Unione europea sono due i documenti da ricordare quando ci si riferisce alla competenza interculturale: (i) la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente; (ii) le Conclusioni del Consiglio del 22 maggio 2008 sulle competenze interculturali.

Il primo documento, particolarmente importante perché recepito dalla normativa italiana concernente la scuola[30], definisce le competenze chiave che ogni cittadino europeo dovrebbe sviluppare «per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione». Ciò che è di particolare interesse rispetto al presente articolo è che in questi due documenti le competenze chiave legate alle competenze interculturali sono: comunicazione nelle lingue straniere, competenze sociali e civiche e consapevolezza ed espressione culturale[31]. Tuttavia, solo nelle competenze sociali e civiche si trova esplicitamente l’espressione “competenze interculturali”[32] nonché una sua concettualizzazione.

Entrando nello specifico della competenza sociale, nella Raccomandazione del 2006 si legge:

Per un’efficace partecipazione sociale e interpersonale è essenziale comprendere i codici di comportamento e le maniere generalmente accettati in diversi ambienti e società (ad esempio sul lavoro). È altresì importante conoscere i concetti di base riguardanti gli individui, i gruppi, le organizzazioni del lavoro, la parità e la non discriminazione tra i sessi, la società e la cultura. È essenziale inoltre comprendere le dimensioni multiculturali e socieconomiche delle società europee e il modo in cui l’identità culturale nazionale interagisce con l’identità europea.

Quanto appena citato è in riferimento alla sfera delle conoscenze[33]. Per quanto concerne la sfera delle abilità, la competenza sociale comprende

la capacità di comunicare in modo costruttivo in ambienti diversi, di mostrare tolleranza, di esprimere e di comprendere diversi punti di vista, di negoziare con la capacità di creare fiducia e di essere in consonanza con gli altri.

Infine, la competenza sociale

si basa sull’attitudine alla collaborazione, l’assertività e l’integrità. Le persone dovrebbero provare interesse per lo sviluppo socioeconomico e la comunicazione interculturale e dovrebbero apprezzare la diversità e rispettare gli altri ed essere pronte a superare i pregiudizi e a cercare compromessi.

Da questi stralci si evince che la descrizione degli elementi che compongono la competenza sociale ha molte assonanze con quello che nella letteratura internazionale, come si vedrà nel prossimo paragrafo, viene etichettata come “competenza interculturale”.

Questo consente di affermare che fra le competenze trasversali, così come concettualizzate dall’Unione europea, vada considerata anche la competenza interculturale. Conseguentemente, se nella Nota ministeriale n. 843 del 10 aprile 2013 avente per oggetto Linee di indirizzo sulla mobilità studentesca internazionale individuale, precedentemente discussa, si suggerisce agli istituti scolastici di valutare, al rientro della studentessa o dello studente, anche le competenze trasversali allora si può affermare che le scuole siano chiamate a valutare, fra le altre, la competenza interculturale.

4.2 La competenza interculturale all’interno della letteratura internazionale
Ma cosa è la competenza interculturale? Ogni possibile risposta a questa domanda va intesa come work in progress[34]. Pertanto, in questa sede non si ha la pretesa di esaurire il vasto dibattito internazionale attorno a questo costrutto. Piuttosto, si tenterà di problematizzarlo fornendo alcuni confini semantici ed epistemologici.]

Il primo problema che si incontra quando si affronta il concetto di competenza interculturale è di natura terminologica. In letteratura, infatti, sono rintracciabili diverse espressioni che afferiscono alla sfera semantica della “competenza interculturale”[35] come ad esempio sensibilità interculturale, competenza globale, competenza transculturale. In questo articolo si è scelto di adottare la locuzione “competenza interculturale” in quanto sembra essere quella attualmente più diffusa a livello internazionale. Inoltre, si rileva che anche nel contesto nazionale, sebbene in forma ancora embrionale, sta iniziando a diffondersi nelle Scienze dell’Educazione questa espressione[36], in particolare in seguito a un progetto PRIN 2008 intitolato Competenze interculturali: modelli teorici e metodologie di formazione.

Un secondo problema che si incontra quando si cerca di comprendere il significato di competenza interculturale è l’abbondanza di definizioni presenti in letteratura. Fantini e Tirmizi definiscono la competenza interculturale come

a complex of abilities needed to perform effectively and appropriately when interacting with others who are linguistically and culturally different from oneself[37].

Spitzberg e Changnon sostengono che la

intercultural competence is the appropriate and effective management of interaction between people who, to some degree or another, represent different or divergent affective, cognitive, and behavioural orientations to the world[38].

Barrett scrive che la

Intercultural competence is the set of attitudes, skills, knowledge and behaviours which are requires for appropriate and effective interaction and communication with people who are perceived to be from a different cultural background from oneself. The term “appropriate” means that interactions do not violate the cultural rules and norms which are valued by one’s objectives in the interactions. Intercultural competence involves a wide range of attitudes, skills and knowledge[39].

Portera, invece, definire le competenza interculturali (al plurale) come

l’insieme di caratteristiche, conoscenze, attitudini e abilità atte a gestire con profitto relazioni con persone linguisticamente e culturalmente differenti[40].

Il primo tentativo di raggiungere a una definizione condivisa fra gli esperti è rappresentato dallo studio di Deardorff[41]. La studiosa statunitense, impiegando la Delphi technique come strumento di ricerca, ha coinvolto 23 professori (principalmente americani), attivi nell’ambito dell’interculturalità, i quali sono convenuti sulla seguente definizione di competenza interculturale:

«the ability to communicate effectively and appropriately in intercultural situations based one’s intercultural knowledge, skills, and attitudes»[42].

Pertanto, la competenza interculturale è qui compresa come quella capacità di comunicare in modo appropriato ed efficace in una situazione interculturale. Tale abilità si basa sulle proprie attitudini, conoscenze e capacità interculturali.

Un terzo problema, strettamente legato al precedente, è la quantità di modelli presenti. Nella loro revisione della letteratura, Spitzberg e Changnon[43] categorizzano i principali modelli di matrice occidentale in cinque categorie tematiche: compositional models, co-orientational models, developmental models, adaptational models, causal process models. Gli autori sostengono che dall’analisi dei modelli emerge uno «strong conceptual paths along which future theory development can and should progress»[44]. Allo stesso, però, sottolineano diversi limiti come quello che tendenzialmente i modelli hanno una prospettiva esclusivamente occidentale, si focalizzano sull’individuo piuttosto che su quello che accade nell’interazione, non hanno sufficientemente indagato empiricamente gli elementi che compongono la competenza interculturale.

Riprendendo il lavoro di Deardorff, l’autrice statunitense offre una duplice rappresentazione grafica della competenza interculturale: il modello a piramide e quello processuale. In entrambi i modelli si evince che gli elementi che compongono la competenza interculturale sono le attitudini (ad es. curiosità, apertura, rispetto, tolleranza dell’ambiguità), le conoscenze (ad es. autoconsapevolezza culturale, comprensione dell’influenza dei contesti nelle visioni del mondo, consapevolezza sociolinguistica), capacità (ad es. ascoltare, osservare, analizzare, interpretare, creare collegamenti). Questi tre componenti, orchestrati[45] assieme, producano degli effetti interiori ovverosia lo sviluppo di flessibilità, capacità di adattamento, visione etnorelativa ed empatia. A loro volta gli effetti interiori determinano degli effetti esteriori che corrispondono al comportarsi e comunicare in modo efficace e appropriato durante un’interazione interculturale (parte visibile della competenza).

I due modelli proposti da Deardorff hanno, però, delle specificità. Il modello a piramide ha il merito di segnalare che alla base della competenza interculturale vi sono le attitudini, quelle che in un lessico tradizionale si potrebbero chiamare il “saper essere”. Il modello processuale, invece, ha il pregio di sottolineare che la competenza interculturale è un processo in continuo divenire[46].

In sintesi, si è visto come la competenza interculturale sia una competenza che consenta di agire appropriatamente ed efficacemente in una situazione interculturale. Ma come valutare un concetto così complesso? Questo sarà l’oggetto del paragrafo conclusivo.

5. Conclusione: Verso una valutazione della competenza interculturale
In questo contributo si è evidenziato che la mobilità studentesca a livello di scuola secondaria di secondo grado in Italia è in continua crescita. Allo stesso tempo si è rilevato che questo fenomeno crea alcune problematiche al momento del rientro dello studente o della studentessa. Una di esse, ad esempio, è rintracciabile nel fatto che è responsabilità del Consiglio di classe d’origine valutare, all’interno della cornice italiana, gli studi svolti all’estero. Da tale valutazione ne deriva l’assegnazione del credito scolastico. Si è analizzato, altresì, che il Ministero suggerisce ai Consigli di classe di mettere in atto una valutazione globale dell’esperienza, ovverosia non focalizzata solo sulle conoscenze disciplinari, ma che tenga conto anche delle competenze trasversali acquisite durante l’anno all’estero. Una di queste competenze, seguendo la cornice istituzionale europea, è la competenza intercultura. Quest’ultima, come si è visto, può essere intesa come la capacità di comunicare e comportarsi in modo efficace e appropriato durante un incontro interculturale.

Va posto in evidenza, tuttavia, che lo

development of intercultural competence do not unfortunately “just happen” (…) because persons from differing backgrounds are in the vicinity of one another, or even interacting with each other[47].

A conferma di ciò, diversi autori[48] sostengono che il partecipare a delle attività di mobilità studentesca non determina automaticamente l’acquisizione e lo sviluppo della competenza interculturale. Per questa e per altre ragioni, quindi, la valutazione della competenza interculturale di una studentessa o di uno studente che ha partecipato a un’esperienza di internazionalizzazione sta acquisendo sempre più credito fra le istituzioni educative[49].

A sua volta, però, la valutazione della competenza interculturale è oggetto di un vasto dibattito internazionale[50]. In questa sede si desidera riprendendo succintamente alcuni suggerimenti generali emersi dagli ultimi lavori di Deardorff. Secondo la studiosa statunitense, un piano di valutazione della competenza interculturale efficace richiede di:

  • Avere una chiara comprensione del motivo per cui si desidera valutare la competenza interculturale.
  • Avere una chiara definizione degli obiettivi di apprendimento.
  • Allineare fra i metodi e gli strumenti valutativi e gli obiettivi di apprendimento. Questo potrebbe voler dire usare diverse procedure di valutazione.
  • Partire con un piano di valutazione.
  • Coinvolgere altri soggetti nella pianificazione, programmazione, attuazione e valutazione del processo valutativo.
  • Avere trasparenza e chiarezza nei criteri utilizzati.
  • Essere supportati da attività di apprendimento e interventi.
  • Acquisire informazioni rispetto alla valutazione.
  • Avere una regolare revisione del piano e del processo di valutazione stesso[51].

Partendo da questi suggerimenti, i Consigli di classe potrebbero iniziare a immaginare strumenti specifici, oltre a quelli già presenti[52], per valutare lo sviluppo della competenza interculturale degli studenti e delle studentesse che rientrano da un programma all’estero di lunga durata.

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  1. Cfr. D. Palomba, A. R. Paolone, C. Roverselli, O. Niceforo, C. Cappa, Internazionalizzazione della scuola e mobilità studentesca. Il ruolo degli insegnanti, Colle di Val d’Elsa, Fondazione Intercultura, 2010.
  2. Tendenzialmente, le studentesse e gli studenti che partecipano a un programma annuale all’estero lo fanno nel quarto anno della scuola secondaria di secondo grado (sebbene non manchino persone che lo facciano anche al terzo anno).
  3. D. Palomba et al., op. cit.
  4. Si veda in particolare A. R. Paolone, «I returnees di “lungo corso”: l’atteggiamento degli insegnanti», in Internazionalizzazione della scuola e mobilità studentesca. Il ruolo degli insegnanti, D. Palomba, A. R. Paolone, C. Roverselli, O. Niceforo, C. Cappa, Colle di Val d’Elsa, Fondazione Intercultura, 2010, pp. 17-86.
  5. A. R. Paolone, op. cit., p. 28.
  6. Fra i vari, cfr. M. Byram, A. Feng (a c. di), Living and studying abroad, Clevedon, Multilingual Matters, 2006; D. K. Deardorff, H. de Wit, J. D. Heyl, T. Adams (a c. di), The SAGE handbook of international higher education, Thousand Oaks, Sage, 2012; V. Savicki, (a c. di), Developing intercultural competence and transformation, Sterling, Stylus, 2008.
  7. Per una ricostruzione storica della mobilità studentesca si veda H. de Wit., G. Merkx, «The history of internationalization of higher education», in The SAGE handbook of international higher education (a c. di D.K. Deardorff, H. de Wit, J.D. Heyl, T. Adams), Thousand Oaks, Sage, 2012, pp. 23-59.
  8. H. De Ridder-Symoens, «Mobility», in Id. (Ed.), A history of the university in Europe: Vol. I. Universities in the Middle Age, Cambridge – UK, Cambridge University Press, cit. in H. de Wit, G. Merkx, op. cit., pp. 43-44.
  9. R. Ruffino, «Intercultura: studenti liceali alla volta dell’estero», in Rapporto Italiani nel mondo 2015, (a c. di Fondazione Migrantes), Todi, Tau, 2015, p. 53.
  10. Fra i vari si veda M. Banks, R. Bhandari, «Global student mobility», in The SAGE handbook of international higher education (a c. di D. K. Deardorff, H. de Wit, J.D. Heyl, T. Adams), Thousand Oaks, Sage, 2012, pp. 379-397, dove vengono presentati i dati rispetto alla mobilità studentesca universitaria a livello mondiale. Per la mobilità studentesca a livello di scuola secondaria italiana si veda in questo paragrafo.
  11. M. Byram, A. Feng, «Introduction», in Living and studying abroad (a c. di. M. Byram, A. Feng), Clevedon, Multilingual Matters, 2006, p. 1.
  12. Cfr. V. Savicki, op. cit.
  13. Cfr. Universitas Quaderni, Lo spazio europeo dell’istruzione superiore. Verso il 2020, Roma, Cimea, 2013.
  14. Per la scuola secondaria di secondo grado si veda ad esempio Nota ministeriale n. 843 del 10 aprile 2013.
  15. Si veda ad esempio l’allegato al Comunicato di Budapest, Mobilità per un migliore apprendimento (26 e 27 aprile 2012), in «Universitas Quaderni», op. cit.
  16. UNESCO, Youth Exchange, Meeting of governmental and non governmental officials responsible for programmes of youth exchange, Rome, 22-26 June 1987.
  17. http://www.scuoleinternazionali.org/Homepage-ita/ Le indagini sono affidate all’Istituto di ricerca Ipsos.
  18. Cfr. Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, All’altezza del compito. Presidi, insegnanti, studenti e genitori si misurano con la sfida dell’internazionalità, Milano, FrancoAngeli, 2012.
  19. Cfr. ivi.
  20. Ivi, p. 12.
  21. Cfr. O. Niceforo, «La normativa sui soggiorni di studio all’estero», in Internazionalizzazione della scuola e mobilità studentesca. Il ruolo degli insegnanti (D. Palomba, A. R. Paolone, C. Roverselli, O. Niceforo, C. Cappa), Colle di Val d’Elsa, Fondazione Intercultura, 2010, pp. 109-116.
  22. Rimane oscuro cosa si intenda nella Comunicazione con il termine “facilitare”.
  23. Più precisamente, ci si riferisce (i) al Decreto Ministeriale n. 139 del 22 agosto del 2007, Regolamento recante norme in materie di adempimento dell’obbligo di istruzione (che richiama esplicitamente la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente) con particolare riferimento all’allegato 2 Competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria e (ii) al Decreto Ministeriale n. 9 del 27 gennaio 2010 con il quale viene adottato il Certificato delle competenze di base acquisite nell’assolvimento dell’obbligo di istruzione.
  24. Cfr. F. Batini, Insegnare per competenze, Torino, Loescher, 2013; M. Castoldi, Valutare le competenze, Roma, Carocci, 2009.
  25. È utile ricordare che una nota ministeriale non ha vincolo prescrittivo, come nel caso di una legge o di un decreto legge, giacché ha una dimensione meramente orientativa. Rimane, comunque, uno strumento di esplicitazione politica.
  26. La Nota sottolinea che «è in ogni caso escluso che la scuola possa sottoporre l’alunno a esami di idoneità» (enfasi nel testo originale). L’eventuale accertamento si deve basare sui «contenuti minimi utili per la frequenza dell’anno successivo».
  27. Enfasi nel testo originale.
  28. Sul legame fra competenze trasversali e mobilità studentesca si veda C. Roverselli, A. R. Paolone, Competenze trasversali. Valutazione e valorizzazione delle esperienze di studio all’estero, Colle di Val d’Elsa, Fondazione Intercultura, 2013.
  29. Cfr. A.R. Paolone, op.cit..
  30. Decreto Ministeriale n. 139 del 22 agosto del 2007, Regolamento recante norme in materie di adempimento dell’obbligo di istruzione.
  31. Conclusioni del Consiglio del 22 maggio 2008 sulle competenze interculturali.
  32. Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente.
  33. Nella Raccomandazione del 2006 «le competenze chiave per l’apprendimento permanente sono una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto».
  34. In M. Baiutti, Competenz* Intercultural*. Work in Progress, in «CEM Mondilaità», 2, 2014, p. 13.
  35. D. K. Deardorff, E. Jones, «Intercultural competence», in The SAGE handbook of international higher education (a c. di D. K. Deardorff, H. de Wit, J. D. Heyl, T. Adams), Thousand Oaks, Sage, 2012, pp. 283-303; A. E. Fantini, «Assessing intercultural competence: Issues and tools», in The SAGE Handbook of Intercultural Competence (a c. di D. K. Deardorff), Thousand Oaks, Sage, 2009, pp. 456-476; H. Spencer-Oatey, P. Franklin, Intercultural interaction, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2009.
  36. Fra i vari si ricorda, M. Baiutti, La competenza interculturale per pensare assieme un futuro possibile, in «MeTis», V (1), 2015, pp. 332-339; P. E. Balboni, F. Caon, La comunicazione interculturale, Venezia, Marsilio, 2015 (II ed.); C. Calliero, M. Castoldi (a c. di), A scuola di intercultura, Milano, FrancoAngeli, 2013; S. Claris, Educazione della competenza interculturale, Brescia, La Scuola, 2005; S. Claris, Valori in gioco. Riflessioni sulla dimensione etica della competenza interculturale, Verona, QuiEdit, 2015; M. Damini, Costruire competenze interculturali attraverso il Cooperative Learning: un percorso di ricerca-azione nella scuola secondaria di secondo grado, in «Giornale Italiano della Ricerca Educativa», IV (7), 2011, pp. 23-37; M. Damini, A. Surian, L’uso degli incidenti critici nella valutazione dello sviluppo delle competenze interculturali, in «Giornale Italiano della Ricerca Educativa», V, 2012, pp. 291-302; S. De Angelis, Competenze interculturali a scuola, in «Quaderni di Intercultura», 1, 2009, pp. 1-10; S. De Angelis, Competenze interculturali in ambienti di apprendimento. Modelli teorici e percorsi informali, Roma, Aracne, 2011; A. Miltenburg, A. Surian, Apprendimento e competenze interculturali, Bologna, EMI, 2002; A. Portera (a c. di), Competenze interculturali, Milano, FrancoAngeli, 2013; P. Reggio, M. Santerini (a c. di), Le competenze interculturali nel lavoro educativo, Roma, Carocci, 2014.
  37. A. E. Fantini, A. Tirmizi, Exploring and assessing intercultural competence, in «World Learning Publication», 2006, p. 12.
  38. B. H. Spitzberg, G. Changnon, «Conceptualizing Intercultural Competence», in The SAGE Handbook of Intercultural Competence, (a c. di D. K. Deardorff), Thousand Oaks, Sage, 2009, p. 7.
  39. M. D. Barrett, Intercultural competence, in «EWC Statement Series», 2, 2011, pp. 23-27.
  40. A. Portera, «Competenze interculturali per la società complessa», in Competenze interculturali (a c. di A. Portera), Milano, FrancoAngeli, 2013, p. 144.
  41. D. K. Deardorff, Identification and assessment of intercultural competence as a student outcome of internationalization, in «Journal of Studies in International Education», 10 (3), 2006, pp. 241-266.
  42. Ivi, pp. 247-248.
  43. B. H. Spitzberg, G. Changnon, op. cit.
  44. Ivi, p. 45.
  45. Cfr. M. Pellerey, Le competenze individuali e il Portfolio, Firenze, La Nuova Italia, 2004.
  46. Per una più dettagliata analisi del modello di Deardroff si veda M. Baiutti, La competenza interculturale per pensare assieme un futuro possibile, cit.
  47. D. K. Deardorff, Assessing Intercultural Competence, in «New Directions for Institutional Research», 149, 2011, p. 70.
  48. Fra i vari, G. Alred, M. Byram, M. Fleming (a c. di), Intercultural experience and education, Clevedon, Multilingual Matters, 2003; M. Byram, A. Feng, op. cit.; D. K. Deardorff (a c. di), The SAGE Handbook of Intercultural Competence, Thousand Oaks, Sage, 2009; V. Savicki, op. cit.; M. Vande Berg, J. Connor-Linton, R. M. Paige, The Georgetown consortium project: Interventions for student learning abroad, in «Frontiers», XVIII, 2009, pp. 1-75.
  49. Cfr. D. K. Deardorff, Identification and assessment of intercultural competence as a student outcome of internationalization, cit.; Id., The SAGE Handbook of Intercultural Competence, cit.; Id., Assessing Intercultural Competence, cit.; Id., Demystifying outcomes assessment for international educators, Sterling, Stylus, 2015; D. K. Deardorff, A. van Gaalen, «Outcomes assessment in the internationalization of higher education», in The SAGE handbook of international higher education (a c. di D. K. Deardorff, H. de Wit, J. D. Heyl, T. Adams), Thousand Oaks, Sage, 2012, pp. 167-189.
  50. Fra i vari, si veda: C. Borghetti, «Considerations on dynamic assessment of intercultural competence», in Diversity, plurilingualism and their impact on language testing and assessment. TEASIG Conference Proceedings. Siena, 2013, Iatefl TEASIG, 2015, pp. 17-20; M. Byram, Teaching and assessing intercultural communicative competence, Clevedon, Multilingual Matters, 1997; D. K. Deardorff Identification and assessment of intercultural competence as a student outcome of internationalization, cit.; Id., The SAGE Handbook of Intercultural Competence, cit.; Id., Assessing Intercultural Competence, cit.; Id., Demystifying outcomes assessment for international educators, cit.; A. E. Fantini, op. cit.; P. Holmes, «Intercultural encounters as socially constructed experiences: Which concepts? Which pedagogies?», in The Routledge Companion to cross-cultural management (a c. di N. Holden, S. Michailova, S. Tietze), New York, Routledge, 2015, pp. 237-247; L. Sercu, «Assessing intercultural competence: more questions than answers», in Testing the untestable in language education (a c. di A. Paran, L. Sercu), Bristol, Multilingual Matters, 2010, pp. 17-34.
  51. D. K. Deardroff, Demystifying outcomes assessment for international educators, cit., pp. 41-51.
  52. Ad esempio, Consiglio d’Europa, Autobiografia degli incontri interculturali, Strasburgo, Consiglio d’Europa, 2009.