Numero 13/14 - 2017

  • Numero 1 - 2008/2009
  • Recensioni

Filippo Dal Fiore, Guido Martinotti, E-Learning, Milano, MC-Graw-Hill, 2006

di Elena Zizioli

Milano, McGraw-Hill, 2006, pp.V-.203

L’e-learning c’è.
Questa la battuta introduttiva del testo di Filippo Dal Fiore e Guido Martinotti che viene definito dagli stessi autori, un manuale per orientarsi e progettare iniziative di e-learning di successo.
E’ormai a tutti noto che in un sistema di e-learning entrano in gioco diversi elementi: i modelli teorici, le tecnologie, le tecniche di progettazione formativa, le risorse umane e finanziarie.
La progettazione richiede un’analisi rigorosa ed accorta di questi fattori che inevitabilmente condizionano la riuscita dell’impresa.
Per questo il volume indaga sia il mondo dell’apprendimento, con l’esame delle varie teorie, sia delle tecnologie, passando in rassegna le potenzialità e i limiti dell’uno e dell’altro.
La riflessione sull’apprendimento si misura con i modelli teorici in uso (comportamentismo, cognitivismo, costruttivismo, andragogia) per stabilire quali sinergie sono attivabili con un’iniziativa di  e-learning.
Anche per le tecnologie, l’esame è approfondito: si passa  dalle più comuni alle più recenti: dagli strumenti per la comunicazione sincrona e asincrona, ai blog, dalle simulazioni ai wiki, dalle comunità on-line ai learning objects, all’utilizzo di Google in chiave formativa, a numerose altre applicazioni. Ogni strumento viene preso in esame approfonditamente, riguardo sia al modello teorico su cui si fonda, sia alle “pratiche” e alle regole del suo buon utilizzo.
Per le risorse finanziarie il metodo proposto è quello dell’activity-based costing che ha il pregio di scandire l’intero processo in attività quantificabili in voci di costo monitorabili, dalla fase di progettazione a quelle dell’erogazione e della valutazione. La scomposizione in fasi aiuta a comporre il calcolo sul ritorno dell’investimento (ROI), che risulta complesso nelle iniziative di formazione in quanto entrano in gioco variabili intangibili come l’aumento della produttività e della performance delle stesse risorse umane.
Nel tratteggiare le diverse professionalità (dal project manager all’esperto della materia, dal writer al grafico, dal programmatore al revisione della qualità), gli autori,  raccomandano di non dare troppo rilievo alla componente tecnologica marginalizzando gli obiettivi di apprendimento e i bisogni dell’utenza finale.
La specificità dell’utenza, infatti, è aspetto, troppo spesso trascurato in quanto a fare la differenza in un progetto di e-learning e a decretarne il suo successo, è proprio il modo con cui verrà proposto e recepito dai suoi destinatari. Per questo viene dedicata la parte centrale del manuale a studiare il rapporto tra i vari mondi (della scuola, dell’università, della grande e piccola impresa, della pubblica amministrazione) e l’e-learning, evidenziando gli approcci a volte “attendisti” a volte “precursori” assunti dalle organizzazioni.
Ne emerge un quadro chiaro con riferimenti ad esperienze di successo e l’individuazione dei fattori trasversali che se, riconosciuti e monitorati, potranno determinare l’esito del progetto, indipendentemente dall’ambito di applicazione. Vengono segnalati: l’attitudine delle persone verso la tecnologia, gli stili di apprendimento e insegnamento in gioco, il change management.  Per chi scrive è importante evidenziare che qualsiasi cambiamento richiede coraggio, tempo, energia e fiducia alle persone che lo dovranno attuare. Per questo è importante individuare processi e tracciare percorsi. Esistono modelli, ma spetterà ad ogni organizzazione operare la scelta ed adattarla alle proprie esigenze.
Nella progettazione, accanto alla combinazione dei fattori distintivi, ci sono i rischi. Essi altro non sono che le stesse opportunità mal utilizzate o comunque non governate nelle loro più autentiche potenzialità: la velocità se non controllata diventa frammentazione; l’abbondanza di informazioni se non finalizzata all’obiettivo, ha insita la dispersività; l’utilizzo di più strumenti può generare un sovraccarico cognitivo, ostacolo non secondario per l’attivazione delle dinamiche profonde di apprendimento.
Esistono anche limiti intrinseci che ci sentiamo di condividere in tutta la loro complessità: la perdità di fisicità  nella relazione formativa, per esempio. Una delle tematiche ricorrenti nella discussione sull’e-learning è proprio quella relativa al senso di solitudine che il corsista “a distanza” sperimenta nella fruizione dei materiali predisposti nell’ambiente on line.
Gli autori propongono di non esaurire l’intero processo in attività a distanza, promuovendo la “sopravvivenza” dei vecchi media e dei modelli formativi tradizionali.
Nel volume viene anche indagato il fenomeno del digital divide ed esplorato nelle sue varie manifestazioni:di accesso,generazionale, di genere, di competenze linguistiche e tecniche, di collocazione geografica, di livello di sviluppo del Paese in cui si vive (Nord/Sud del mondo).
Gli autori non tratteggiano soluzioni miracolose, ma portano esperienze concrete affinché vengano promosse politiche ed azioni di ampio respiro per la promozione del life-long learning rilanciando la ricerca come il mezzo privilegiato per trovare nuove soluzioni.
Tratteggiati gli scenari, indagati gli strumenti, analizzate le pratiche, si pone allora il quesito: quali le prospettive?
Il volume termina con un paradosso la cui verifica è demandata al lettore stesso: sia egli un ricercatore, un docente, un tecnico di piattaforme, :”l’e-learning è destinato a scomparire, dal momento che, diventando la tecnologia sempre più comune e non intrusiva, non vi si fa più quasi caso” [1].
Si arriverà cioè ad un punto in cui la tecnologia sarà acquisita, quello che rimarrà è il learning, un apprendimento che si connota come processo complesso e articolato perché disteso per tutto l’arco della vita in un scenario caratterizzato da rapide e inarrestabili trasformazioni dei modelli economici e sociali.
Ecco che allora ai singoli, ma anche alle organizzazioni, sarà sempre più richiesto di diventare responsabili e “imprenditori” del proprio processo di crescita, autonomi e autodiretti, rinunciando a trovare chi decida come e cosa apprendere.
Da qui le traiettorie di sviluppo e le linee prospettiche: a chi progetta piattaforme e/o software, la sfida di avvicinare il modello della macchina, logico, rigido, programmabile, al mondo delle interazioni umane dove oltre alla razionalità, permangono le emozioni e l‘imprevedibilità ;a chi eroga formazione, la flessibilità e la capacità di riconvertire il proprio ruolo, “ perché l’apprendimento c’è “ e non  potrà venir meno.
Nel concludere queste note, oltre a consigliare la lettura del testo, che si chiude con un  ampia ed articolata bibliografia, riteniamo che il vero paradosso sia proprio che l’e-learning sarà destinato a coloro che non appartengono ai contesti di chi lo ha sviluppato. Potrà essere,quindi,uno strumento di promozione sociale e culturale, avendo a monito che,come scriveva Adriano Olivetti, nel 1956, : “ se l’economia, la tecnica, la macchina prevarranno sull’uomo nella loro inesorabile logica meccanica, l’economia, la tecnica, la macchina non serviranno che a congegnare ordigni di distruzione e di disordine” [2].

  1. Filippo dal fiore, Guido martinotti,  E-learning, Milano, McGraw-Hill, 2006, p.173.
  2. Adriano Olivetti, Città dell’uomo, Torino, Edizioni di Comunità, 2001, p.9.
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