Numero 13/14 - 2017

  • Numero 11 - 2016
  • Ricerca & Tecnologia

Docenti e Italiano L2 nella scuola: quali competenze? Quale formazione?

di Chiara Coccia

Abstract
Il concorso per il personale docente della scuola, le cui prove scritte si sono svolte recentemente, ha previsto l’introduzione della nuova classe A-23 per l’insegnamento della “Lingua italiana per discenti di lingua straniera”, secondo quanto indicato nel DPR 19 del 14 febbraio 2016. Sebbene questo rappresenti un primo importante passo verso il riconoscimento della specificità dell’insegnamento dell’Italiano lingua seconda (L2), si è forse ancora lontani dal riconoscere la professionalità di coloro che svolgono tale compito avendo acquisito una formazione specifica ed un’esperienza pluriennale sul campo. In vista dell’apertura dei nuovi percorsi abilitanti all’insegnamento è perciò necessario chiedersi quali competenze siano chiamati ad avere i docenti impegnati nell’insegnamento della lingua italiana a stranieri e a riflettere su cosa significhi in generale insegnare in una classe multiculturale. Anche l’insegnamento delle materie curriculari, infatti, non può prescindere dall’attenzione verso gli alunni non italofoni, sempre più presenti nella scuola italiana.
L’articolo fornirà una breve panoramica sulle buone pratiche che la scuola ha adottato negli ultimi anni relativamente all’insegnamento dell’italiano L2. Si daranno inoltre riferimenti relativi ad alcuni studi sull’argomento per meglio delineare la formazione specifica del docente di italiano L2 nonché le competenze richieste a tutti i docenti coinvolti nell’educazione di alunni di cittadinanza non italiana.

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La legge 107 del 13 luglio 2015, detta della “Buona Scuola”, prevede, fra gli obiettivi che le scuole possono selezionare come prioritari per la propria offerta formativa, anche

alfabetizzazione e perfezionamento dell’italiano come lingua seconda attraverso corsi e laboratori per studenti di cittadinanza o di lingua non italiana, da organizzare anche in collaborazione con gli enti locali e il terzo settore, con l’apporto delle comunità di origine, delle famiglie e dei mediatori culturali[1].

Secondo il Rapporto Alunni con cittadinanza non italiana. La scuola multiculturale nei contesti locali, redatto dalla Fondazione ISMU in collaborazione con il MIUR, nell’anno scolastico 2014/2015 gli alunni con cittadinanza non italiana iscritti nelle scuole del territorio nazionale sono stati 814.187, pari al 9,2% del totale, con un incremento dell’1,4% rispetto all’anno precedente, mentre «gli iscritti stranieri fra il 2009/10 e il 2014/15 sono cresciuti del +20,9% (passando da 673.592 a 814.187 unità)»[2]. L’aumento degli alunni stranieri di seconda generazione ha portato inoltre un incremento degli iscritti nella scuola secondaria, sestuplicati nella secondaria di II grado dal 2001/2002 al 2014/2015.

La presenza sempre più importante di alunni stranieri nel sistema scolastico italiano ha dato vita, nell’ultimo ventennio, ad una serie di iniziative con cui le scuole hanno cercato di dare risposta alle esigenze formative dei loro studenti, affidandosi spesso alle proposte di docenti interni, più o meno qualificati nell’insegnamento dell’italiano lingua seconda. Ma cosa vuol dire insegnare una lingua seconda? Quali sono le competenze richieste a chi debba occuparsi di tale insegnamento e quali figure nella scuola devono farsi carico dell’apprendimento dell’italiano da parte degli alunni stranieri?

La necessità di portare a sistema le iniziative intraprese dalle scuole italiane interessate dal fenomeno migratorio ha indotto il MIUR a pubblicare nel 2006, aggiornandole poi nella versione del 2014, delle Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri. Nel documento si dà conto di una serie di buone pratiche che, sia da un punto di vista amministrativo e organizzativo che didattico, è consigliabile adottare per promuovere l’integrazione degli alunni di cittadinanza non italiana nella scuola.

Il documento distingue fra varie tipologie di alunni (con ambiente familiare non italofono, figli di coppie miste, alunni nati in Italia, alunni nati all’estero, minori non accompagnati ecc.) la cui situazione di partenza deve essere fotografata per avere tutti gli elementi necessari ai fini di un proficuo inserimento all’interno delle classi. Secondo la circolare ministeriale n. 2/2010, il numero di alunni di cittadinanza non italiana non può superare il 30% del totale all’interno di ogni singola classe; si può innalzare il numero in circostanze particolari – ad esempio se gli alunni hanno una competenza linguistica adeguata – o abbassarlo in caso di situazioni complesse – se il livello di competenza linguistica è molto basso o se subentrano problematiche di altro tipo. Le linee guida raccomandano inoltre di inserire nella stessa classe stranieri di nazionalità e provenienza quanto più possibile varia, evitando la creazione di minoranze monoculturali proprio per facilitare lo scambio e l’integrazione.

Nelle Linee guida si indicano poi alcune buone pratiche adottate nel tempo per l’insegnamento dell’italiano L2 (Ital2), distinto in ItalBase, cioè la lingua necessaria per la comunicazione di base, e ItalStudio, che si riferisce ad una competenza superiore per lo studio delle varie materie in italiano, secondo la denominazione utilizzata dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri[3]. L’approccio più diffuso in Europa per l’accoglienza degli alunni stranieri è quello integrato: l’alunno, indipendentemente dal livello di competenza linguistica, viene inserito fin da subito in classe evitando così la creazione di “classi ponte” composte solamente da stranieri, per stimolarne invece la socializzazione con i coetanei italofoni. L’apprendimento linguistico viene supportato attraverso attività da svolgersi nel laboratorio di italiano L2 parallelamente alle attività curriculari, in orario mattutino (ad esempio durante l’ora di religione se l’alunno è esonerato) o pomeridiano. Tale approccio è da preferirsi in quanto, nella prima fase di apprendimento dell’ItalBase, l’alunno è stimolato dalla necessità di comunicare con i propri pari, che diventano veri e propri modelli da imitare. In questa fase l’apprendimento avviene in modo misto, fuori e dentro la scuola, in situazioni formali (durante la lezione) e informali (nell’interazione con i coetanei o con altri parlanti nativi). La separazione dell’alunno in un primo periodo e l’inserimento in classi di soli stranieri farebbe venire meno la possibilità di interagire con i compagni italofoni e comporterebbe un ritardo nell’affrontare le altre discipline curriculari dovendo ripartire da zero nel momento del successivo inserimento in classe. Tuttavia, alcuni studiosi[4] ritengono che un primo momento (2-3 settimane) di corso intensivo di lingua italiana gioverebbe maggiormente agli alunni stranieri neo-arrivati nel nostro paese, con la possibilità di ritardare di poco l’ingresso in classe o di inserire per un periodo l’italiano L2 tra le materie curriculari al posto di una o più discipline.

Nelle Linee guida del MIUR si indicano tre diverse fasi dell’apprendimento della lingua da parte degli alunni stranieri, ovvero:

-una «fase iniziale dell’apprendimento della L2 per comunicare»[5] in cui gli alunni frequentano, oltre alle normali lezioni, i laboratori linguistici secondo un orario più intensivo nei primi 2-3 mesi e più diluito in seguito;

-una «fase “ponte” di accesso all’italiano dello studio»[6], in cui è necessario continuare a dare sostegno all’alunno da un punto di vista linguistico ma, allo stesso tempo, fornire gli strumenti cognitivi e metacognitivi necessari allo studio delle varie discipline attraverso la lingua veicolare;

-una «fase degli apprendimenti comuni»[7], durante la quale l’italiano L2 resta sullo sfondo e le strategie volte alla facilitazione dell’apprendimento delle diverse materie sono utili tanto allo studente italiano quanto allo straniero, avendo però sempre cura di monitorarne le difficoltà linguistiche per eventuali interventi specifici. In questa fase è possibile approfittare delle competenze e conoscenze dell’alunno straniero per promuovere un approccio interculturale allo studio attraverso il confronto.

I tempi necessari per l’apprendimento dell’italiano di base variano da alcuni mesi ad un anno[8], mentre per l’apprendimento della lingua per lo studio i tempi sono più lunghi e possono trascorrere anni prima che lo studente acquisisca una competenza adeguata. A questo proposito, problemi più evidenti si riscontrano a partire dalla scuola secondaria. Nella scuola primaria, infatti, le difficoltà nello studio delle varie materie si superano più facilmente, in quanto si utilizza una lingua più concreta, legata alle situazioni reali, con meno astrazioni. Già a partire dalla scuola secondaria di I grado è richiesta una competenza linguistica più elevata in quanto i linguaggi settoriali presentano, oltre ad un lessico specifico – che può includere ad esempio termini polisemici che assumono una diversa connotazione a seconda del contesto –, anche una sintassi con forme più complesse come quella impersonale, passiva ecc. Il tasso di abbandono e di insuccesso scolastico degli alunni stranieri è infatti più evidente a partire dalla scuola secondaria di I grado, anche per le difficoltà linguistiche riscontrate[9]. Si può essere portati a credere che le difficoltà maggiori si presentino nella prima fase di apprendimento, quando l’alunno ha una competenza linguistica molto bassa, ma in realtà la fase dell’ItalStudio è più delicata e necessita di maggiore attenzione da parte dei docenti. C’è il rischio infatti che, una volta che l’alunno abbia raggiunto una competenza sufficiente a comprendere le varie discipline, si possa pensare che egli apprenda con le stesse modalità dell’alunno italiano. In questa fase è invece ancora necessario facilitare l’apprendimento attraverso strumenti che tengano conto delle difficoltà linguistiche specifiche dell’alunno straniero[10]. Se nel laboratorio linguistico le attività sono affidate a – o quanto meno coordinate e monitorate da[11] – un esperto nell’insegnamento dell’italiano L2, nella fase dell’ItalStudio i docenti di tutte le materie devono farsi carico dell’apprendimento dell’alunno straniero assumendo il ruolo di facilitatori dell’apprendimento[12].

A tal fine, gli aspetti da tenere in considerazione sono molteplici e le competenze che si richiedono ai docenti che operano in classi con studenti non italofoni sono varie e complesse. Vi sono infatti diversi accorgimenti che gli insegnanti dovrebbero adottare per gli alunni stranieri.

Per prima cosa è necessario definire la situazione di partenza dell’alunno, non solo da un punto di vista linguistico (compito di pertinenza del docente esperto nell’insegnamento dell’Ital2), ma anche relativamente alla famiglia di provenienza, alla situazione socio-culturale, nonché da un punto di vista disciplinare, stabilendo ad esempio se ha già studiato la materia nel suo paese e quali competenze abbia acquisito, per potersi ancorare alle sue conoscenze pregresse nella spiegazione dei nuovi argomenti. In questo modo è possibile distinguere se le difficoltà riscontrate di volta in volta sono dovute ad una comprensione/produzione linguistica insufficiente o ad una carenza nello studio della materia. Sarà utile creare una scheda personale dell’alunno dove tenere nota delle sue caratteristiche, difficoltà, risultati positivi e negativi, per monitorarne il processo di apprendimento.

Ogni docente dovrà poi creare un piano didattico individuale. Anche se per gli studenti stranieri non è prevista la redazione di un vero e proprio piano didattico personalizzato[13], se non in casi particolarmente complicati (come ad esempio per alunni inseriti ad anno scolastico avanzato con una competenza linguistica molto bassa, soprattutto se dovranno sostenere l’esame di stato), i docenti dovranno stabilire delle strategie da seguire per facilitare l’apprendimento dello studente. Partendo infatti dalle caratteristiche specifiche dell’alunno, e tenendo conto del suo stile di apprendimento, si dovrà stabilire un programma da seguire per permettergli di raggiungere gli stessi obiettivi dei compagni italofoni.

A tal fine, l’insegnante sarà chiamato a semplificare il linguaggio utilizzato nelle spiegazioni in classe adeguandolo alla competenza linguistica dell’alunno e cercando di ancorarlo alle sue conoscenze pregresse. Nelle prime fasi dell’apprendimento linguistico sarà importante anche la comunicazione non verbale che aiuterà la comprensione, ad esempio attraverso un ampio uso della gestualità e del linguaggio iconico. Le consegne dovranno inoltre essere esplicitate con esempi chiari che non lascino dubbi sulle modalità di esecuzione delle attività proposte.

A seconda del livello di competenza linguistica, il docente dovrà prevedere una semplificazione dei testi disciplinari sia nel contenuto che nella forma. Per quanto riguarda il contenuto, si dovranno selezionare le informazioni principali omettendo quelle ridondanti; è possibile suddividere il testo in paragrafi e titolarli per ordinare le informazioni organizzandole in modo che procedano dal generale al particolare. Per quanto riguarda invece la forma, si dovranno esplicitare i contenuti impliciti, prediligere un lessico concreto chiarendo metafore e modi di dire, utilizzare in prevalenza strutture paratattiche e forme attive eliminando le forme passive e impersonali, servirsi di supporti di altro tipo (immagini, cartine, mappe concettuali, glossari pluringue ecc.) per rendere più chiari i contenuti[14].

È importante inoltre che il docente sappia fare uso delle nuove tecnologie digitali (TIC) non solo per coinvolgere maggiormente i ‘digital natives’, ma per sfruttare le potenzialità didattiche che offrono. Si pensi ad esempio all’importanza della LIM per veicolare le informazioni attraverso le immagini e il linguaggio iconico o alla possibilità che offre di navigare e fare ricerche in tempo reale.

Nonostante l’attenzione posta negli ultimi anni alla formazione relativa alle nuove tecnologie, in Italia il 48% dei docenti «giudica […] la propria formazione sulle competenze informatiche inadeguata e si dice impreparato a gestire classi con gruppi eterogenei»[15]. Il MIUR ha avviato nel 2008 il Piano Nazionale Scuola Digitale per sostenere iniziative volte alla digitalizzazione della scuola e alla formazione dei docenti. Gli interventi in tal senso interessano però solitamente un numero ristretto di istituti scolastici: i fondi stanziati per il 2013 sono stati assegnati a 38 scuole con funzione di “Poli formativi”. Non è quindi ancora stato previsto un intervento strutturale che interessi la formazione, iniziale o in servizio, di tutti i docenti.

Le tabelle ministeriali che riportano i crediti formativi di Didattica generale e Didattica speciale da erogarsi nei percorsi abilitanti dei TFA, istituiti con DM n. 249 del 2010, indicano come obbligatori almeno 6 crediti rivolti ai bisogni educativi speciali e specificano di fare riferimento alla storia e al diritto delle istituzioni scolastiche. Nulla è esplicitato rispetto alle metodologie legate alle nuove tecnologie, né allo studio della pedagogia interculturale, nonostante il MIUR affermi che l’educazione interculturale «dovrebbe essere assunta metodologicamente dai futuri docenti»[16]. È infatti fondamentale che il docente che si trova ad operare in una classe multiculturale adotti un approccio interculturale alla materia di studio, al fine di promuovere il dialogo e l’integrazione, evitando di assumere atteggiamenti che possano in qualche modo risultare lesivi della cultura dell’alunno straniero o che possano generare conflitti. È importante inoltre spiegare agli alunni stranieri quelli che possono essere elementi culturali nuovi o ignoti (pensiamo ad esempio alle radici cristiane della nostra cultura o all’eurocentrismo delle cartine geografiche della scuola italiana rispetto alle rappresentazioni che se ne fanno in Asia o in altri continenti).

Si pone poi il problema della valutazione delle competenze dell’alunno straniero, sia per quanto riguarda la valutazione formativa in itinere che per quella sommativa o finale. Le prove in itinere devono essere costruite in modo da poter distinguere tra la verifica del livello di competenza linguistica e quella delle conoscenze/abilità/competenze disciplinari. Non sempre infatti la carenza nei contenuti o le mancate risposte sono segno di uno studio carente, ma spesso solo della difficoltà riscontrata nell’espressione orale o scritta. Ci si deve inoltre assicurare che le difficoltà linguistiche non inficino la comprensione delle consegne, che devono quindi sempre essere esplicitate da esempi o, se necessario, da spiegazioni accessorie da parte dell’insegnante.

Per quanto concerne invece la prova finale, in sede d’esame a conclusione della secondaria di I grado per gli stranieri è prevista la stessa prova degli alunni italiani[17]. La normativa infatti non distingue se non in casi eccezionali, quando cioè sussistono le circostanze per le quali si è precedentemente predisposto un piano didattico personalizzato. Negli altri casi, lo studente straniero dovrà affrontare lo stesso esame dei compagni italofoni. Il MIUR[18] raccomanda che nella relazione finale di presentazione della classe all’esame l’alunno straniero venga presentato descrivendo in dettaglio il percorso affrontato, dalle modalità di inserimento all’intero processo di apprendimento. Per quanto riguarda le prove scritte, è possibile somministrare delle prove graduate o di contenuto ampio che diano la possibilità anche agli alunni stranieri di elaborarle secondo le proprie competenze. La prova orale si svolge, per tutti gli alunni, secondo un percorso personalizzato, che nel caso dell’alunno straniero può valorizzare argomenti e aspetti della cultura di provenienza[19]. Per l’esame al termine del primo ciclo, se sussistono particolari difficoltà linguistiche, è possibile inoltre prevedere la presenza di un mediatore linguistico.

Le competenze finora descritte dovrebbero essere bagaglio di ogni docente nella scuola multiculturale. In aggiunta, il docente esperto nell’insegnamento della L2 necessita di competenze in ambito glottodidattico, per poter predisporre programmi specifici calibrati sul livello di competenza linguistica dei discenti. Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue (QCER) è il punto di partenza di ogni programmazione, che nel caso di discenti bambini o adolescenti dovrà tener conto anche dell’età e dello sviluppo cognitivo dell’alunno. Il docente Ital2 dovrà infatti predisporre una prova con cui testare il livello di competenza linguistica in ingresso per poter poi definire gli obiettivi e programmare il percorso formativo per raggiungerli. Interverrà quindi nel laboratorio L2 ma anche come supporto e punto di riferimento per i docenti delle altre materie nelle questioni relative alla L2 e agli aspetti legati all’intercultura.

Il compito di insegnare l’Ital2 nella scuola è stato in passato affidato agli insegnanti di italiano o di lingua straniera, ma «In tutti questi casi la risposta è sbagliata, da un punto di vista glottodidattico, essendo le dimensioni L1, L2 e LS strutturalmente diverse»[20]. Nell’ultimo ventennio la formazione dei docenti Ital2 è avvenuta in modo vario, seguendo percorsi e corsi di formazione diversi. Dagli anni ’90 le Università hanno iniziato ad erogare Master o corsi specifici per la formazione dei docenti Ital2. Nel 1999/2000 il MIUR ha dato il compito a 14 università italiane di progettare un corso di formazione tramite piattaforma didattica, che verrà ripreso poi nel 2003 ampliando il numero di università partecipanti (21) [21]. Il progetto prevedeva un corso base – per i docenti di tutte le materie – ed un corso avanzato – per formare esperti di area linguistica che potessero costituire un punto di riferimento per le scuole o le reti di scuole che si stavano formando nelle zone ad alta densità migratoria. Entrambi i corsi prevedevano degli insegnamenti di pedagogia interculturale, linguistica generale, linguistica italiana, didattica delle lingue. Nel corso per i docenti di area linguistica era previsto anche l’insegnamento di ‘tecnologie glottodidattiche’. Tali strumenti sono infatti ormai una risorsa imprescindibile per il docente di lingua, oltre a rappresentare una fonte illimitata di materiali autentici. Uno studio dell’Università di Southampton[22] indicava, fra gli elementi fondamentali per la formazione del docente di lingue, l’uso delle TIC a) per proporre attività in classe con notevoli vantaggi da un punto di vista pedagogico; b) per facilitare la comunicazione e il confronto con colleghi ed istituzioni estere; c) per l’organizzazione personale della didattica, la programmazione, la creazione di materiali didattici, il reperimento di risorse ecc.

Diverse figure si occupano nella scuola italiana della didattica dell’Ital2: insegnanti di sostegno, insegnanti di lingue, docenti della scuola disponibili, insegnanti distaccati su progetto, insegnanti di classe durante le ore di religione (se l’alunno straniero non si avvale di questo insegnamento) e, solo in alcuni casi, “facilitatori linguistici”, cioè insegnanti specializzati nella L2, messi a disposizione dagli Enti locali. Tali figure affiancano l’insegnante «nella definizione del profilo linguistico, nella programmazione di percorsi di apprendimento della lingua italiana; forniscono materiali; collaborano con tutto il Consiglio di classe per condividere obiettivi da raggiungere a livello linguistico e culturale»[23]. Solo di recente la figura dell’insegnante di Ital2 ha ottenuto un primo riconoscimento con la creazione della classe di concorso A-23 per l’insegnamento della “Lingua italiana per discenti di lingua straniera”[24]. I requisiti richiesti per poter rientrare in tale classe hanno però sollevato non poche polemiche. Molti docenti precari che in questi anni si sono specializzati in questo tipo di insegnamento ed hanno accumulato esperienza sul campo, non hanno visto riconosciute le proprie competenze, rimanendo fuori dalla classe di concorso. Alcune associazioni di docenti[25] hanno rilevato come certe Lauree (come ad esempio la LM 37) siano rimaste inaspettatamente escluse dai requisiti d’accesso e che molti docenti non hanno potuto partecipare al concorso perché non avevano conseguito i crediti di lingua e letteratura latina, che non erano previsti o erano opzionali anche nei percorsi di laurea specifici relativi alla didattica della lingua italiana a stranieri. Inoltre il concorso è stato aperto solo agli abilitati, ma non esistendo per ora un percorso abilitante specifico per la A-23, sono stati ammessi gli abilitati in classi affini, non riconoscendo quindi ancora una volta la specificità della disciplina.

Come requisiti post lauream il Ministero ha riconosciuto una serie di Master universitari, una Scuola di specializzazione e alcune certificazioni universitarie. Tutti questi titoli sono rilasciati a seguito di un percorso di formazione specifico sulla didattica dell’italiano a stranieri, ma le classi di laurea per accedere a tali corsi non coincidono con quelle indicate per la A-23. Questa discrepanza fra titoli di accesso ha fatto sì che in alcune regioni le domande di partecipazione al concorso per la classe A-23 siano state meno del numero di posti disponibili.

Alla luce di tali avvenimenti e nell’attesa che venga pubblicato il nuovo bando per il TFA, e che il MIUR definisca i futuri percorsi di abilitazione per gli insegnanti, c’è da riflettere non solo sulle competenze che gli abilitandi nella nuova classe di concorso dovranno acquisire, ma anche sulla possibilità di inserire nella formazione di tutti i docenti, sia iniziale che in servizio, almeno i fondamenti di discipline come la pedagogia interculturale e le problematiche connesse con l’apprendimento della L2. Nelle scuole fortemente interessate dal fenomeno migratorio, inoltre, sarebbe auspicabile promuovere la formazione in servizio del personale docente per sensibilizzarlo e prepararlo ad affrontare l’insegnamento in classi multiculturali.

Di fondamentale importanza per il successo e l’efficacia dei percorsi di formazione dei docenti, ma anche per la qualità della didattica, risulta il confronto fra Scuola e Università. Malgrado ciò, diversi studiosi lamentano una mancanza di dialogo fra le due Istituzioni[26]. La ricerca universitaria è fondamentale per lo sviluppo di teorie e metodologie che possano dare risposta alle nuove esigenze manifestate dalla scuola; tali ricerche non possono però prescindere da un’analisi della situazione scolastica attraverso un contatto diretto con le strutture e gli insegnanti. Nel nostro Paese, invece, la ricerca empirica in educazione è poco praticata[27] e ciò si ripercuote sulla qualità della ricerca stessa e, di conseguenza, della sua utilità per la prassi didattica. Gli studi sull’insegnamento dell’italiano L2 sono stati numerosi negli ultimi anni[28], ma non sempre hanno avuto una ricaduta sui processi decisionali relativi all’organizzazione della didattica nelle scuole italiane. È auspicabile quindi che nel prossimo futuro Università e Scuola instaurino un dialogo più fitto anche a beneficio dell’organizzazione dei nuovi percorsi di formazione che il Ministero vorrà predisporre per i docenti.

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  1. Legge 107/2015, art. 1, comma 7, lett. r.
  2. MIUR-Fondazione ISMU, Alunni con cittadinanza non italiana. La scuola multiculturale nei contesti locali. Rapporto nazionale A. s. 2014-2015, in «Quaderni ISMU», I, 2016, p. 18.
  3. Cfr. MIUR, La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri, (a cura dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale), ottobre 2007.
  4. Cfr. P. E. Balboni, Italiano L2: una via italiana, in «Studi di Glottodidattica», I, 2008, pp. 17-31.
  5. MIUR, Le linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, febbraio 2014, p. 18.
  6. Ibid.
  7. Ibid.
  8. Cfr. G. Favaro, A scuola nessuno è straniero, Giunti, Firenze, 2014.
  9. Cfr. G. Giudizi, La lingua italiana per gli alunni stranieri. Linee teoriche e attività pratiche di Linguistica acquisizionale e Glottodidattica ludica, FrancoAngeli, Milano, 2013.
  10. Cfr. G. Favaro, Op. cit.
  11. Cfr. G. Giudizi, Op. cit.
  12. Cfr. MIUR, Op. cit., 2014.
  13. Ibid.
  14. Cfr. G. Giudizi, Op. cit.; G. Favaro, Op. cit.
  15. G. Giudizi, Op. cit., p. 190.
  16. MIUR, Op. cit., 2014, p. 21.
  17. Cfr. MIUR, Op. cit., 2014.
  18. Ibid.
  19. Cfr. G. Giudizi, Op. cit.
  20. P. E. Balboni, Op. cit., p. 18.
  21. Cfr. R. Cincotta, F. R. Sauro, (a cura di), Italiano L2: lingua di contatto, lingua di culture, in «Rassegna dell’istruzione», III, 2006-2007, http://www.rassegnaistruzione.it/rivista/rassegna_03_0607/glossario_italiano.pdf.
  22. M. Kelly, M. Grenfell, European Profile for Language Teacher Education – A Frame of Reference. A Report to the European Commission Directorate General for Education and Culture, University of Southampton, Southampton, 2004.
  23. G. Giudizi, Op. cit., p. 78.
  24. Cfr. DPR 19 del 14 febbraio 2016.
  25. Cfr. la lettera al Ministro Giannini dei rappresentanti delle organizzazioni ADIPIS e ILSA reperibile su http://www.apidis.it/, o la lettera al Presidente della Repubblica dell’associazione “Riconoscimento nazionale della professionalità degli insegnanti di italiano L2/LS”, reperibile su https://riconoscimentoitalianol2ls.wordpress.com/.
  26. Cfr. P. E. Balboni, Op. cit.; I. Vannini, Come cambia la cultura degli insegnanti. Metodi per la ricerca empirica in educazione, FrancoAngeli, Milano, 2012.
  27. Cfr. I. Vannini, Op. cit.
  28. Cfr. P. E. Balboni, Op. cit.