L’essere creativi è una delle abilità innate dell’uomo, nel senso che tutti possediamo per natura un istinto al fare. I bambini ad esempio reagiscono in maniera istintiva a tutto ciò che osservano e ascoltano perché hanno esperienza di ciò che i loro sensi gli suggeriscono. Affinché si concentrino con impegno in un’attività, è fondamentale che provino godimento delle loro azioni e che si sentano liberi da qualsiasi vincolo. Solo un’esperienza di questo tipo può accrescere il loro pensiero e preservarli da qualsiasi stereotipo o convenzione che ne limiterebbero (o forse ne ostacolerebbero del tutto) la libertà d’iniziativa. È ciò che accade molto spesso in età adulta dove la routine impedisce, ad esempio, di prefigurare soluzioni alternative ai problemi della vita. Gli psicologi definiscono questo atteggiamento «fissità funzionale» che, insieme all’autocensura e alla frustrazione, rappresenta il maggiore impedimento per lo sviluppo di uno spirito creativo[1]. Le diverse tendenze della psicologia concordano sul fatto che una persona creativa sia quella in grado di generare idee nuove, appropriate e di alta qualità[2]. Sternberg e Lubart[3] definiscono un prodotto come originale e creativo nel caso sia statisticamente raro, imprevedibile e in grado di provocare sorpresa nello spettatore.
Nonostante il concetto di creatività si presti a varie interpretazioni per le difficoltà di analisi, inquadramento e misurazione delle sue componenti, si è soliti definirla come quella «capacità di produrre idee ed oggetti che siano nuovi, originali, appropriati, ed ai quali viene attribuito un valore, che può essere di natura sociale, spirituale, estetica, scientifica, tecnologica»[4]. L’atto creativo possiede una dimensione psicologica, individuale e sociale in quanto molti concordano «sul fatto che ai parametri della novità e dell’originalità sia da accostare il criterio del riconoscimento da parte di esperti o comunque della condivisione intersoggettiva»[5]. Qualsiasi prospettiva alternativa di guardare il mondo implica quindi un’accettazione e una condivisione sociale senza la quale sarebbe destinata a non avere un impatto più ampio dal semplice piacere personale. Il problema del riconoscimento pubblico delle soluzioni innovative è però uno degli ostacoli maggiori alla creatività come testimoniano le incomprensioni (o talvolta perfino le persecuzioni) a cui molti grandi ingegni sono stati sottoposti nel corso della storia prima che le loro idee fossero dichiarate legittime o addirittura straordinariamente rivoluzionarie. Si pensi ad esempio a quanti tra scienziati e artisti furono stroncati o messi persino al bando per il semplice fatto che le loro intuizioni precorrevano i tempi. In campo musicale basterebbe citare l’esperienza di Claude Debussy che con le sue idee anticonformiste tentò di opporsi all’accademismo del Conservatorio di Parigi al fine di emanciparsi dai preconcetti della tradizione classico-romantica. Oppure, in pittura, la vicenda degli ‘Impressionisti’ che, muovendo contro il sistema dichiaratamente conservatore del Salon (il baluardo della tradizione e dell’accademismo pittorico che dominò il sistema espositivo francese fino al 1880 circa), allestirono la prima delle loro otto mostre nello studio del fotografo Nadar mettendo in pratica nuove tecniche per la creazione delle loro opere[6].
Secondo l’opinione di alcuni psicologi come Howard Gardner[7], ciascuna persona può essere creativa in un’area specifica e non in generale perché la creatività non è una sorta di talento globale o un’abilità separata tale da poter essere distribuita su più ‘intelligenze’. Un individuo può quindi mostrarsi straordinariamente intuitivo e originale per una determinata area senza necessariamente manifestarlo nelle altre. Essere creativi è uno «stile di vita», una condotta che richiede un comportamento sistematico e una solida esperienza dell’area specifica, una capacità di pensare in modo divergente, una percezione in grado di alimentare il processo creativo e soprattutto una passione (la ‘motivazione intrinseca’) in grado di promuovere l’azione traendone piacere: «parlare di creatività non significa infatti parlare soltanto di una specifica modalità del pensare, ma di un modo peculiare di vedere o sentire le cose, di acquisire e organizzare le conoscenze, di costruire e usare gli archivi della memoria, di gestire motivazioni ed emozioni, di operare secondo meccanismi mentali consci e inconsci, di collocarsi e attingere a gradi diversi di realtà»[8]. La disposizione a produrre creativamente richiede un particolare stato mentale che non sempre è attivo, né tantomeno facilmente attivabile anche nei grandi talenti, per cui la ‘motivazione intrinseca’ e la perseveranza nel ricercare le soluzioni originali sono elementi imprescindibili per superare le frustrazioni degli inevitabili insuccessi.
Intorno agli anni Ottanta del secolo scorso, gli studi condotti soprattutto negli Stati Uniti sul pensiero e sulla personalità creativa si estesero anche in Europa con il contributo del cognitivismo e della psicologia genetica della ‘Scuola di Ginevra’. Prese sempre più piede una corrente di pensiero secondo la quale la creatività è una facoltà umana complessa in cui intervengono numerosi fattori sia personali e sia ambientali che, in qualche modo, caratterizzano i tratti generali delle persone solitamente considerate creative:
- a) autodisciplina nel lavoro;
- b) capacità di ritardare la gratificazione;
- c) disponibilità ad assumersi rischi;
- d) tenacia nel fronteggiare stati di frustrazione e ansia;
- e) indipendenza di giudizio e anticonformismo;
- f) tolleranza per l’ambiguità;
- g) tolleranza per la contraddizione;
- h) tolleranza per l’irrealtà;
- i) autonomia sviluppata in grado elevato;
- l) ruolo sessuale non stereotipato; motivazione a carattere prevalentemente intrinseco[9].
Da un punto di vista psicodinamico il concetto di creatività è stato ben descritto da Winnicott secondo il quale il vivere in modo creativo, come il gioco e l’‘essere’, prende origine dal rapporto primario madre-bambino. La possibilità di ‘essere’, che appartiene al vero sé dell’individuo, rivive nell’esperienza iniziale di un ambiente che contiene e da cui può emergere la capacità di ‘vivere in modo creativo’ e di ‘giocare’:
Per essere creativa una persona deve esistere e avere il senso di esistere, non in maniera consapevole, ma come base di partenza per agire. La creatività è allora il fare che emerge dall’essere. Essa indica che colui che è, è vitale. L’impulso può essere silente, ma quando la parola “fare” diventa appropriata, già è presente la creatività. La creatività, allora, consiste nel conservare nel corso della vita qualcosa che appartiene all’infanzia: la capacità di creare il mondo»[10].
È sulla base di avere creato il mondo che si costruisce ogni altra cosa significativa: «vivendo in modo creativo tutti ci rendiamo conto del fatto che ogni cosa che facciamo rafforza la sensazione di essere vivi, di essere noi stessi»[11].
Secondo Winnicott, la comunicazione ha inizio con la trasmissione reciproca di stati d’animo tra madre e bambino ancor prima della nascita. I sentimenti della madre verso di lui vengono infatti colti sin dall’utero sul piano immaginativo e successivamente nel suo ‘essere’ a partire dall’infanzia. Nella teoria della comunicazione da lui elaborata, è basilare il concetto paradossale di un sé non comunicabile e isolato che non solo non comunica, ma non deve mai essere in comunicazione; per cui ogni individuo è a sé stante e, di conseguenza, deve essere rispettato il diritto di non comunicare. L’allargamento e l’elaborazione dei temi relativi al rapporto più significativo per ogni persona, l’inizio della vita, si sviluppa nella tematica della comunicazione del sé individuale e della necessità di un sé privato e recondito. Il processo immaginativo nidifica in questo sé segreto che non solo ha il diritto di non comunicare ma, fondamentalmente, «non deve mai essere in comunicazione o essere influenzato dalla realtà esterna»[12].
Come sottolineato da Prieto, Lopez e Ferrandiz[13], gli studi sulla creatività riconoscono inoltre l’importanza delle variabili personali, quali le competenze, gli interessi, le attitudini, la motivazione, l’intelligenza, le conoscenze, le abilità, le abitudini, le opinioni, i valori e gli stili cognitivi, ma insistono anche nel considerare la creatività come il prodotto degli effetti combinati di queste caratteristiche individuali con fattori sociali, culturali e ambientali.
Uno degli elementi implicati nelle attività creative è il corpo in movimento. Tendenze artistiche come quelle dell’‘Informale’, che si affermarono in Europa, Stati Uniti e Giappone verso la metà del Novecento, posero l’atto creativo in relazione all’istinto dell’azione. Tale esperienza sviluppò nella pittura una concezione della ‘forma’ dinamica, in movimento e non statica come quella della tradizione astratta. Un’arte prodotta dalla pulsione interna espressa dal gesto o da una sequenza di gesti dell’artista che può essere paragonabile al concetto di improvvisazione formulato dalla musica jazz come esperienza unica e irripetibile che il musicista vive per mezzo del suono. In ambito musicale infatti, l’esplorazione sonora è una pratica per mettere in gioco le proprie intuizioni facendo semplicemente riferimento all’istinto e al desiderio di conoscenza, di scoperta e sperimentazione. Un neonato intento per esempio a giocare con un mestolo di legno o con qualsiasi altro oggetto sonoro ne esplora le potenzialità mettendo in atto determinate «condotte musicali». Gli studi svolti sui comportamenti e sulle motivazioni del fare e ascoltare musica durante la prima infanzia[14] hanno dimostrato che le esplorazioni senso-motorie dei bambini rappresentano il germe dell’invenzione musicale:
Si assisterà, nel corso dell’infanzia, all’apparizione successiva delle condotte musicali elementari. Dai primi mesi (è molto chiaro verso i quattro mesi) si osservano dei comportamenti di esplorazione motivati dalla novità di un rumore prodotto fortuitamente. L’esplorazione si arricchisce nei mesi seguenti e si notano, verso i sei mesi, delle lunghe sequenze di gioco in cui il bambino non soltanto ripete, ma varia le sue “trovate” sonore, abbandonandosi a vere e proprie improvvisazioni strumentali e vocali. Più tardi il suono si integra col gioco simbolico (…) Alla fine della scuola materna appare il gusto per la regola, gusto che trova soddisfazione nelle organizzazioni sonore che costituiranno in seguito, per poco che le si incoraggi, le prime forme di composizione[15].
L’improvvisazione sonoro-musicale è una pratica che non richiede particolari competenze tecniche o teoriche e proprio per questo può essere uno strumento di supporto di fondamentale importanza nell’apprendimento musicale di base per sviluppare le capacità di ascolto attivo e di creatività sonora. Nelle forme di «teatro musicale elementare»[16], in cui la creazione artistica si attiva in maniera spontanea e unitaria attraverso l’integrazione del movimento con la voce e gli strumenti, le condotte del gioco forniscono le coordinate alla libera improvvisazione. L’azione orienta i bambini verso una serie di atteggiamenti esplorativi che contribuiscono allo sviluppo dell’immaginazione e della fantasia e favoriscono nel contempo il processo di invenzione[17].
Solitamente in ambito educativo si riscontra una presenza eccessiva e direttiva dell’adulto che fa del bambino un ‘attore’ messo in scena da un ‘regista’ (l’educatore) e non il ‘regista’ della propria scena. Questo tipo di condotta, unito alla consuetudine e ai modelli convenzionali dettati da certa pedagogia ‘tradizionale’, non promuove negli allievi alcuna forma di coinvolgimento attivo e creativo che costituisce invece il ‘motore’ per l’apprendimento e la condizione necessaria per favorire la scoperta e la conoscenza. Si assiste troppo spesso infatti a situazioni in cui educatori o insegnanti propongono ‘attività addestrative’ dove il copione da mettere in scena è già stato da loro stessi stabilito a tavolino. I bambini vengono così relegati al ruolo di semplici esecutori passivi e ripetitivi di uno spartito che non tiene minimamente in considerazione delle loro intelligenze e mortifica invece le loro capacità espressive e creative. Come sottolinea Bion[18], le immagini rappresentano i «mattoncini del pensiero», ossia l’ossatura del nostro apparato psichico. Sarebbe infatti opportuno proporre nel processo di apprendimento percorsi che permettano agli allievi di partecipare come co-costruttori del loro sapere e favorire di conseguenza il piacere per la scoperta e l’immaginazione. Per questo talvolta è importante ricordare a noi stessi la rilevanza e il significato di taluni termini che ormai fanno parte del nostro lessico quotidiano, ma che spesso rischiano di smarrire la loro più reale essenza. E se il termine creatività si fosse svuotato dei suoi contenuti più sostanziali? C’è un pensiero che Rodari ci ha lasciato ne La grammatica della fantasia sul quale riflettere:
L’immaginazione del bambino, stimolata ad inventare parole, applicherà i suoi strumenti su tutti i tratti dell’esperienza che sfideranno il suo intervento creativo. Le fiabe servono alla matematica come la matematica serve alle fiabe. Servono alla poesia, alla musica, all’impegno politico: insomma, all’uomo intero e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché, in apparenza, non servono a niente: come la poesia e la musica, come il teatro e lo sport (se non diventano un affare). Servono all’uomo completo. Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà – vuol dire che è fatta male e che bisogna cambiarla. Per cambiarla, occorrono uomini creativi, che sappiano usare la propria immaginazione[19].
Già nell’ultimo trentennio del secolo scorso, diversi protagonisti della pedagogia musicale[20] hanno sottolineato, seppure con approcci differenti e del tutto personali, il valore rilevante del ruolo dell’invenzione, dell’immaginazione e della sperimentazione musicale per lo sviluppo delle abilità creative a partire dall’esperienza. Nella creazione delle loro composizioni, è infatti di fondamentale importanza che i bambini svolgano l’attività di esplorazione motoria e sonora libera da qualsiasi imposizione al fine di renderla il più possibile significativa e favorire in loro una percezione multisensoriale e multimodale della realtà. Poter infatti sviluppare in piena autonomia le proprie idee e un pensiero divergente in un clima di condivisione e accettazione senza alcuna forma di pregiudizio, è senz’altro la maniera più efficace per sentirsi a tutti gli effetti protagonisti dell’attività educativa, per sviluppare reali competenze e, ripensando a Rodari, per cercare di colmare l’inespresso della nostra ‘altra metà’.
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- D. Goleman, M. Ray, P. Kaufman, Lo spirito creativo, Milano, Bur, 2001. ↩
- R. J. Sternberg, The nature of creativity: Contemporary psychological perspectives, New York, Cambridge University Press, 1988. ↩
- R. J. Sternberg, T. I. Lubart, Creando mentes creativas, in «Universidad de Guadalajara», 5, 1996, pp. 19–25. ↩
- G. Bartoli, Psicologia della creatività. Le condotte artistiche e scientifiche, Roma, Monolite, 2005, p. 19. ↩
- Ibidem. ↩
- G. Sellari (a c. di), I nipoti di Rameau. Aspetti della produzione pianistica francese tra Ottocento e Novecento, Roma, Università “La Sapienza”, 2000. ↩
- H. Gardner, Educazione e sviluppo della mente, Trento, Erikson, 2005. ↩
- Ibidem, p. 57. ↩
- G. Bartoli, op. cit., p. 31. ↩
- D. W. Winnicott, Dal luogo delle origini, Milano, Cortina, 1990, pp. 31-2. ↩
- Ibidem, p. 36. ↩
- D. W. Winnicott, Esplorazioni psicoanalitiche, Milano, Cortina, 1995. ↩
- M. D. Prieto, O. López, C. Ferrándis, La creatividad en el contexto escolar. Estrategias para favorecerla, Madrid, Pirámide, 2003. ↩
- F. Delalande (a c. di), La nascita della musica. Esplorazioni sonore nella prima infanzia, Milano, Franco Angeli, 2009. ↩
- F. Delalande, Le condotte musicali. Comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare musica, Bologna, Clueb, 1993, pp. 50-1. ↩
- C. Orff, G. Keetman, Musik für Kinder, 5 Voll., Mainz, B. Schott’s Söhne, 1950-1954; G. Piazza (a c. di), L’Orff-Schulwerk in Italia. Storia, esperienze e riflessioni, Torino, EDT, 2010. ↩
- M. G. Bellia, Ferrari F., Il ruolo del movimento nell’attività compositiva dei bambini, in L’insegnamento come scienza. Ricerche sulla didattica della musica (a c. di M. Baroni), Lucca, Lim, 2009, pp. 3-28. ↩
- W. R. Bion, Apprendere dall’esperienza, Roma, Armando, 2009. ↩
- G. Rodari, La grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, Dorlingo della Valle (Trieste), Einaudi, 1997, pp. 178-9. ↩
- Tra cui M. Baroni, Suoni e significati, Firenze, Guaraldi, 1978; F. Delalande, Le condotte musicali. Comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare musica, Bologna, Clueb, 1993; R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, Milano-Lucca, Ricordi-LIM, 1998; J. Paynter, Suono e struttura. Creatività e composizione musicale nei percorsi educativi, Torino, EDT, 1992; J. Paynter, P. Aston, Suono e silenzio. Progetti di musica creativa per la scuola, Torino, ERI, 1980; B. Porena, La composizione musicale: uno strumento della pratica culturale di base nella scuola e nel territorio, Treviso, Altrarea, 1979. ↩