Numero 13/14 - 2017

  • Numero 12 - 2016
  • Saggi

Potere personale e Potenzialità. Un raffronto tra Positive Psychology e Pedagogia Clinica

di Carlo Macale

Nel nuovo millennio si sono consolidate due correnti di pensiero di stampo psico-educativo importanti: la Positive Psychology e la Pedagogia clinica. Tra queste due discipline vi sono in linea teorica punti di contatto, ma anche nodi critici sui quali trovare un raccordo può risultare complesso. Finalità di questo articolo è cercare di analizzare i punti di continuità e discontinuità tra le due discipline, sempre tenendo in considerazione il limite di questo studio di fronte alla ormai vastissima produzione scientifica di entrambe le scuole di pensiero.

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1. Premesse storiche e contenutistiche
Una prima grande differenza tra queste due scuole di pensiero è certamente il contesto culturale nel quale si collocano. La positive psychology, infatti, nasce in America, con tutta la visione anglo-sassone che ne consegue, mentre la pedagogia clinica in Italia, in quel di Firenze.

1. 1. Contesto iniziale
La psicologia positiva è una corrente di pensiero psicologico, e non  solo, che convenzionalmente potremmo far nascere nel 2000, con la pubblicazione sulla rivista scientifica American Psychologist dell’articolo di Seligman e Csikszentmihalyi “Positive Psychology. An Introduction”[1]. I due studiosi, già noti nel panorama psicologico americano rispettivamente per la “teoria dell’impotenza appresa e lo stile esplicativo ottimista”[2] e per “l’esperienza di flow[3], si sono ritrovati nell’idea che la psicologia contemporanea è tutt’oggi ancorata a una posizione terapeutico-guaritrice, tralasciando di molto l’aspetto costruttivo e preventivo della scienza psicologica. La messa in discussione nasce dalla seguente domanda: il benessere è una condizione che si basa solo sull’assenza di malessere? Il modello “patologico”, inteso come cura di una sofferenza, è l’unico modello che può promuovere benessere?

All’interno dello stesso numero della rivista, interamente dedicato alla nascente positive psychology, vi sono altri articoli che toccano gli altri capisaldi, sul piano concettuale, della psicologia positiva come la teoria delle emozioni, il concetto di self-determination, il costrutto di optimal-experience applicato anche all’evoluzione della specie umana fino ad oggi. Dopo questo numero speciale, la psicologia positiva ha prodotto numerose ricerche e studi e si è diffusa nei diversi continenti sul piano accademico e operativo[4], cercando di calare quei concetti nati in ambito americano nei diversi contesti culturali. L’Italia è uno dei paesi più noti in questa diffusione, basti pensare che la prof.ssa Delle Fave dell’Università di Milano è past-president dell’Associazione Internazionale della Positive Psychology.

La pedagogia clinica, invece, nasce in Italia nel 1974

quando alcuni ortopedagogisti guidati dal prof. Guido Pesci, riuniti nel Cenacolo Antiemarginazione a Firenze, un centro di ricerca assai attivo, sostituirono al termine di «ortopedagogista» quello di «pedagogista clinico», dando inizio a un movimento scientifico-professionale che ha tratto dalla ricerca, dalla sperimentazione e dalla verifica sul campo, orientamenti scientifici in progressivo sviluppo fino a fornire solide fondamenta alla pratica professionale in generale e clinica in particolare [5].

Come narra l’articolo del trentennale del pedagogista clinico[6], furono svolti molti studi e ricerche, si organizzarono corsi e convegni e si aprirono grandi spazi per confronti accademici internazionali. Nel frattempo fiorivano centri di studi[7] e la figura del pedagogista clinico veniva richiesta anche dagli organizzatori di convegni esterni alla pedagogia clinica. I metodi e le tecniche presentate da questa nuova scienza erano imbevute di una pluridisciplinarietà delle scienze umane, ma allo stesso tempo erano un chiaro esempio di concretezza pedagogica. Questa marcia trionfante della pedagogia clinica trovò il suo apice nel 2004 quando, in occasione del congresso trentennale, fu annunciata l’Associazione Europea dei Pedagogisti Clinici che raccoglieva le diverse associazioni di pedagogisti clinici nazionali solo dopo aver conseguito il Certificat Europeen de Formation. Ora, a più di dieci anni da quella data, si è giunti al primo congresso internazionale della Pedagogia Clinica [8], ciò a riprova di quanto il movimento abbia ormai preso piede su scala mondiale.

1.2 Contenuti

Sia la pedagogia clinica che la Positive Psychology, hanno sul piano epistemico e contenutistico radici molto lontane che affondano in saperi antichi. Entrambe le scuole di pensiero non solo non nascondono di essere affascinate ma, anche, di essere ispirate, dal punto di vista scientifico-culturale, dalla tradizione umanistica. Inoltre, si ritiene  che questo legame abbia avuto ricadute pedagogiche nella relazione di aiuto.

La pedagogia clinica, già nel suo statuto epistemologico, pone in luce le sue origini “sapienziali”, le sue connessioni [9] (ma non mistificazioni) con il sapere filosofico, teologico o medico. Così si esprime Guido Pesci:

Lontano da ogni idealismo che vede nella pedagogia una vocazione, intende dimostrare che le basi scientifiche della Pedagogia Clinica sono rintracciabili in un lontano passato, nella filosofia, nella teologia, nel diritto e nella medicina, poiché essa rappresentava e rappresenta il coronamento di tutte le scienze. Perciò compito della Pedagogia Clinica è recuperare da queste discipline tutti i dati e risultati relativi ad esperienze pedagogiche per ridefinirle secondo un conoscere capace di rispondere finalmente con  concretezza alle esigenze di civiltà e cultura proprie dell’uomo [10].

Questa ricerca delle radici arricchisce gli aspetti gnoseologici della pedagogia clinica nel suo atto di divenire scienza. I diversi studi di questo sapere hanno, infatti, continui richiami alla storia del pensiero umano nelle sue diverse forme, localizzazioni o specificità culturali o religiose[11].

La pedagogia clinica, quindi, non si presenta innovativa perché “rivoluzionaria” nel panorama pedagogico ma, sottolineando aspetti di novità delle sue ricerche, ricorda che questi elementi di originalità non si possono avere  «senza trascurare di dare fondamenti epistemologici (…), rintracciando in radici lontane (2000 a.C – 1800 d.C) i criteri di validità di questa scienza»[12].

Allo stesso modo, Seligman, insieme al compianto prof. Peterson, ricorda che la psicologia positiva, per cercare di definire il concetto di character e porre una base antropologica alla propria psicologia, ha iniziato una ricerca storico-culturale su scala mondiale. Un’équipe di studiosi ha riflettuto su diverse realtà culturali e tradizioni filosofiche e religiose[13]dell’area euro-asiatica fino a giungere a definire sei virtù a cui sono collegate ventiquattro potenzialità[14].

Entrambe le scuole di pensiero hanno avuto il “coraggio”, in un panorama scientifico neo-positivista e anti-umanistico, di guardarsi indietro e vedere cosa le diverse tradizioni culturali, filosofiche e religiose possano dire a una scienza che voglia promuovere il benessere. È  interessante notare, anche, che entrambi i fondatori di queste scuole, Martin Seligman e Guido Pesci, si dichiarano laici, questo a riprova che la scienza non è, di suo, in conflitto con il mondo filosofico o religioso e viceversa[15].

Certamente non sono stati solo i “saperi antichi” a ispirare le due discipline. Tra i richiami epistemologici della Pedagogia Clinica abbiamo anche numerosi modelli scientifici più propriamente detti, per esempio la pedologia di Chirstman e Wilker, il modello della pedagogia sperimentale di Sandiford e Smith-Bompass, il metodo pratico-razionale Gonnelli-Cioni, la difettologia di Vygotskji[16] o la psicomotricità funzionale di Le Boulch[17] e altri.

La positive psychology affonda le sue radici nella storia della psicologia, per esempio Maslow e la gerarchia dei bisogni, la psicologia umanistica di Roger, la dottrina sulla personalità di Allport, fino a studi più recenti quali la teoria delle emozioni della Friedrikson, l’autoefficacia di Bandura, l’intelligenza emotiva di Goleman, la teoria de benessere di Ryff, la self-determination di Deci.

Sia la positive psychology che la pedagogia clinica hanno avuto un rapporto “critico” con gli autori citati, contestualizzando ed adattando al proprio modello le affermazioni scientifiche dei diversi studiosi, verificando, in seguito, sul piano sperimentale e/o esperienziale[18] la fattibilità o meno di un sano e adeguato intervento di aiuto.

2. Persona, approccio e potenzialità

Come si sarà già compreso dalle ricerche citate nel precedente paragrafo, la psicologia positiva e la pedagogia clinica hanno due approcci diversi all’umano e questo non solo perché una scienza si definisce principalmente psicologica e l’altra pedagogica. Si noti che all’interno della positive psychology vi è una branca che riflette esclusivamente sul fatto educativo (positive education) anche se per lo più limitatamente all’ambito scolastico e studentesco[19]. Inoltre, lo stesso Seligman afferma che la psicologia positiva non è materia solo per psicologi[20]. D’altra parte, la pedagogia clinica, pur dichiarando una propria autonomia scientifica, non ha mai chiuso le porte ad altre discipline; ne è riprova il fatto che tra i suoi corsisti vi sono persone provenienti da lauree in medicina o psicologia[21]. La pedagogia clinica sottolinea che, in un’epoca in cui si moltiplicano le diverse figure professionali in aiuto alla persona, ogni disciplina deve lavorare sulla propria base epistemologica e sul proprio modus operandi, affinché

preservi e al tempo stesso sottolinei ed ispessisca i confini professionali, non percepiti come limiti, ma come l’opportunità di collocarsi nella società e a contempo riconoscere, collaborando, l’importanza delle altre professioni, più o meno nuove e organizzate[22].

La diversità dell’approccio, quindi, nasce proprio dalla loro scientificità. La positive psychology segue principalmente il filone cognitivo-comportamentale, ossia quel ramo che ritiene che la maggior parte dei problemi delle persone, che siano di carattere cognitivo, emozionale o comportamentale, non nascono dagli eventi, bensì dalle credenze personali che ampliano o possono ridurre la reazione traumatica a un qualsiasi fattore di stress. Gli esperimenti sull’impotenza appressa e il modello dello stile esplicativo (ABCDE)[23] di Seligman, sono una netta comprova di quello che si afferma. Si fa leva, quindi, sulla parte cognitiva e sulla razionalizzazione di fattori extra-cognitivi dell’individuo per trovare le risposte alle proprie problematiche oppure si lavora in modo preventivo per aumentare il fattore della resilienza.

La pedagogia clinica, invece, ha un approccio più olistico, in quanto ritiene che si possano superare forme di disagio non solo facendo leva sul cognitivo o meta-cognitivo, ma che bisognerebbe inserire all’interno di un percorso di aiuto anche azioni che prevedano un intervento sul rafforzamento dell’io e un intervento sulla corporeità.

2.1 Contro un concetto medicalizzante dell’aiuto

Nonostante la diversità dei due approcci, entrambe le scuole di pensiero rifiutano un’impostazione di intervento in aiuto alla persona basato su una visione di questa in relazione alla patologia, ossia a partire dal disagio e non dalle sue potenzialità.

Seligman è molto critico con la psicologia che lo ha preceduto, in particolare a) con gli accademici che si sono chiusi nei loro laboratori studiando gli apprendimenti “puri”, magari con i ratti e b) con coloro che curavano le psicosi, dedicandosi interamente agli aspetti patologici. Secondo lo studioso statunitense è giunta l’ora di rimettere al centro la persona e il suo benessere e non solo i suoi disturbi[24]. Così l’autore “contrappone” la sua opera Character strengths and virtues al DSM, facendo notare come spesso la scienze mediche e psicologiche hanno classificato l’umano in riferimento a delle patologie e non secondo le risorse positive[25]. Seligman propone una nuova pista che parte dalle potenzialità, dalle risorse cognitive e morali interne alla persona per affrontare una difficoltà o uno stato di disagio. Le risposte a uno stato problematico sono, quindi, già scritte nella persona, nelle sue strutture antropologiche comunicanti, nelle sue capacità riflessive e nelle sue predisposizioni al cambiamento.

Tale concetto non vale solo per le situazioni problematiche, ma anche per la vita di tutti i giorni. Secondo Seligman, infatti, la nuova missione delle scienze che toccano l’umano, è la prevenzione. Questa idea fu ben rappresentata dallo studioso americano il giorno della sua elezione alla presidenza dell’APA quando affermò: «a mio parere la terapia giunge solitamente troppo tardi, mentre la prevenzione risparmierebbe un mare di lacrime»[26].

Anche la pedagogia clinica afferma una cosa simile quando ricorda che

I pedagogisti in aiuto alla persona non sono chiamati a fare soltanto una “verifica”, ma una verifica delle PAD Potenzialità, Abilità e Disponibilità, ovvero quegli aspetti “positivi”, capaci di descrivere l’individuo secondo un’ottica “prossimale” (cfr Vygotskij), orientata al futuro, e individuare le aree di educacabilità della persona, cioè quegli aspetti che in un processo globale di sviluppo possono essere più di altri “tratti fuori” dalla persona attraverso strumenti, metodi e modalità pedagogiche[27]

La verifica delle PAD, nei percorsi pedagogico clinici e precedentemente definita diagnosi pedagogica[28], non è una mera raccolta di informazioni, né tanto meno un’interpretazione psicologica di racconti recenti e remoti o di test e grafici[29], ma una lettura che la persona ci permette di fare di sé. In particolare la verifica delle PAD è un insieme di molteplici processi di analisi rivolti a particolari aspetti della persona:

  • Analisi Storica Personale
  • Analisi dell’autonomia e coscienza di sé
  • Analisi dell’espressività grafica e cromatica
  • Analisi attraverso l’uso dei test
  • Analisi delle abilità espressivo verbali
  • Analisi dell’espressività motoria
  • Analisi delle abilità e disponibilità da apprendere[30]

Inoltre, la pedagogia clinica si propone come scienza pratico-progettuale, ossia come disciplina che interviene in maniera progettuale anche quando non è manifesta una richiesta di aiuto. Gli interventi pedagogico-clinici rivolti a classi scolastiche, ad aziende, a istituti di assistenza o a gruppi di persone in genere, spesso sono progetti “generativi” che riscoprono parti vive dell’essere umano, potenzialità nascoste che promuovono uno stato di benessere psico-fisico, anche in assenza di “segnalazione” di disturbo o disagio. In tal senso sono emblematici gli esercizi proposti nel testo Pedagogia creativa [31], che sono esperienze atte a

fornire un orientamento per mezzo di stimoli difficilmente sostituibili con altri vissuti, in cui la tendenza all’autorealizzazione, il sentirsi liberi di sperimentare e di analizzare le esperienze, la possibilità di giocare con le idee hanno come scopo primario quello di soddisfare il bisogno della persona[32].

Anche il testo Il pedagogista clinico nelle istituzioni è una miniera di conoscenze e buone prassi adottate dai diversi pedagogisti per promuovere esperienze di benessere a partire dal dato umano, dalla sua struttura antropologica e dalla sua storia, dalle sue motivazioni, dal suo essere presente in una qualsiasi realtà in un dato tempo e in un dato spazio.

2.2 Potere personale

Un costrutto della psicologia positiva molto importate per concludere il nostro discorso sul potenziale umano è il concetto di empowerment e il modello italiano di self-empowerment di Buscaglioni-Gheno[33].

Il concetto che sta alla base è quello di potere non come qualcosa che ti viene delegato (“ti do il potere di..”), ma come qualcosa che ti appartiene, che è tuo, un patrimonio personale che può aumentare o diminuire, ma che comunque resta qualcosa di antropologicamente strutturato nella persona[34]. Questa connotazione antropologica è in linea con quanto già espresso fino ad ora, in quanto, proprio come la pedagogia clinica, l’empowerment e quindi un ramo della psicologia positiva, fonda la sua azione sull’idea «che il soggetto abbia una disponibilità evolutiva positiva, può cioè mettere a frutto i suoi talenti secondo una logica che supera la deriva deterministica propria delle scienze positive, da cui pure la psicologia non è immune»[35].

Se vi è un principio di comunanza antropologica tra pedagogia clinica ed empowerment, secondo il modello italiano citato, vi è anche una comunanza sul piano epistemologico. Nel riflettere sul suo modello, Gheno, in un paragrafo intitolato “Per un superamento del riduzionismo” sottolinea come la psicologia sia una scienza sperimentale basata sul principio della validazione statistica. Compito, quindi, di questa scienza è di indagare e non di affermare certezze, a volte verità dogmatiche, in nome del modello sperimentale. In secondo luogo, la psicologia «può essere uno strumento utile nell’individuazione di prassi efficaci, non un fine»[36]. Gheno non nega la natura psicologica del suo costrutto, anzi è il primo a richiamare la self-efficacy di Bandura, il concetto di responsabilità (locus of control) in Rotter o la pensabilità positiva e la speranza di Seligman, ma afferma che la radice più profonda dell’io è nell’interiorità dell’essere persona dove «si spalanca una domanda sul fondamento della libertà che impatta necessariamente con il mistero»[37].

Se ben si ricorda la pedagogia clinica nasce da un gruppo di ortopedaogisti, quindi studiosi che riflettevano su aspetti problematici dell’educazione, per poi dar vita a un sapere positivo, promotore di benessere, fondato sulle potenzialità in un’ottica di miglioramento sul piano pedagogico e non a livello sanitario e/o medicalizzante. Una storia analoga ha avuto l’empowerment.  Questo filone trova le sue origini nella community psychology, un ramo della psicologia che nasce per far fronte ad alcune problematiche sociali statunitensi e ribalta il paradigma della debolezza per dar vita a un concetto di potere personale oltre il proprio status, oltre la propria etnia (erano gli anni di Martin Luther King), oltre il proprio ruolo sociale. Rifiutando ogni forma di “assistenzialismo” psicologico o di rimedio sociologista, anche la psicologia della comunità, e quindi l’empowerment, sostiene l’idea che la risposta alla situazione di disagio è scritta nelle potenzialità personali e sociali[38].

Se sul piano teorico, quindi, sono evidenti i punti di contatto fra empowerment e pedagogia clinica, non si può dire però la stessa cosa rispetto all’iter di attuazione del modello del self-empowerment. Non essendo questa la sede per spiegare, step by step, il modello, si vuole mettere in luce una differenza sostanziale tra la fase operativa del modello Buscaglioni-Gheno e un percorso d’aiuto pedagogico clinico.

Il self-empowerment è un processo generativo che porta al benessere. La generatività, non è sul piano “pratico” né su quello “psicologico”, infatti «si può esprimere attraverso i desideri profondi, comportamenti, scopi, credenze, domande sociali, preoccupazioni coscienti e in tutti i modi in cui una persona adulta costruisce un senso narrativo della propria vita»[39].

Questo iter ha uno stampo prettamente cognitivo-comportamentale e prevede una definizione chiara da parte del formatore. Dopo, infatti, un primo momento in cui si dà spazio alla persona, piano piano, nei colloqui, bisogna arrivare al “punto critico” della situazione, per evitare che la comunicazione si fermi a un livello “scambiativo”. Il compito dell’operatore in questo caso è attuare strategie che riportino la persona al motivo per cui ci si era incontrati. Pertanto si può interrompere la persona, fare domande dirette, fino ad addirittura, negare quello che dice in maniera netta e dare degli input affinché la comunicazione sia generativa.

Se si confronta questa tecnica con il Reflecting, metodo che non prevede azioni indirizzatrici del confronto dialogico, quali domande dirette e men che mai giudizi di valore o attinenza al colloquio su ciò che dice la persona, le differenze sono fino toppo chiare ed evidenti. Questo, dal nostro punto di vista, è il nodo critico della questione, perché se è vero come sostiene Gheno che da un lato non bisogna dar possibilità alla persona di “stagnare” nelle sue convinzioni, è anche vero che non si può parlare di generatività se il partorire il cambiamento non proviene dalla persona che cerca una risposta[40]. D’altro canto Gheno afferma che la finalità del modello non è di generare cambiamento, ma creare le condizioni per darsi nuove possibilità a livello di pensiero (ecco il grande limite della componente cognitivista). Inoltre, il self-empowerment non tocca temi profondi quali la personalità, ma è un intervento specifico volto al miglioramento di un ambito esistenziale specifico dell’individuo. Il Reflecting, invece, pone alla base del suo metodo la globalità della persona nel suo essere, come anche la pedagogia clinica, in ogni suo metodo si avvale di tecniche che superino la settorialità dell’intervento; ne è riprova per esempio il metodo Educromo [41] che, prima di intervenire direttamente sulla lettura (obiettivo dell’intervento), lavora su alcune predisposizioni personali e disponibilità relazionali.

3. L’aspetto corporeo

Tornando all’impianto teorico della pedagogia clinica e della psicologia positiva, si possono trovare altri punti di contatto, nelle dovute differenze di ambito. Per ragioni di ricerca, se ne sono trovati alcuni, tra cui il richiamo da parte di entrambe della zona prossimale di Vygotskij[42], l’interrelazione della dimensione emozionale con quella cognitiva[43], o ancora l’utilizzo di forme di immagini mentali[44]. Certamente però, il grande assente nella positive psycholgy, se non con rare eccezioni[45] (almeno fino all’attuale stadio della mia ricerca), è l’aspetto della corporeità, come percezione del sé tramite lo schema corporeo e non solo in rapporto alla dimensione ginnica o  fisiologica.

La pedagogia clinica recupera il corporeo tra le potenzialità umane come dimensione armonica corpo-intelletto-emozioni scritta nei secoli antichi sia in occidente che in oriente[46]. Il corpo non è solo “il vaso dell’anima”, né tanto meno è la guida del comportamento sulla base del piacere (principio edonista); il corpo è una dimensione connaturale della struttura antropologica di pari dignità e funzionalità di altre dimensioni.

Come osserva Carboni:

Noi sappiamo che la persona giunge a definire quell’entità che viene denominata schema corporeo proprio attraverso l’integrazione dei vissuti emotivi con l’insieme delle esperienze sensoriali, unitamente alla dimensione propriocettiva, ed è nell’unione della dimensione percettiva con quella rappresentativa che si può costituire un immagine di sé nel senso della corporeità, come atto dinamico destinato a modificarsi nel tempo in una continua ricerca di adattamento[47].

Sul principio appena esposto si fondono le diverse tipologie di intervento dei metodi corporei all’interno di una più ampia area di intervento che integra e riequilibra le diverse potenzialità, abilità e disponibilità. Il corpo, forse più della parola, «è organo personale di comunicazione, esprime ogni situazione soggettiva»[48]. In una certa maniera il corpo manifesta, parla, evoca e si proietta. Tralasciare il corpo nella relazione di aiuto o trattarlo solo come “soma”, significherebbe non lavorare in maniera olistica sull’integralità dell’essere umano che richiama la globalità e l’unità psicofisica della persona.

Il corpo, oltre a parlare di noi, è anche il grande mediatore fra noi e l’ambiente. Spesso ci si dimentica che nella relazione con l’altro, prima ancora della parola, il primo a comunicare è il corpo. Spesso il disagio vissuto sul nostro corpo, seppur inconsapevole, è manifesto all’altro e inferisce nella comunicazione. Come osserva Luccini, spesso «fatichiamo altresì ad instaurare relazioni soddisfacenti, essendo spesso incapaci di utilizzare al meglio il nostro corpo, ossia ciò che abbiamo di più simile agli altri per comunicare»[49]. Intervenire sul proprio schema corporeo è fondamentale per riequilibrare l’assetto personologico in qualsiasi contesto, nelle difficoltà con gli apprendimenti, come nei problemi relazionali. Il corpo è una potenzialità alla pari di ogni risorsa di cui la natura ci ha fornito. Non considerare ciò in un contesto educativo come in una relazione di aiuto, equivale a non considerare integralmente la persona, a frammentarla in parti, nel tentativo di migliorare una singola componente, danneggiando però la complessità “della macchina” umana.

Il cognitivismo, lo spiritualismo e il comportamentismo hanno spesso dimenticato la valenza del corpo. Non siamo solo mente, come non siamo solo anima o solo risposta comportamentale, siamo esseri viventi complessi, non riconducibili a categorie o dimensioni standardizzate. Siamo unici e irripetibili e lo siamo anche sul piano del nostro essere e sentirci corpo, ciò persino nell’attuale era digitale che ha rinunciato al contatto corporeo con l’ambiente, preferendo il “non-contatto-mediatico” nella realtà virtuale[50]. È qualcosa che va oltre il dato neurologico o ormonale, oltre anche a un aspetto emotivo nell’immagine del sé; è un qualcosa che trova le sue radici nella struttura antropologica, negli infiniti legami tra l’interiorità del sé e le relazioni con l’ambiente; anche il corpo è vita.

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  1. Cfr. M. Csikszentmihalyi, M.E.P. Seligman, Positive Psychology. An Introduction, in «American Psychologist», n° 1, LV (2000), pp. 5-14
  2. Cfr. M.E.P Seligman, Imparare l’ottimismo, Prato, Giunti, 2009
  3. Cfr. M. Csikszentmihalyi, Flow. The psychology of optimal experience, New York,  Harper and Row, 1990
  4. Attualmente la psicologia positiva è diffusa in tutto il mondo e vanta un’organizzazione internazionale IPPA (cfr http://www.ippanetwork.org), diverse forme di associazionismo continentale (per esempio in Europa l’ENPP – cfr http://www.enpp.eu) e nazionale (quella italiana è la SIPP – cfrhttp://www.psicologiapositiva.it). Sul piano scientifico la psicologia positiva vanta innumerevoli ricerche e importanti riviste scientifiche quali: Journal of Happiness, Journal of Positive Psychology, Applied Psychology halt and Well-being, Psychology and Well-being, International Journal of Well-beng. Vasta è anche la produzione di manuali e volumi.

    Vi sono anche molte specializzazioni accademiche in merito alla Psicologia Positiva: si ricorda il MAPP presso l’Università di Pennsylavania, i master nelle Università East-London, Lisbon Technical University e North West University – SA. Inoltre, si ricordino i corsi intensivi in Psicologia Positiva nella Summer School di Oslo, o nel Danish Institute for study abroad; quest’ultima specializzazione ha dei corsi a Milano, le cui università sono un riferimento europeo per la psicologia positiva. Nel nostro Paese, presso l’Università di Bologna sono istituti dei corsi e dei seminari sulla psicologia positiva.

    In ultimo, è proprio a opera di un italiana, la dott.ssa Cristofilini, che si è creata un’applicazione per I-Pad consistente in una rivista scientifica dal nome Flow Magazine.

  5. G. Pesci, M. Mani, Prefazione, in G. Pesci-M. Mani (a cura di), Il pedagogista clinico nelle istituzioni, Roma, Magi, 2007, p.13
  6. Cfr. G. Pesci,  2004: trentennale del pedagogista clinico, in «Pedagogia clinica. Pedagogisti clinici», V (2004), n. 9, pp. 5-6
  7. Si ricordano a tal proposito i CESAPP, ossia i Centri Studi di Applicazioni Pedagogiche e Psicologiche
  8. Il congresso “Quarantennale della Pedagogia Clinica – Congresso Mondiale – Il divenire della pedagogia clinica. Scenari e prospettive in aiuto alla persona” è stato svolto a Firenze il 25-26 ottobre 2014
  9. Un esempio di connessione tra Pedagogia clinica e filosofia (in particolare aristotelico-tomista), è dato da un recente studio pubblicato negli atti del “2nd International Conference on Eduction, Social Science and Humanitites” tenutosi a Istanbul nel giugno 2015. Cfr. C. Macale, Science and Humanities for a pedagogical anthropology. Italian experience of Clinical pedagogy, in http://www.ocerint.org//socioint15_epublication/papers/185.pdf
  10. G. Pesci, Epistemologia della Pedagogia Clinica e della professione di Pedagogista Clinico, Firenze, Ed. ISFAR, 2004, p. 7
  11. Oltre ai continui richiami presenti nelle opere scientifiche della Pedagogia clinica, si richiamano anche i seguenti articoli: E. Spinelli, L. Vitali, Il racconto dei discepoli di Emmaus come paradigma della relazione d’aiuto alla persona, «Pedagogia clinica. Pedagogisti clinici»,VI 2005, n. 12, pp. 23-24; E. Galasso, Agli albori della pedagogia clinica, «Pedagogia clinica. Pedagogisti clinici», VII 2006, n. 14, p. 13-14; L. Luccini, S. Turini,  Il mito di Ulisse. Un viaggio verso la consapevolezza, ,in «Pedagogia clinica. Pedagogisti clinici», VII 2006, n. 15, pp.13-15; P. Demitri, La signorilità e la vera libertà umana del Pedagogista Clinico, in «Pedagogia clinica. Pedagogisti clinici», VIII 2007, n. 17, p.27; M. Perseo, Delogu S., La filosofia buddista incontra la pedagogia clinica, in «Pedagogia clinica. Pedagogisti cliici», VIII 2007, n. 17, pp. 28-29; A.Viviani, L’identità epistemologica del reflecting, in S. Pesci (a cura di), Manuale di Reflecting, Roma, Magi 20111,  p. 35.

    Cfr. http://reflecting.it/reflecting/nuova_maieutica.htm

  12. G. Pesci,  2004: trentennale del pedaogista clinico, op. cit., p. 6
  13. M.E.P. Seligman, C. Peterson, Character strengths and virtues. A handbook and classification, New York, Oxford University Press, 2004, p. 34-35. Cfr su questo tema I.S. Jørgensen, H.E. Nafstad, Positive psychology: Historical, philosophical, and epistemological perspective, in «Tidsskrift for Norsk Psykologforening»,  XLV (2004), pp. 885-896; L. Salmaso, Virtù e forza del carattere. La «psicologia positiva» ci porterà verso un paradigma dialogico?, in «Tredimensioni», V (2008), pp. 159-165
  14. Per una sintesi delle stesse cfr C. Macale, Positive Education nell’ambito dell’istruzione e formazione professionale, in «Rivista Scuola IaD», VII-VIII 2014-5, n. 9/10, pp.50-58
  15. Si deve principalmente a Dilthey la distinzione delle “scienze” in “della natura” (Naturwissenschaften) e “dello spirito” (Geisteswissenschaften) che depotenziò l’ambito umanistico distaccandolo dall’esperienza e quindi dalla realtà stessa. Cfr W. Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito. Tentativo di fondazione per lo studio della società e della storia, Milano, Bompiani, 2007
  16. Questi autori sono richiamati in G. Pesci, Epistemologia, op. cit, p. 15-16
  17. Cfr G. Pesci, Teoria e pratica della psicomotricità funzionale. A scuola con Jean Le Boulch, Roma, Armando Editore, 2012
  18. “Una genesi del sapere e del saper fare che richiedeva di prendere su di sé la fatica di formulare concetti nuovi o innovativi e di renderli comprensibili, di verificare la validità di nuovi metodi e nuove tecniche, guardando al di là della superficie, dell’esperienza empirica, per cogliere gli aspetti nascosti che spesso contraddicono l’ovvia e usuale apparenza. (…) I successi della ricerca ci confortavano costantemente e ci offrivano l’energia per impegnarci sempre di più, trasmettendo ad altri i metodi e le tecniche che trovavano conferme nei risultati positivi degli interventi di aiuto.” In  G. Pesci,  2004: trentennale del pedaogista clinico, op. cit., p. 5-7
  19. Cfr. M.E.P. Seligman et al., Positive Education: positive psychology and classroom interventions, in «Oxford Review of Education», n° 3, XXXV (2009), pp. 293-311; M.E.P. Seligman, Fai fiorire la tua vita, Torino, Anteprima, 2012, pp. 119-145; J.E. Gilham et al, Preventing depression among early adolescents in the primary care setting: a randomized controlled study of the Penn Resiliency Program, in «Journal of Abnormal Child Psychology», XXXIV (2006), p. 203-219; L.S. Green, J.M. Norrish, Enhancing Well-Being in Adolescents: Positive Psychology and Coaching Psychology Interventions in Schools, in C. Proctor, P.A. Linley, Research, Applications, and Interventions for Children and Adolescents. A Positive Psychology Perspective, Springer, 2013, pp. 211-224; I. Morris, A Place for Well-Being in the Classroom?, in C. Proctor,  P.A. Linley, Research, Applications, and Interventions for Children and Adolescents, op. cit., pp. 185-198; J. Norrish, Positive Education. The Geelong Grammar School Journey, Oxford University Press, Oxford 2015; M.L., Kern, L.E. Walters,  A. Adler, M.A. White, A multidimensional approach to measuring well-being in students: Application of the PERMA framework, in «The Journal of Positive Psychology», X (2015), n. 3, p. 262-271; I. Boniwell, E.N. Osin, C. Martinez, Teaching happiness at school: Non-randomised controlled mixed-methods feasibility study on the effectiveness of Pesonal Well-being Lessons, in  «The Journal of Positive Psychology», XI (2016), n.1, pp. 85-98
  20. Cfr M.E.P Seligman, Fai fiorire la tua vita, op. cit., pp. 107-108
  21. Cfr. http://clinicalpedagogy.com/formazione/
  22. La Redazione, Professional Act. Pedagogia in aiuto alla Persona, in «Pedagogia clinica. Pedagogisti clinici», XV (2014), n. 30, p. 10
  23. ABCDE è acronimo di Adversity, Belief, Consequences, Disputation, Energization, che sono le fasi di colloquio con la persona in uno stato di stress a causa di un evento traumatico. Cfr M.E.P Seligman., Imparare l’ottimismo, op. cit., pp. 269-297
  24. “Psychology is not branch of medicine concerned with illness or health, it is much larger. It is about work, education, insight, love, growth, and play. And in this quest for what is the best, positive psychology does not rely on wishful thinking, faith, self-deception, fads or hand waving; it tries to adapt what is the best in the scientific method to the unique problems that human behavior presents to those who wish to understand it in all its complexity”, in: M.E.P. Seligman, M. Csikszentmihalyi, Positive Psychology. An Introduction, op. cit., p. 7
  25. “This handbook focuses on what is right about people and specifically about the strengths of character that make the good life possible. We follow the example of the DSM and ICD and their collateral creation by proposing a classification scheme and by devising assessment strategies for each of its entries. The crucial differences is that the domain of concern for us is not psychological illness but psychological health. In short, our goal is “manual of the sanities”. M.E.P. Seligman – C. Peterson, Character strengths and virtues. A handbook and classification, op. cit., p. 4
  26. M.E.P. Seligman, La Costruzione della felicità, Milano, Sperling Paperback, 20052, p. 33
  27. La Redazione, Professional Act. Pedagogia in aiuto alla Persona, op. cit., p.11
  28. Cfr. G. Pesci, Pedagogia clinica: pedagogia in aiuto alla persona, Torino, Omega, 2012, p. 63-66
  29. “Non si tratta di “interpretare” ciò che l’altro disegna, ma di “guardarlo” e cogliere da come e da che cosa produce una rappresentazione delle abilità, disponibilità e potenzialità, fondata sulla manifestazione che la persona ha scelto di dare in quel momento al professionista attraverso quello strumento comunicativo. La lettura non può riguardare un singolo test, un singolo disegno o, peggio, un singolo elemento tratto dal test o dal disegno, ma deve essere un’osservazione della globalità dell’espressività grafica e cromatica” (…) “Per interpretare occorre vedere i singoli segni, quindi procedere con una segmentazione del fenomeno per una ricomposizione ermeneutica finale che considera, a seconda dell’impostazione epistemologica di fondo, l’interpretante più o meno depositario di una verità ontologica rispetto all’interpretato. Leggere/osservare, invece, ha valore di “custodire”, “considerare”, è quel processo di guardare la gestalt complessiva del fenomeno per coglierla, “custodirla” appunto, nella sua globalità e considerarla una una rappresentazione di sé, priva, per quel che riguarda l’osservatore non chiamato a interpretare, di un valore assoluto, di un significato recondito, di un senso profondo.”  In La Redazione, Professional Act. Pedagogia in aiuto alla Persona, op. cit., p.13-14
  30. G. Pesci, Pedagogia in aiuto alla persona. Il momento conoscitivo, Firenze, Ed. Isfar, 2014, p. 30
  31. Cfr. J. Dossick, E. Shea, Pedagogia creativa. 52 esercizi per gruppi, Roma, Magi, 2006
  32. G. Pesci, Prefazione all’edizione italiana, di J. Dossick, E. Shea, Pedagogia critica. 52 esercizi per gruppi, op. cit., p. 7
  33. Cfr. M. Buscaglioni, S. Gheno,  Il gusto del potere. Empowerment di persone e azienda, Milano, Franco Angeli, 2000
  34. “Empowerment signifca processo di “impoteramento”, di aumento del potere. Il power, il potere di cui si occupa l’empowerment non è primariamente quello (che spesso per primo viene in mente) di qualcuno su qualcun altro; è invece soprattutto il potere come patrimonio personale di chi lo possiede, lo ha in sé, lo può “poi” usare nel rapporto con le cose e le persone importanti nella sua vita.” M. Buscaglioni, S. Gheno,  Il gusto del potere. Empowerment di persone e azienda, op. cit., p. 13
  35. S. Gheno,  La formazione generativa. Un nuovo approccio all’apprendimento e al benessere delle persone e delle organizzazioni, Milano, Franco Angeli, 2010, p. 25
  36. S. Gheno,  L’uso della forza. Il self empowerment nel lavoro psicosociale e comunitario, Milano, Mc Graw-Hill, 2005, p. 22
  37. Ivi, p. 24. Scrive sempre Gheno nello stesso testo (p. 17): “Nel XIX secolo, sull’onda dell’entusiasmo verso il pensiero positivista e sulla scia delle numerose scoperte che il nuovo mondo scientifico aveva permesso nei più diversi campi della conoscenza, nasce la psicologia come disciplina scientfica proprio dall’idea di utilizzare nell’indagine circa il comportamento e le sue cause gli strumenti delle scienze empiriche e sperimentali, superando così il livello della speculazione filosofica. (…) Dopo poco più di un secolo di ricerca, possiamo dire che questo tentativo sia riuscito solo in parte. L’uso di strumenti scientifici sperimentali ha indubbiamente allargato l’orizzonte delle nostre conoscenze, ma non ha risolto la questione fondamentale dell’agire dell’uomo: la libertà.”
  38. A tal proposito cfr. il paragrafo Dall’approccio “curativo” a quello “promozionale” in S. Gheno,  La formazione generativa. Un nuovo approccio all’apprendimento e al benessere delle persone e delle organizzazioni, op. cit., p.19
  39. S. Gheno, Possibilità in opera. Self-empowerment  e promozione del benessere, in «Newsletter di Psicologia Positiva» n. 10 (2008), p. 2
  40. Il Reflecting ha nel rapporto con l’altro il suo fondamento. La persona è considerata come un’universalità complessa, sorgente e fine dell’equilibrio. La persona è il singolo, l’unica e irripetibile possibilità tra miliardi di possibilità, è la libertà e il suo territorio. Il Reflector non vede nell’individuo che gli sta di fronte né il divino né l’umano poiché chi gli sta di fronte è l’unico, è il Tutto per sé. La persona che chiede aiuto è un pellegrino che non ha bisogno né di maestri né di guru, ma ha bisogno solamente, se così si può dire, di un’altra persona che lo aiuti a riflettere, ad intraprendere il cammino. Questo cammino è dentro il pellegrino stesso, non può che essere parte di lui.”  in http://reflecting.it/contributi_scientifici/reflecting.htm
  41. G. Pesci, S. De Alberti, Educromo. Il metodo pedagogico clinico per vincere le difficoltà di lettura, Roma, Magi, 2006
  42. Cfr La Redazione, Professional Act. Pedagogia in aiuto alla Persona, op. cit., p. 11. In un seminario tenuto a Roma (M. Csikszentmihalyi, Flow. Recent studies and their implications for psychology, Roma, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”- Facoltà di Psicologia – 25 ottobre 2012), Csikszentmihalyi faceva notare come, nello schema generale del Flow, la zona Arousal (nuovi obiettivi, apprendimento) è uno stato mentale vicino al concetto di “zona di sviluppo prossimale” di Vygotskij, infatti, è come se un individuo sia pronto ad agire con disinvoltura, ma manchi ancora un potenziamento delle abilità che comunque si percepisce vicino. Al contrario dell’ansietà, questo stato mentale è preparatorio al flow.
  43. Cfr.  G. Pesci, Pedagogia in aiuto alla persona. Il momento conoscitivo, op. cit., p.37 e cfr.  M.E.P. Seligman, La Costruzione della felicità, op. cit., p. 86
  44. Cfr. S. R. Lankton, Inspiring Change, in G.W. Burns, Happiness, Healing, Enhancement. Your Casebook Collection for Applying Positive Psychology in Therapy, Canada, John Wiley& Sons 2010, p. 284-287
  45. Cfr. C. Hassed, Doing Nothing, Changing Profoundly, in G.W. Burns, Happiness, Healing, Enhancement. Your Casebook Collection for Applying Positive Psychology in Therapy, John Wiley& Sons, Canada, 2010, p. 173-174; I. Boniwell, Positive Psychology in a Nutshell. The science of happiness, London PWBC, 20123, p.152-153
  46. “Giovenale con la massima mens sana in corpore sano esprime un’arte di vivere ideale, indicando l’itinerario dell’equilibrio, il modus in rebus, ovvero quella via di mezzo che anche la saggezza buddista pone come fondamentale regola di condotta” in G. Pesci, Epistemologia, op.cit., p. 11
  47. M. Carboni, La conoscenza di sé nell’esperienza della corporeità, in «Pedagogia clinica. Pedagogisti clinici», VIII (2007), n. 17, p. 6
  48. G. Pesci, Prismograph. Metodo pedagogico clinico per educare al segno grafico, Roma, Magi, 2010, p. 108
  49. L. Luccini, Il movimento autentico, in «Pedagogia clinica. Pedagogisti clinici», V (2004), n. 09, p. 21
  50. Su questo tema cfr. I. Rosano, R. Borzì, La dimensione corporea, in «Pedagogia clinica. Pedagogisti clinici», XV (2014), n. 31, p. 7-10